Capitolo 22.2

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Questa settimana parteciperemo a un trofeo che si terrà fuori città e, inaspettatamente, la squadra di pallavolo sarà nella stessa città, nello stesso periodo e alloggeremo anche nello stesso hotel. Inizio a pensare che il karma si stia vendicando per qualcosa. Il mio umore è pessimo. Prima delle gare, non amo stare in compagnia, figuriamoci stare insieme a lui. Inoltre, da qualche giorno, ho un po' di fastidio al ginocchio, quindi per precauzione, in accordo con Alessandro, gareggerò solo al corpo libero e dovrò portare una fasciatura per tenerlo bloccato il più possibile. Non posso permettermi altri infortuni.

Stiamo viaggiando tutti insieme sull'autobus e ho costretto Nora a rinunciare a sedersi accanto a Mattia. Loro, tuttavia, si scambiano messaggi ogni due secondi come risposta alla mia decisione. Per fortuna, il viaggio è breve, altrimenti avrei rischiato di urlare loro qualcosa di molto spiacevole. Sarà una settimana impegnativa per tutti e probabilmente le occasioni di incontrarli saranno limitate al minimo indispensabile.

Essere pronti ad affrontare la gara è un compito estremamente impegnativo. Per prepararsi al massimo, bisogna acquisire sicurezza e padronanza delle proprie abilità, senza tuttavia sottovalutare le possibili incertezze e gli errori che possono insinuarsi.

Un tempo ero maestra nell'arte di non farmi influenzare dal mondo esterno, di mantenere un controllo ferreo sulle mie emozioni. Ma ora, devo ammettere, che le emozioni sono diventate un elemento fisso della mia vita. Sono una parte di me, forse anche una fonte di forza, ma devo stare attenta a non permettere loro di diventare un fattore critico che mina la mia concentrazione e la mia performance.

I primi tre giorni li trascorriamo seguendo la nostra solita routine, ci alziamo, facciamo colazione insieme, ci immergiamo negli allenamenti intensi e, dopo cena, crolliamo esauste. Sono momenti in cui rafforziamo il nostro legame di squadra, ci sosteniamo reciprocamente e cerchiamo di dissipare le ansie che ci attanagliano.

Tuttavia, la sera prima della gara, l'agitazione si fa sentire in modo palpabile. Sono nel letto, avvolta nell'oscurità, incapace di trovare pace. Osservo Nora, la mia compagna di squadra, che dorme profondamente, ignara delle turbolenze che mi attraversano l'animo. Guardo l'orologio che segna le tre del mattino, e sento un'urgenza dentro di me. Devo fare qualcosa per lenire l'agitazione che mi opprime.

Silenziosamente, mi alzo dal letto e recupero una felpa lunga dalla mia valigia. Avvolgendomi in quel morbido abbraccio, mi avventuro fuori dalla stanza. Attraverso i corridoi dell'hotel, mi dirigo verso il piano di sotto, vicino alla hall, dove ho notato un angolo tranquillo dedicato a una caffetteria fai da te. L'atmosfera notturna dell'hotel mi avvolge con il suo silenzio irreale, accentuando la solitudine che mi accompagna in questa notte di incertezza.

Arrivata alla caffetteria, mi ritrovo a fissare le attrezzature silenziose, in attesa del loro servizio. Mentre il bollitore si riscalda lentamente, la mia mente vaga tra i ricordi degli avvenimenti che hanno caratterizzato questo ultimo periodo. Ripenso al modo in cui la personalità straordinaria e determinata di Nora ha inciso sulla mia vita, aprendo porte che credevo chiuse per sempre.

Il rumore dei pensieri si mescola al suono del bollitore, coprendo i passi furtivi che si avvicinano dietro di me. Mentre mi allungo per afferrare una bustina di camomilla, la felpa si solleva leggermente, lasciando scoperta gran parte del mio sedere. È in quel momento che sento una voce riecheggiare nelle orecchie «Niente male come spettacolo».

Sussulto per lo spavento, stringendo il cucchiaino che tengo tra le dita come se fosse un'arma, mi volto rapidamente.

«Fammi capire. Vorresti colpirmi con un cucchiaino?» aggiunge Tommaso, che si trova in piedi con un sorriso compiaciuto sul volto, come se avesse appena assistito a uno spettacolo divertente in cui mi ritrovo praticamente in mutande.

Sbuffo, provando un misto di irritazione e imbarazzo.

«Sei peggio del prezzemolo», gli dico.

«In che senso?», chiede lui, incuriosito.

«Nel senso che sei sempre nel mezzo», rispondo, voltandomi per tornare alla preparazione della mia camomilla, cercando di ignorarlo.

Mi sorprende sempre come Tommaso riesca a farmi innervosire in un batter d'occhio. È come se avesse il dono di tirare fuori il lato irascibile di me con una facilità disarmante.

«Potresti prepararmi quella... "cosa" che ti stai facendo per te», chiede, con una nota di sfida nel tono di voce.

«Ma anche no», rispondo seccata.

Raccolgo le cose in fretta, lasciandolo lì a borbottare tra sé e sé, mentre mi allontano.

Decido di rilassarmi sul soffice divanetto nella veranda chiusa, che offre una vista panoramica sul pittoresco giardino interno. Le luci soffuse creano un'atmosfera rilassante, mentre mi accomodo, avvolta nella morbida coperta, cercando un momento di tranquillità. Dopo qualche minuto, sento che il posto accanto a me si abbassa sotto il peso di qualcuno.

«Mi stai pedinando?» chiedo con una leggera nota di sarcasmo nella voce, mentre sollevo lo sguardo per incrociare quello di Tommaso.

«Scusa. Non mi sembrava che ci fosse un cartello che indicasse "proprietà privata"», risponde con un sorriso, cercando di sdraiarsi comodamente.

«Fa come vuoi», rispondo, portando la tazza fumante che tengo tra le mani vicino alla bocca, sperando che il calore mi avvolga e mi dia un po' di conforto.

Restiamo seduti così, in silenzio, entrambi immersi nella contemplazione dell'esterno. Le luci del giardino si riflettono delicatamente sui nostri volti, creando un'atmosfera suggestiva. Dopo un po', la voce di Tommaso rompe il silenzio.

«Mi chiedo che cosa sia successo, per farti diventare così», dice con una punta di curiosità nella voce, i suoi occhi azzurri scrutano i miei, cercando di comprendermi.

«Come scusa?», rispondo, cercando di nascondere l'effetto che quelle parole hanno su di me, ma sentendomi allo stesso tempo vulnerabile.

«Conosco le persone come te. Sono quelle persone che soffrono in silenzio», continua, il tono della sua voce si fa più morbido, come se volesse aprirmi un varco nel cuore.

Spalanco la bocca, sorpresa che sia così evidente. Senza pensarci troppo, e senza capire bene il motivo, mi lascio trascinare dalle emozioni che mi travolgono.

«La verità è... spesso non mi sento abbastanza», confesso, la voce leggermente tremante, mentre le lacrime iniziano a offuscare la mia visione.

Le sue parole hanno sciolto il nodo che da tempo tengo stretto dentro di me, come se qualcuno finalmente capisse il peso che ho sulle spalle.

«Puoi cambiare questo aspetto», risponde con un'incoraggiante dolcezza. E quelle parole aprono le porte alle mie emozioni represse, come un invito a esplorare la mia vulnerabilità.

«Posso cambiare le apparenze, ma non potrò mai sostituire i miei pensieri... Sai qual è la cosa buffa? Tutti si aspettano di vedere la persona che ero. Quella che sorrideva sempre, quella che c'era sempre per gli altri, quella che si appoggiava agli altri, quella che metteva gli altri al primo posto. Ma quella persona non esiste più», dico, lasciando che il peso delle parole si sparga nell'aria.

Le mie parole sembrano fluttuare nel silenzio, come farfalle impaurite che si sono finalmente liberate dalla gabbia invisibile in cui erano imprigionate.

«Sai cosa succede quando la persona su cui fai affidamento si sposta? Cadi. Smetti di credere nelle persone, smetti di pensare di meritare qualcosa di buono. Ti rimane solo il dolore, e la cosa peggiore è che non speri che smetta di fare male. No. Ti aggrappi alla speranza di poterne diventare immune», ammetto, le lacrime scendono silenziosamente sulle mie guance, ma sento anche un senso di liberazione.

Riprendo fiato, sorpresa di aver finalmente condiviso parte dei miei pensieri con qualcun altro. Ma ciò che mi lascia ancora più stupita è il fatto di averlo fatto con Tommaso, la persona che sa come farmi perdere la pazienza più velocemente di chiunque altro.

Imbarazzata, mi alzo di scatto dal divanetto, cercando di nascondere la fragilità che ho appena mostrato. «Bene. Direi che dopo questa mia... come potrei definirla? Si, figura di merda. Credo sia arrivato il momento di andare a letto», dico, cercando di recuperare un po' di compostezza.

Tommaso non mi segue, ma dice solo, con una sincerità disarmante «Era un vero cretino».

Battito D'aliWhere stories live. Discover now