Capitolo Ventisettesimo - Parte Seconda: Wòréb

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«Non sembra esserci qualcuno. Voi avvertite qualcosa?» Parlò piano, tanto che per un istante si chiese se anche Akŕav, in fondo alla fila, lo avesse udito.
Con la coda dell'occhio vide Alex scuotere la testa e la sua risposta gli bastò per prendere la decisione di entrare.
Si mosse svelto, sicuro, e il suo corpo produsse solamente un fruscio leggero che si confuse con quello delle tende spostate dalla brezza. I piedi affondarono nell'enorme tappeto, attutendone il tonfo. Era dentro e il profumo di casa lo investì, lasciandolo stordito. Si respirava ancora la nodosità del legno, la sua presenza sopra il capo e sotto le scarpe e, senza doversi sforzare, la traccia lieve di incenso al sandalo.

Casa, si ripeté nella mente, ora osservando con più trasporto il salotto. Quanti ricordi aveva di quel posto e quanti stavano provando ad assalirlo. Così deglutì tutto - saliva, nostalgia, dolcezza e anche amarezza - poi si volse per aiutare la sorella.
Alexandria aveva appena appoggiato il sedere sul davanzale quando lui le cinse la vita, facendola sussultare. Nakhaš sentì il corpo di lei irrigidirsi, tentare la fuga e, se non l'avesse tenuta abbastanza saldamente, sarebbe balzata a terra mandando in fumo lo sforzo di non fare rumore.
Le dita della ragazza si strinsero repentinamente poco sopra i suoi polsi, impedendogli di compiere qualsiasi altro movimento, e gli occhi screziati di rosso si puntarono nei suoi, rivelando un certo disagio.
«Mi hai presa alla sprovvista» le sentì sussurrare.
«Scusa» Levi si morse una delle punte della lingua: «sono stato un gentiluomo per troppo tempo, penso sempre abbiate bisogno di me, Contessa.» Ma non fece in tempo ad allargare il sorriso che lo sguardo di Alexandria volse altrove, facendogli dubitare di aver usato le parole più appropriate.
L'aiutò a scendere.

Dannazione, pensò subito dopo averla lasciata andare. Sapeva che con lei doveva stare attento, era sempre stato così. Dal giorno in cui l'aveva conosciuta fino a quel momento - e Salomone glielo aveva detto più volte, si era premurato di ricordaglielo.
Tornò alla finestra, stavolta nel tentativo di aiutare Noah e, con lui, Zenas. Con la gamba ancora provata dallo scontro e la sua stazza, Akràv sarebbe di certo stato quello più goffo. Ci vollero quindi un paio di tentativi e di grugniti soffocati prima che anche lui riuscisse a mettere piede in casa. Una volta dentro, anche nella sua espressione fu possibile leggere le stesse emozioni che aveva provato Levi poco prima.

«Casa, eh?»
Già, casa.

Alexandria e Noah nel mentre avanzarono nel corridoio, lei cercando di fiutare qualcosa, lui per mera curiosità. Si volsero dal lato opposto all'ingresso, così quando fu il turno di Nakhaš di uscire dal salotto, per scrupolo, guardò verso la porta che non gli avevano lasciato sfondare.
Accanto all'uscio, sull'appendiabiti, erano stipati pochi capi: due giacche dal taglio vintage e alcuni foulard variopinti che davano colore alla pallida carta da parati messa a nuovo.
Chiunque avesse preso residenza lì non doveva avere una famiglia numerosa, questo era certo. Doveva trattarsi di una, massimo due persone.

«Aspetta.» La voce di Alexandria, seppur un soffio, lo fece voltare di scatto. Aveva la mano stretta intorno al braccio di Noah, bloccato a metà del primo gradino che portava al piano superiore, e lo guardava dritto in viso, preoccupata: «Non muoverti senza uno di noi, okay? È pericoloso.»
Di fronte alla scena una sorta di gelosia lo colse alla sprovvista. C'era qualcosa, in quello sguardo, in quel loro toccarsi, che lo urtava più di quanto si sarebbe mai aspettato. Riflettendoci non avrebbe saputo dire con precisione chi, tra di loro, gli procurasse tanto fastidio, se  Alexandria Orsòlya Vàradi che a dispetto di qualsiasi previsione aveva messo di farsi remore riguardo a Noah, o proprio lui, che senza rendersene conto aveva finito con il ghermirla a sé esattamente come nelle vite precedenti.

Quando stavolta i denti affondarono nella lingua, Levi poté sentire in bocca il retrogusto del sangue.

Involontariamente le gambe si mossero. A grosse falcate divorò lo spazio che lo separava da loro, si fece così vicino da poter sentire il profumo della pelle di Alex, il deodorante di Noah. Sapeva di star agendo nel modo sbagliato, di star dando campo libero all'animale in lui e se ne rese maggiormente conto quando, ancor prima di raggiungerli, la pupilla della sorella gli si incollò addosso, facendogli formicolare le mani e stringere i pugni.
L'Hagufah si volse nella sua direzione: «Qualcosa non va, Levi?»
Sì, lui, il suo desiderio, la bramosia che montava all'improvviso e senza controllo.
Nakhaš si bagnò le labbra: «No, è solo che preferirei non vi allontanaste» mentì: «Ancora non sappiamo chi abita qui.»

Alexandria annuì e solo a quel punto mollò la presa sul braccio di Noah, alleggerendo il petto del fratello.

Finalmente.

«Direi di controllare il piano inferiore, allora. Che ne pensi?»  Senza aspettare la sua risposta, Z'èv riprese la perlustrazione, ma le bastarono pochi passi prima di fermarsi nuovamente.
«Che hai?» le chiese notando le sopracciglia corrugate.
Con il naso rivolto verso l'alto Alexandria si mise a fiutare l'aria al pari di un cane da tartufo e dalla sua espressione fu chiaro che qualcosa la stesse allertando.
Mosse un altro passo, poi fece una sorta di giravolta lenta. Non stava capendo da dove la traccia arrivasse né dove stesse portando, era ovvio, ma qualcosa di più strano sembrava preoccuparla.
«Akhòt...?»
«Dio, non... non può essere.»
Poi un'ombra e un tonfo.
Z'èv sussultò presa alla sprovvista e d'istinto Nakhaš afferrò l'Hagufah tirandoselo alle spalle per fargli da scudo. Ancora una volta. Sempre. Salomone in fondo veniva prima di tutto: prima della sua carne millenaria, del suo cuore umano, della sua anima mostruosa.

Lo sguardo di Levi saettò intorno a  loro alla ricerca del pericolo, certo di trovarlo. Osservò ogni angolo del corridoio, su lungo la scala che portava al piano superiore e poi giù verso l'ingresso, incapace di scorgere qualsiasi cosa. Ma come era possibile? Poi, come nei peggiori film horror, il braccio di Zenas spuntò dal vano che portava al salotto. La mano spalancata sul pavimento, le dita ancorate al parquet in cerca di aiuto. E poi i grugniti soffocati, come se avesse la faccia schiacciata al pavimento.
Cosa cazzo stava succedendo?
In un gesto rabbioso l'arto dell'uomo sparì nuovamente nella stanza dove la colluttazione stava avendo luogo e al suo posto un paio di cesoie da giardinaggio rimbalzarono contro il muro, rovinandolo.
Per un momento Levi non riuscì a ragionare, incerto se lasciare Noah alla mercé di possibili aggressori o se correre da Akràv in difficoltà; poi l'istinto, oppure il cameratismo che provava per i fratelli, lo fece scattare in avanti.
Si precipitò nella stanza pronto a colpire l'aggressore, il corpo teso e guizzante, le mani pronte a stringere. Caricò il colpo senza riflettere, agendo con una naturalezza che nemmeno lui ricordava, ma un grido alle sue spalle lo bloccò al pari di un incantesimo.

«È Colette!»
E immense iridi nere si alzarono ferocemente su di lui, facendogli perdere un battito.

«È Colette!»E immense iridi nere si alzarono ferocemente su di lui, facendogli perdere un battito

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Le Chimere di Salomone: il ReWhere stories live. Discover now