Capitolo 2

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Qual è la sensazione che si prova prima di una gara?

È una delle domande a cui è più difficile rispondere. Per farlo bisogna togliersi tutto di dosso e guardarsi dentro. E' un mix di sensazioni uniche e spaventose allo stesso tempo.

L'adrenalina è il fuoco ardente che danza nel petto, una fiamma che cresce nell'attesa dell'evento imminente. Il cuore batte accelerato, un tamburo che suona la colonna sonora della competizione, portando con sé la promessa di sfide. Le mani diventano sudate, il respiro si fa corto, e le farfalle nello stomaco diventano sempre più frenetiche.

L'eccitazione, invece, è come un'onda crescente, una marea di emozioni che porta con sé la possibilità di superare i propri limiti. È la consapevolezza che ogni gara è un capitolo unico, l'opportunità di dipingere il proprio percorso con colori di coraggio e resilienza. Questa marea emozionale può travolgere, ma può anche essere canalizzata in energia positiva e determinazione.

Tuttavia, di pari passo con queste emozioni positive, emerge anche la paura.

La paura di non essere all'altezza, di commettere errori, di deludere se stessi o gli altri. È un pensiero che si insinua, talvolta in modo impercettibile, ma che accompagna ogni atleta dalla preparazione fino alla fine della stagione agonistica.

Questo conflitto interiore può essere paralizzante, ma può anche essere trasformato in una fonte di motivazione e concentrazione.

Entrare nella mentalità giusta prima di una gara è uno degli aspetti cruciali per prestazioni al top. Le reazioni emotive a situazioni di stress possono esaurire le risorse di un atleta e, se mal gestite, possono avere un impatto negativo sulle prestazioni.

I campionati nazionali rappresentano la massima competizione individuale, e mai avrei immaginato di qualificarmi per la finale di specialità. Contro ogni mia aspettativa, mi ritrovo seduta nello spogliatoio, pronta a scendere in pedana con le migliori atlete della nazione. Cerco di regolarizzare il respiro per gestire al meglio la tensione.

Quando si tratta di ginnastica, la mia mente è sempre lucida e salda. Visualizzo il mio obiettivo e mi preparo a raggiungerlo. È per questo che vengo considerata 'di ghiaccio', perché non lascio trasparire alcun sentimento. Ma oggi è diverso; la mia mente è annebbiata, incapace di separare le due parti di me. Combatto contro le onde di emozioni contrastanti che minacciano di trascinarmi via.

Da due giorni non lo sento, e in questo lasso di tempo non ho fatto altro che rivivere la stupida discussione di venerdì. Sì, lo ammetto, avrei potuto evitare di arrabbiarmi per una sciocchezza. Di solito sono io quella che cerca sempre di tenere buone le cose e che cerca di evitare lo scontro, ma qualcosa è andato storto. Forse, senza accorgermene, mi sono lasciata sopraffare dalla pressione della gara. Nonostante tutto, lui non ha trovato nemmeno due minuti per dedicarmi una parola. Non ha avuto la decenza di inviarmi un messaggio dopo la sua consueta serata con gli amici.

Con il telefono stretto in mano, compio l'unica azione che non avrei mai dovuto fare e di cui mi pentirò. Navigo sul suo profilo, e la prima immagine che appare ritrae lui e i suoi amici, ubriachi, abbracciati a delle ragazze sconosciute. Fisso lo schermo del telefono, come se cercassi un motivo valido, ma tutto ciò a cui riesco a pensare è che non sono stata tra i suoi pensieri. Una fitta di delusione mi attraversa.

Non posso crederci. In un impeto, getto il telefono in fondo al borsone, come se volessi seppellire quel momento. Non voglio vedere altro.

Ora, più che mai, devo concentrarmi sulla gara, escludendo ogni distrazione.

La mia parte fredda e calcolatrice si scontra con quella timida e insicura, un conflitto interiore che si manifesta nel mio sguardo perso nel vuoto per un tempo indefinito.

La paura si fa strada dentro di me, e nella mia testa iniziano ad affollarsi mille pensieri.

"E se non dovessi farcela?", "Sarò all'altezza?". Cerco di fare chiarezza dentro di me quando dalla porta compare Alessandro. Il suo passo è sicuro, il volto sereno. Si avvicina e, con voce rassicurante, dice «Adele, avere paura non è sbagliato. Tutti abbiamo un momento di debolezza. Non importa come andrà la gara, tu resti comunque la migliore».

Le sue parole sono come una luce nel buio. Inspiro profondamente, sentendo il sostegno il suo sostegno. Mi alzo in piedi con risolutezza e, senza pronunciare una parola, prendo il body, perchè è arrivato il momento di cambiarsi.

Il mio nome viene scandito al microfono, dando inizio ufficialmente alla mia finale. Mi avvicino alla pedana, alzo la testa rivolgendo lo sguardo ai giudici e con tutta la sicurezza che mi contraddistingue, faccio il saluto di ingresso e mi posiziono al centro. Tuttavia, anche se cerco di respingere i pensieri distruttivi, le immagini del mio ragazzo, stretto ad altre ragazze, si intrecciano con il ritmo della musica, diventando un chiodo fisso.

Ogni movimento delle loro figure sembra danzare insieme alle note, una coreografia involontaria che mi tormenta mentre mi preparo per la mia esibizione. Cerco disperatamente di respingere questi pensieri, di concentrarmi solo sulla mia performance, ma il cuore pesa più del previsto, come se ogni battito fosse un rimprovero per il tradimento che immagino. Non dovrebbe essere così, non in un momento così importante come una competizione.

Mi sforzo di chiudere fuori le emozioni, di isolare quei pensieri e di focalizzarmi solo sul mio movimento.

Arrivo all'ultima diagonale, la fatica pesa sulle spalle come un manto di piombo, ma so di dover resistere. Ogni passo è una battaglia contro la stanchezza che minaccia di sopraffarmi. Con ogni respiro, cerco di trovare la forza per andare avanti. Un'ultima prova e tutto sarà concluso, mi ripeto. Preparo il corpo per il doppio raccolto, prendo lo slancio, ma improvvisamente avverto una strana sensazione. Un piccolo sussulto di paura si fa strada nel mio petto, ma lo ignoro, forse solo un cenno di nervosismo. Eppure, mentre volo nell'aria, atterrando con grazia e potenza, avverto un dolore acuto che squarcia la mia mente.

In quell'istante, il ginocchio cede, il suolo diventa un nemico improvviso, e il dolore prende il sopravvento. La musica giunge al termine, mi ritrovo seduta a terra, la gamba sinistra stretta al petto, e le lacrime che solcano il viso.

Il mio allenatore si avvicina di corsa, i suoi passi rapidi come un eco lontano. Lo sguardo è pieno di preoccupazione e comprensione, un misto di angoscia e compassione. Basta uno sguardo tra noi per capire che è tutto finito.

Battito D'aliDove le storie prendono vita. Scoprilo ora