Capitolo 20.2

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La presentazione si è conclusa rapidamente, senza lasciare spazio a molte domande o convenevoli. Avrei preferito che si prolungasse di più, dato che adesso saremo coinvolti nella seconda parte dell'evento, che avrei preferito evitare del tutto.

Il luogo scelto per l'occasione è un locale rinomato, noto per la sua eleganza e raffinatezza. Le pareti sono rivestite in velluto rosso scuro, mentre l'illuminazione soffusa crea un'atmosfera intima e seducente. Il pavimento in marmo bianco e nero dona un tocco di classe e i lampadari sfavillanti pendono dal soffitto alto, diffondendo una luce dorata che fa risplendere il locale.

Guardandomi intorno, comprendo immediatamente il motivo per cui è stato imposto un dress code rigoroso. Gli ospiti, in abiti elegantissimi, si muovono con grazia ed eleganza. Mi sento a disagio in mezzo a tutte queste persone, consapevole di non appartenere a quel mondo di lusso e glamour. Ma il mio stato di disagio è amplificato dall'abito che Nora mi ha obbligato a indossare. È un completo spezzato composto da una maglia nera aderente con uno scollo a barca che lascia scoperte parte delle spalle, e una gonna lunga leggermente a vita alta con un profondo spacco sul lato. Ai piedi indosso un paio di stivaletti con un sottile tacco a spillo, troppo alti per i miei gusti. Ho semplicemente lisciato i capelli per cercare di apparire quanto meno fuori posto possibile.

Mi unisco ai ragazzi della squadra, ma noto subito l'assenza di Tommaso tra di noi. Con un'occhiata furtiva, lo scorgo circondato da ragazze, e il suo sorriso compiaciuto mi fa supporre che si senta perfettamente a suo agio in quella situazione.

Decido di distogliere lo sguardo prima che lui si accorga che lo sto osservando. Non voglio rischiare di gonfiare ancora di più il suo ego, che è già smisurato.

Torno alla conversazione con gli altri, cercando di concentrarmi, quando sento pronunciare il mio nome da una voce che mi è fin troppo familiare. Non può essere lui, penso.

Ma la mia certezza vacilla nel momento in cui sento una mano che scivola sulla mia spalla, costringendomi a fare i conti con la realtà.

Mi ritrovo di fronte a Marco, i suoi occhi intensi che mi fissano, in compagnia dei suoi amici e di un gruppo di ragazze che sembrano essere uscite direttamente dalle pagine di una rivista di moda.

«Adele, che bello vederti», cerca di allungarsi verso di me come se volesse abbracciarmi, ma io faccio un passo indietro, cercando di mantenere una certa distanza. Le ragazze in sua compagnia mi squadrano dalla testa ai piedi, i loro sguardi interrogatori sembrano penetrare dentro di me, e in quel preciso istante inizia la mia battaglia interiore. La parte razionale vorrebbe mantenersi superiore e ignorare quegli sguardi inquisitori, ma l'altra parte, quella che non riesce ad accettarsi, inizia a elaborare pensieri per conto proprio, alimentando insicurezze e dubbi.

Per fortuna riesco a rispondere senza far vedere quanto questo incontro mi faccia male, «Marco, ti ringrazio. Ma non credo sia un'ottima idea. Scusami, ma adesso devo andare».

Mi volto e corro verso il bar, sentendo il bisogno impellente di bere qualcosa, la mia gola completamente secca per l'emozione.

Mi siedo al bancone e ordino uno spritz, ne affondo subito un sorso, cercando di ritrovare un po' di calma. Ma la mia piccola fuga dalla realtà viene bruscamente interrotta quando sento una voce alle mie spalle, «Adele, aspetta. Perché sei scappata così?».

Proprio lui, Marco, mi fa una domanda del genere?

«Marco, non sono scappata. Ho solo scelto di ignorarti. Dovresti conoscere questo termine, dato che ti è riuscito piuttosto bene».

Le parole escono dalla mia bocca come un fiume in piena, sento il peso di anni di frustrazione e dolore che finalmente si liberano. Stranamente, dopo questa esternazione, mi sento più leggera, come se avessi finalmente messo in parole tutto ciò che tenevo dentro.

E poi, in pochi istanti, tutto cambia. Nel momento in cui mi volto verso il barman per ordinare un altro cocktail, sento improvvisamente una mano forte stringermi il braccio, tirandomi verso di lui con una presa decisa.

Sorpreso e confuso, il mio sguardo si posa su Marco, il suo volto esprime una combinazione di determinazione e speranza.

«Adele, sei bellissima», dice con voce affannata.

Mi divincolo con determinazione dalla sua presa, cercando di liberarmi dalla sua presenza invadente. Il mio braccio si sottrae alla sua stretta e retrocedo di qualche passo, fissandolo con sguardo severo, «Devi starmi lontano», gli dico seccata, provando a mantenere la mia posizione di distanza.

Una mano tatuata mi afferra per la vita per avvicinarmi a lui. Quel contatto della sua mano sulla mia pelle scoperta mi fa venire i brividi e mi confonde.

Alzo lo sguardo e trovo due iridi piene di odio «Lei sta con me», aggiunge.

Marco alza lentamente le mani in segno di resa e, quasi come per magia, scompare tra la folla di persone che si muove freneticamente intorno a noi. La sua figura si dissolve nell'oceano di volti sconosciuti, lasciandomi con un senso di smarrimento.

Anche se i miei muscoli si rilassano dopo quel momento di tensione, la mia mente rimane offuscata da una nebbia opaca. Ho bisogno di allontanarmi, di creare uno spazio intorno a me per poter riprendere fiato. Senza esitare, corro verso il bagno più vicino, chiudendo la porta dietro di me con un tonfo sordo. Mi accascio a terra, le spalle premute contro la superficie fredda della porta.

È difficile spiegare la sensazione che si prova quando il tuo cervello inizia a pensare per conto proprio, come se le sue sinapsi avessero preso vita propria. Un turbinio di pensieri confusi invade la mia testa, come un caos disordinato che si fa strada tra le vie della mia mente. Tutto questo mi fa male. Mi sento intrappolata in un corpo che sembra una gabbia, mi manca l'aria, la libertà. La sensazione di impotenza mi distrugge dall'interno. Cerco disperatamente di fuggire da tutto questo, di mettere un muro tra me e le persone che mi circondano. Ogni parte di me è pervasa dall'odio per l'incapacità di controllare il mio stesso corpo, per tutto ciò che sono.

Provo a trovare un po' di conforto nel braccialetto che tengo al polso, un piccolo amuleto che mi ha sempre dato un senso di protezione. Ma questa volta, anche il suo potere sembra svanito nel nulla, come se l'energia che solitamente emanava si fosse esaurita.

Sto per abbandonarmi al buio che mi circonda, quando improvvisamente la porta alle mie spalle si apre con un rumore assordante. Il suono interrompe il flusso dei miei pensieri tormentati, attirando la mia attenzione. È lui, in piedi davanti a me, con l'espressione preoccupata di chi ha colto che qualcosa non va. Il mio sguardo si incolla al suo, e le lacrime iniziano a sgorgare senza che io possa contenerle.

Senza proferire parola, si avvicina e circonda la mia vita con le sue braccia forti, offrendomi un sostegno silenzioso. Mi aiuta a rialzarmi, lentamente, come se fosse lì per sollevarmi dai miei tormenti. Il suo sguardo gentile e amorevole non mi lascia un istante, evitando di incrociare il mio sguardo insicuro e pieno di dolore. Mi avvolge nel suo abbraccio, permettendomi di nascondere il viso contro il suo torace, come un rifugio sicuro dove poter sfogare il mio dolore.

Mi dice soltanto, con voce calma e rassicurante «Ti porto via da qui».

Con il suo corpo forte e protettivo, mi fa da scudo, come se volesse nascondermi agli occhi indiscreti degli altri o semplicemente evitare che domande inopportune mi feriscano ulteriormente. In quel momento, mi sento finalmente al sicuro, come se avessi trovato un alleato in questa battaglia interiore che sto combattendo.

Battito D'aliDär berättelser lever. Upptäck nu