Quando penso di tornare di sopra e irrompere nella sua camera, la sento imprecare contro qualcosa. Scuoto la testa e sorrido per i suoi modi sempre sbadati; lei non tenta di sembrare una bambina timida, lo è. Riesce ad essere piccola e forte allo stesso tempo, ad essere un misto di dolcezza e testardaggine, un mix a cui riesco a stare appena dietro, sfugge dal mio controllo e mi trascina senza battere ciglio. La sua bellezza, innocenza ma anche il suo modo di reagire, di andarmi contro, di essere così determinata e testarda mi destabilizza.
«Ci metti troppo a prep...» sto dicendo ma mi blocco quando appare davanti ai miei occhi e rimango come un ebete a fissarla.
Indossa il vestito aranciato, il suo modo di uscire dagli schemi anche per la scelta di un vestito mi rende sempre così sorpreso e stordito di lei. La sua sola presenza mi rende così tremendamente confuso e fuori dal quel me stesso che tanto detesto.
«Ti piace?» Mi chiede con quella sua voce timida e delicata.
Mi mordo le labbra e vorrei poterle dire che utilizzare il termine "piacere" è un puro eufemismo ma le parole non mi escono di bocca, e per la seconda volta nella mia vita mi ritrovo a non riuscire a parlare. Faccio un lungo sospiro, le tendo la mano per scendere l'ultimo gradino e mi concedo di guardarla bene, ogni piccolo dettaglio.
Il vestito ha una forma a trapezio sul seno dove la scollatura ha una piccola "v" che fa intravedere i suoi seni perfetti, arriva fino al ginocchio morbido ma disegna la sua vita stretta in modo impeccabile, i lacci dei sandali invece arrivano a metà polpaccio facendole apparire le gambe ancora più sottili.
Lo avevo sottovalutato, penso.
Da un tocco diverso alla sua pelle color latte, e si abbina perfettamente ai capelli color fuoco legati in un chignon alto. Alcune ciocche ondulate cadono sul viso rendendolo ancora più delicato ed elegante. Lei mi guarda con i suoi occhi blu, speranzosa ed io mi ritrovo ancora una volta a faticare a parlare perché troppo impegnato ad osservare la sua bocca rosea e le labbra piene.
Con il pollice sfioro due piccoli nei all'altezza del lobo, mi lecco le labbra, tuttavia, mi avvicino con il capo e ci poso un bacio bagnato provocandole un brivido.
Continuo con altri due baci, uno sulla guancia — dove le lentiggini sembrano creare una nuvola, un po' come quando si osserva il cielo di notte e con le stelle si riesce a creare qualche forma immaginaria —, l'altro all'angolo della bocca dove emette un breve sospiro caldo accompagnato da un flebile gemito.
Lei socchiude gli occhi e si lascia blandire dalle mie mani che non riescono a starle lontano.
«Sei bellissima» mormoro sulla sua bocca.
Senza aprire le palpebre, le sue labbra si incurvano spontanee formando un sorriso che probabilmente non riesce a trattenere, le guance si colorano di un rosso tenue e  lascia andare un altro sospiro di apprezzamento.
Mi avvolge le braccia in vita mentre io continuo a contemplare la bellezza del suo viso; è truccata appena: un filo di mascara e un ombretto rosa sulle palpebre.
Lascio un bacio sulla sua bocca dove ha applicato un lucido alla ciliegia.
Assaporo con gusto e sussurro: «Buono» per poi aggiungere: «potrei accontentarmi di questa cena».
Lei ride di gusto e mi da una pacca leggera sulla schiena per ammonirmi.
«La colpa è di questo rossetto così buono» commento afferrandole il labbro inferiore con i denti.
Lo succhio con forza levando quasi del tutto il lucido.
«Dovremmo andare», ansima.
«Altri due minuti» cinguetto continuando a baciarle la bocca con troppo desiderio.
Lei si stringe a me alzando le punte per aggrapparsi alle mie spalle e strattonarmi i capelli.
Mi piace quando fa questo gesto, tuttavia ci baciamo con ardore, passione, le nostre lingue vanno all'unisono per un tempo troppo limitato.
«C-chris...» fa lei continuando a ricambiare il mio bacio.
«Christian» mi chiama e si stacca da me con difficoltà leccandosi le labbra.
«Cosa c'è?» Rispondo col fiato corto e inebriato della sua essenza.
«Dobbiamo andare» brontola controvoglia mettendo il broncio.
Sbuffo e alzo gli occhi sull'orologio attaccato alla parete a numeri romani che segna le otto e trentacinque.
«Siamo in ritardo di cinque minuti» puntualizza.
«Stiamo andando» sbraito sistemandomi i capelli mentre lei si guarda allo specchio per riordinarsi e rimettere il lucida labbra custodito nella pochette.
«Non ne hai bisogno», le dico mentre lei lo applica sulla bocca carnosa e arrossata dal nostro bacio.
Non mi da retta e quando finisce, lo ripone nella borsetta e mi oltrepassa per uscire di casa.
In pochi passi la raggiungo e la supero per arrivare prima alla macchina e aprirle lo sportello.
«Tre volte in un giorno» commenta.
Allora si è accorta del mio gesto, non riesco ad essere sempre molto gentile con gli altri ma sapevo che avrebbe apprezzato un gesto così piccolo quanto significativo per una ragazza come lei.
Non rispondo e la raggiungo salendo in macchina, allaccio la cintura e partiamo.
«Mi chiedo perché sei venuto in macchina... dobbiamo percorrere solo una strada» chiede curiosa guardando fuori dal finestrino.
«Ho dovuto fare alcune commissioni» dichiaro vago perché non posso spiegarle che ho girato per tutta la città per calmare la tensione, ho cercato la terapeuta e poi non ci sono andato, ho rischiato di perdere il controllo più di una volta e ho combattuto contro me stesso per non tornare a casa e fare una sceneggiata a mio padre.
Quando sono davanti al cancello sento tutto formicolare, la tensione mi stringe la gola e vorrei strapparmi questa fottuta camicia che mi soffoca. Spengo il motore davanti l'ingresso e noto che anche lei è un po' tesa ma come biasimarla. Tuttavia dovrei tranquillizzarla ma in verità un nodo alla gola mi fa mancare il respiro, ho lo stomaco in subbuglio e le mani sudate, non riesco a calmare me stesso figuriamoci lei.
«Andrà bene» dice a entrambi prima di scendere dall'auto.
«Mh» faccio per farle intuire quanto sia contrariato, dopodiché, la raggiungo lentamente fino alla porta d'ingresso e vorrei sentire il suo contatto per calmarmi ma desisto.
Ad aprirci è Agnese con un sorriso grande e caloroso, le sopracciglia alzate e l'aria troppo festosa.
«Signora Agnese, è bello rivederla» la saluta Federica con voce calorosa e un po' tremolante.
«Anche per me lo è, Federica... non sai quanto!» Dichiara la donna più emotiva e dolce del pianeta.
In effetti le stringe la mano e i suoi occhi si riempiono di lacrime, il sorriso colora tutto il viso ed io mi ritrovo ancora una volta a pensare come faccia Federica a far cambiare le persone con la sua sola presenza. Il mio umore precipita ancora una volta quando la voce di mio padre si fa nitida e squillante salutandoci come un perfetto padrone di casa. Afferra la mano di Federica e la avvolge tra le sue rivolgendole un sorriso tutto denti.
«È bello rivederti, bentornata» le dice con quell'entusiasmo che mi rende nervoso ma soprattutto rabbioso.
«Anche per me lo è, Signor De Luca» risponde lei timida e con tono tutt'altro che simpatico — per le mie orecchie — mio padre afferma: «Chiamami Andrea, ti prego... non voglio sentirmi vecchio».
Lei sorride mostrando appena i denti e ripete il suo nome con convinzione; non le piace stare al centro dell'attenzione e lo noto da come si dondola da un piede all'altro, cerca il mio sguardo e abbassa il viso come per nascondersi dietro una sciarpa immaginaria.
Un suono ci fa spostare l'attenzione e capisco di chi si tratta, Amelia Sebastiani ormai Amelia De Luca chiamata da tutti Amy, adora invece stare al centro del mondo, ecco perché mio padre la ama così tanto.
Spunta con il suo décolletté beige di circa dodici centimetri, abito anch'esso scollato color panna con uno scollo pronunciato sulla schiena, anelli e orecchini super costosi e acconciatura tutt'altro che sobria. È una bella donna bionda, con gli occhi chiari e una carnagione olivastra; è una donna d'affari e questo fa impazzire la mente e qualcos'altro di mio padre.
«Ecco la mia donna» esordisce lui con troppa enfasi.
Deglutisco a vuoto e provo a mantenere la calma, infatti mentre si salutano rimango in disparte per evitare una sceneggiata. Così, quando i convenevoli finalmente finiscono ed io evito di rispondere alle domande insistenti e di circostanza di mio padre, ci avviamo al tavolo apparecchiato in modo troppo elegante.
«Tutto questo lusso non lo condivido!» Esclamo senza riuscire a trattenermi.
«Christian per un ospite speciale, bisogna utilizzare un servizio speciale» comunica Andre De Luca sempre sul pezzo.
Lei cerca il mio sguardo ma io non glielo concedo, il mio nervosismo mi uccide e so che questo può significare tutto tranne che qualcosa di buono.

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