Il primo dice:

20:30 sono da te, non farmi aspettare.

E poi:

Ceniamo da me! Ci sarà anche mio padre e Amelia.
Se preferisci un altro orario, fammelo sapere.

Riesce ad essere freddo e distaccato anche attraverso i messaggi, ma percepisco anche un tocco di nervosismo, un Christian che riesce appena a stare dietro a qualcosa che va oltre il suo controllo. Decido di non rispondere ma comunque accetto l'invito che suo padre mi ha espressamente ricordato questa mattina, pregandomi quasi di non rifiutare; salgo al piano di sopra con ancora due cubetti di cioccolato in mano che infilo velocemente in bocca per non farla sciogliere, dopodiché, cerco qualcosa di buono da mettermi. Guardo il mio armadio per diversi minuti e non so se indossare qualcosa di elegante o casual. Vorrei optare per un vestitino ma non vorrei risultare troppo. Ho visto gli abiti del Signor De Luca e tutto mi fa pensare che indossare un paio di short o una gonna sia poco adatto. Non conosco Amelia ma immagino una donna altrettanto affascinante ed elegante, non voglio fare brutta figura così chiamo Charlotte per chiederle aiuto ma il suo telefono risulta staccato.
Sbraito contro la mia figura pallida, scialba e noiosa, dopodiché, scruto diversi vestiti ma non riesco a trovare nessuno adatto e quando il campanello emette un trillo il cuore mi sobbalza in gola.
Sono appena le sette, non può essere lui, sarà Charlotte? Guardo dalla finestra e  ritrovo la mercedes grigia dell'incasinato parcheggiata davanti il mio piccolo giardino. Scendo di fretta quando suona per la seconda volta, ho tutto in subbuglio e le mani iniziano a sudare parecchio, apro appena la porta e ritrovo i suoi due smeraldi vitrei a fissarmi seriosi.
«Cosa vuoi adesso?» Brontolo cercando di risultare sgarbata e arrabbiata.
«Sei nuda?» Fa lui ed io sgrano gli occhi per il suo modo sempre troppo diretto.
«No!» Trillo con voce stridula.
«E allora perché rimani così dietro la porta?» Chiede riferendosi al mio modo di coprire il corpo e far vedere solo il viso.
«Non lo so» ammetto e decido di aprirla completamente.
Corruga la fronte con quella sua aria sempre priva di espressività, serio da far paura e con gli occhi mi osserva da capo a piedi. Con il suo sguardo che mi punta, una scia di freddo mi invade facendomi sentire sull'orlo di un precipizio.
«Ti ho chiesto perché sei qui» borbotto ancora e faccio per spostarmi dall'entrata ma lui mi ferma, mi costringe a voltarmi e mi stringe a sé avvolgendomi con un braccio. Non ho la forza di replicare o di oppormi, mi manca il respiro e il cuore è ritornato a sobbalzare e battere troppo velocemente al punto da fargli percepire le emozioni che mi causa averlo così vicino. Alza una mano, la poggia sul mio labbro inferiore e lo traccia con il pollice. Mi fissa così intensamente da farmi cedere le gambe, sono sorretta da lui e dal suo modo seducente di travolgermi in pochi attimi.
Si osserva il dito, dopodiché lo infila in bocca e lo succhia assaporandolo.
«Buono il cioccolato» commenta facendomi alzare gli occhi al cielo, le guance mi si colorano subito di rosso e sento una vampata prendere vita dal mio basso ventre e sopraffarmi tutta.
«Liberami» lo strattono e lui scioglie la presa lasciandomi andare.
Ci metto qualche secondo a riprendermi mentre lui trattiene a stento un risolino, tuttavia, mi osservo allo specchio del salotto dandomi una veloce ripulita alle labbra con ancora una punta di cioccolato ai lati della bocca.
«Non ti riproporrò la domanda, quindi gradirei una risposta, non riesc...» inizio a dire ma lui mi interrompe: «Non mi rispondi ai messaggi, sono stato costretto a passare da casa».
Rido. «Costretto», commento facendo una risatina amara.
«Non avevo voglia di rispondere e non l'ho fatto!» Chiarisco e lui si incupisce subito.
«Infatti sono qui», continua dondolandosi da un piede all'altro.
«Non ti sei fatto scrupoli a liquidarmi, a rivolgerti con il tuo solito modo scontroso e a rovinare tutto per l'ennesima volta quindi perché avrei dovuto farmi problemi se non ho voglia di parlarti?» lo ammonisco senza troppi giri di parole.
Sono arrabbiata adesso e neanche i suoi modi persuasivi riusciranno a farmi stare in silenzio.
«Avevo bisogno di tempo per riflettere» risponde semplicemente senza guardarmi.
«Stando lontano da me» preciso e lui annuisce pentendosi subito del gesto.
«Non volevo dire...» prova ancora a replicare ma lo fermo.
«Anche io adesso ho bisogno di pensare, verrò a cenare da te perché sono stata invitata da tuo padre e dopotutto si è sempre comportato in modo cordiale con me. Ma ho deciso che raggiungerò da sola casa tua, non ho bisogno che tu venga qui, so la strada e l'orario. Grazie, ora puoi andare!» Dico tutto d'un fiato dandogli le spalle poiché è sempre troppo difficile per me rivolgermi freddamente, soprattutto con lui.
«Ti accompagno io» ribatte deciso.
«No!» Affermo voltandomi nuovamente verso di lui.
«Ho detto che ti accompagno io» fa un passo verso di me e qui mi accorgo che indossa la camicia che questa mattina gli avevo consigliato.
Gli sta benissimo, si intravedono i muscoli attraverso il tessuto, soprattutto sulle spalle dove tira sulla zona della cucitura. La sua massa muscolare diventa sempre più definita, la pelle liscia e curata. Desisto perché il ricordo dei miei polpastrelli a stretto contatto con il suo corpo e il suo profumo che mi stordiva mi rende fragile e poco lucida.
«Ho detto di no!» Ribatto tenendogli testa.
«Ti ostini sempre ad andarmi contro, e questa cosa non la tollero» dice arcigno.
«Non mi importa, non voglio venire con te» rispondo decisa.
Mi osserva per qualche secondo in silenzio, tuttavia, fa qualche passo indietro e sbuffa strattonandosi i capelli con forza.
«Con la prepotenza non risolverai niente» lo rimprovero alzando gli occhi sul suo viso cercando di non far vacillare la mia finta sicurezza.
Sospira ancora energicamente e si infila le mani in tasca mormorando: «Fai che vuoi».
Penso che voglia andarsene ma invece si siede sul divano poggiando le mani sulle ginocchia.
«Cosa pensi di fare?» Gli chiedo rimanendo sul primo gradino della scala.
«Posso aspettare qui o devo andarmene?» Fa lui afferrando il telecomando.
«Okay, vado a scegliere qualcosa da mettere» lo liquido andando di sopra.
So che tenterà in tutti i modi di accompagnarmi ma cercherò di resistere per fargli capire che i suoi modi burberi mi fanno male e che le azioni hanno delle conseguenze. Continuo la mia missione verso qualcosa di carino da mettere, ci impiego qualche minuto a trovare tre vestiti che potrebbero andare bene.
Una tutina color cenere, dallo scollo all'americana allacciato dietro al collo, lasciando  scoperte schiena e braccia, in vita un fiocco legato sul fondoschiena completa il look dandogli un tocco elegante ma risultando sempre qualcosa di fresco e casual, passo ad un vestito aranciato a trapezio con lo scollo a barca, maniche a tre quarti, cade morbido fin sopra il ginocchio ed infine uno in raso dal colore violaceo con uno scollo a cappuccio, bretelle sottili e stretto fino a metà coscia risultando il più elegante e il più bello.
Li scruto con attenzione, cercando quello più adatto all'occasione.
«Credo che il vestito viola sia il più bello ma se vuoi evitarmi una tortura indossa la tutina» gli sento dire e non mi volto perché so già che girandomi lo troverei poggiato alla porta con le mani nelle tasche, l'espressione indecifrabile e pensierosa, il corpo sorretto da un piede mentre l'altro è poggiato in modo rilassato.
«Una tortura?» Scimmiotto fingendo di non capire a cosa si riferisca.
«L'hai visto questo vestito?», fa come se fosse ovvia la sua risposta.
«E allora?» Lo canzono ancora lanciandogli un'occhiata di sbieco.
Voglio che mi dica quello che gli provoco, voglio che inizi a dialogare con me.
«Mi viene difficile resisterti con questi short tremendi figurati con quello addosso!» Ammette facendo trattenere a stento una risatina.
Gli angoli della bocca si incurvano spontanei ma metto subito il broncio cercando di camuffare quello che mi provocano le sue parole.
«Cos'hanno i miei pantaloncini che non va?»
Abbasso gli occhi e sfioro con le dita i motivi disegnati: un piccolo gufo e delle stelline ricoprono il tessuto blu notte.
«Sono simpatici» commento osservandoli.
«Sono orribili», controbatte facendomi sbuffare.
«Torna di sotto, non ho bisogno del tuo aiuto» sbraito sedendomi sul mio letto.
«Okay, ma metti la tutina riuscirò a stare più concentrato» brontola.
«Concentrato?» Domando confusa ma divertita.
«Si, ci vorrà molta forza di volontà per cenare con Andrea De Luca» sibila ruotando gli occhi, spazientito.
Inalo energicamente scrutando i suoi occhi indecifrabili, spenti e pensierosi.
«A cosa pensi?» Mormoro accarezzando il vestito in raso che gli piace tanto.
Lui scuote la testa fissando il pavimento, solca con l'indice il naso nervosamente come suo gesto abituale tuttavia si schiarisce la gola e fa qualche passo indietro come per tornarsene di sotto.
«Christian io non voglio forzarti, se non vuoi che venga posso trovare una scusa... devi solo dirmelo, devi comunicare con me!» Esordisco tentando di assumere il giusto tono comprensivo.
Abbozza un sorriso come se mi stesse dicendo che ancora una volta "non posso capirlo o non ci riesco" e questo mi fa sentire tremendamente impotente.
«Quando ero piccola e mio padre tornava a casa sapevo già quello che mi sarebbe aspettato, non mi piaceva affatto cenare con lui e quando il sole iniziava a tramontare dentro di me speravo che lui rimanesse nel solito bar, dove andava a bere per tutta la notte. Delle volte però capitava che era di buon umore e quelle cene risultavano qualcosa di sorprendente... comunque a me non manca mio padre, non so nemmeno che fine abbia fatto e non mi importa perché i ricordi negativi sono di più di quelli positivi, però non posso negare che mi mancano quelle cene dove mi concedeva un sorriso o rare volte anche risate, mi piaceva vedere il suo volto calmo ma soprattutto mi piaceva osservare il viso della mia mamma che era colorato e pieno di luce», racconto mentre lui mi ascolta attentamente con aria interrogativa ma curiosa.
«Me lo stai raccontando perché?»
«Non lo so, volevo farlo...» ammetto aggiungendo: «Non sempre le persone che abbiamo vicino si comportano come vorremmo, e spesso è difficile concedere una seconda chance. Non sempre è possibile farlo, ma delle volte riusciamo a stare bene con noi stessi quando rilasciamo un po' dell'odio che abbiamo dentro e lasciamo entrare il cambiamento, ascoltiamo le scuse di chi tempo prima ha sbagliato»
«Perdoneresti tuo padre per quello che ha fatto?»
Sembra incredulo.
«No, non credo che lo perdonerò mai perché ha fatto un errore irreparabile, è stato codardo e cattivo, ma non lo odio, non potrei farlo. Lui ci ha causato del male ed è una persona che non cambierà mai, ma non tutti sono così, tuo padre sta cercando di comunicare con te, sta cercando di fare qualche passo verso di te... inizia col concedere il beneficio del dubbio e piano piano se dentro di te cresce un po' di speranza per un nuovo inizio, non mandarlo via. Spesso facciamo degli errori, spesso commettiamo sbagli senza pensare alle conseguenze. Non ti sto dicendo che devi perdonare tuo padre per quello che ti ha fatto, ma se dentro di te senti il bisogno di iniziare a concedergli il beneficio del dubbio, fallo Christian».
«Tu non sai cosa è successo, e poi come pensi che io possa perdonare qualcuno che mi ha rovinato la vita?» Le sue parole escono con rabbia, una rabbia controllata a stento.
«No, non ho detto questo. Ma cerca di vedere chi tenta ogni giorno di chiederti scusa, cerca di osservare il suo punto di vista, lui avrà sbagliato ed io non conosco la ragione, ma non pretendo di saperlo... ti chiedo solo di provare a notare il suo cambiamento, nei suoi occhi si nota il dolore che prova» faccio ma lui sgrana gli occhi come se gli avessi dato un pugno in pieno petto.
Si strattona i capelli con forza. «Il suo dolore si nota? E il mio invece? Dov'era quando ero io a soffrire? A patire una violenza che un bambino non dovrebbe neanche conoscere?» Sbotta urlandomi contro.
Deglutisco a vuoto ma continuo a parlare con tono calmo. «Il tuo dolore è così evidente da provocargli un male esorbitante. Non ti chiedo di perdonarlo, magari non ci riuscirai mai e non potrei giudicarti per questo ma prova ad apprezzare i suoi gesti, il modo in cui tenta di instaurare un rapporto con te, prova a concedergli delle parole, ti chiederà scusa a modo suo... tenta di non farsi divorare dai suoi stessi demoni, Christian».
«Se tuo padre venisse qui e facesse questi stupidi gesti, che cosa faresti?»
«Mio padre non ha mai ammesso quello che ha fatto, ha sempre negato e non ha mai chiesto scusa anzi è scappato. Ha preferito allontanarsi da noi e poi ritornare e fare ancora male. È un codardo e per questo non riuscirò mai a liberarmi di questa sensazione e peso che mi porto dietro, ma lui ci sta provando Christian. Mentirei se ti dicessi che non mi piacerebbe vedere mio padre che ogni giorno si impegna per mandare via il senso di colpa e prova a rimediare al suo errore, ti mentirei se ti dicessi che probabilmente l'avrei perdonato ma forse sarei andata avanti e avrei accettato le sue scuse! Eh sì, mi piacerebbe vedere mio padre che ogni giorno con gesti stupidi cerca il mio perdono!» Provo a dire avanzando verso di lui che rimane rigido e sulla difensiva.
«Probabilmente ha fatto del male a te e tua madre...» continuo ma lui mi ferma dichiarando: «Cosa ne sai tu, mia madre non era una donna come le altre e non meritava quella fine. Era buona, intelligente e dopo tutto quello che ha vissuto, lei riusciva a non far trapelare nulla!» Conclude e l'ultima parola riesce a pronunciarla appena.
«Tu vuoi essere come lui? Come tuo padre? O provare ad essere come tua madre?» Gli domando avanzando e lui prova a fare qualche passo indietro ma si sblocca facendo dei respiri lunghi e profondi.
Cerca di controllare il respiro e mantenere la sua solita freddezza che inizia invece a vacillare.
«No, non voglio essere come lui», afferma, provando a trovare il punto del discorso. «E allora non esserlo. Sii diverso, Christian. Non fare i suoi stessi errori... non farti corrompere dall'odio!»
Sigilla le palpebre e contrae la mascella, espira come se avesse trattenuto a lungo il respiro e deglutisce nervosamente.
«Me lo diceva sempre» sussurra.
«Chi?»
«Mia mamma», sibila, «me lo diceva sempre di essere diverso... diverso dagli uomini che abbiamo conosciuto! Mi raccontava di come affrontare le paure e mi diceva di essere buono, di non essere scontato e di mostrare le mie fragilità solo a chi davvero lo merita» il suo filo di voce arriva fino al cuore.
«So che hai paura, e so ancora di più che non lo ammetterai mai... ma io sarò lì con te e per te.» Lo rassicuro alzando una mano tremolante.
Gli carezzo il viso triste, la guancia calda punteggiata da un filo di barba perfettamente tagliata. Lui tuttavia mi lascia fare e abbassa il capo per farmi arrivare meglio. Ne seguono minuti di silenzio, attimi in cui Christian si lascia cullare da me come questa mattina dove era lui a calmare le mie pene. Non mi piace quando è scontroso e cupo ma non riesco a sopportare di vedere la sua anima così stanca e annientata; so cosa vuol dire rimanere incollato al passato, cercare di andare avanti ed essere risucchiato dai ricordi.
«Ci credi che anche quando voglio rimanere da solo, ho bisogno di te?» Mi confessa poggiando la fronte sulla mia.
Mi mordo il labbro inferiore socchiudendo gli occhi, mi lascio andare a questo momento così intimo, così puro, così unico. La nostra pelle brilla mentre si sfiora, mi infonde calma averlo vicino ma anche un mix tra eccitazione e brio.
La stanza ci circonda, un po' come i nostri respiri che si sussurrano frasi che le parole non riescono ad ammettere, il battito dei nostri cuori corre all'unisono e gli occhi osservano un universo nascosto.
Non ho mai capito cosa possa significare amare, ma se devo dare un nome a queste emozioni che provo adesso, utilizzerei solo la parola amore.

La Forma del DestinoWhere stories live. Discover now