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Dopo essermi cambiata a casa, Christian decide di fare colazione fuori portandomi in un posto. Non so dove siamo diretti finché i miei occhi non intravedono l'azzurro Tiffany e il set di dolci esposti in vetrina che fanno venire l'acquolina in bocca. Il Cake Village scritto in modo elegante sulla porta d'ingresso in argento, mi restituisce il buon umore e il mio sorriso ampio fa addolcire anche l'aria un po' seriosa del ragazzo più complicato ma particolare che conosca. Questa mattina ho scoperto un altro suo lato, quasi un dono, quello di calmarmi con il suo calore e le sue parole.
Mi ha dato anche un piccolo pezzo di lui, un'altra piccola tessera da inserire nel puzzle chiamato Christian De Luca.
Non so cosa sia successo ma si è fidato nel dirmi che il suo passato è racchiuso in quelle cicatrici, ho capito che lui non ha bisogno di essere spinto a fare niente ma con i suoi tempi riuscirà ad aprirsi a me, ed io non posso fare altro che aspettarlo.
«Mi aspetti qui o entri con me?» Mi chiede un po' nervoso.
«Mi vuoi?» Domando a mia volta con tono speranzoso.
Senza ribadire imbocca una stradina dove si parcheggia incitandomi a scendere. Faccio un sospiro e trattengo un sorriso che si curva spontaneo sulle labbra, sono felice per una cosa banale ma quello che mi reca speranza è lui, che delle volte decide di sorprendermi.
Federica niente castelli in aria, mi ricordo.
Questo potrebbe finire presto, sento ancora quando la sua mano mi sfiora la schiena nuda lasciandomi passare per prima.
Entriamo nel mondo di Lea, che ci aspetta curiosa e raggiante dietro il bancone.
«Ragazzi... buongiorno», ci saluta sorpresa per la coppia insolita che questa mattina ha deciso di presentarsi alla sua pasticceria.
«Buongiorno Lea», mormora Christian visibilmente a disagio.
Saluto anch'io ma con tono molto più caldo rispetto a lui e rispondo volentieri ad una serie di domande che è solita fare per dimostrare il suo affetto.
«La mamma torna domani?» Fa ancora porgendo un vassoio pieno di bevande ad una ragazza dall'aria timida.
«Si, andrò a prenderla in stazione domani pomeriggio con lo zio Adam», spiego quando un colpo di tosse da parte di Christian mi ricorda di dover ordinare.
«Cosa posso portarvi?», è lei a parlare sfoderando un sorriso tutto denti.
«Il solito» dice deleterio lui e lei annota qualcosa sul suo taccuino.
Aggrotto la fronte ma abbasso lo sguardo sulle innumerevoli varietà di dolci sotto ai miei occhi, tuttavia, dopo averci pensato a lungo dico: «Un Kipferl e un tè caldo» fissando il bancone.
Vorrei in realtà prendere di tutto, c'è una così vasta scelta di cibi che viene difficile soffermarsi su alcuni. Christian mi propone di sederci ed io obbedisco senza obiettare, mi piace che mi abbia portato qui, in un posto dove ci conoscono tutti e con il rischio di incontrare i nostri amici.
Se ci vedesse Charlotte probabilmente rimarrebbe più sconvolta che sorpresa, ma so con certezza che è impossibile incontrarla il venerdì per via delle prove di danza che la impegnano.
«Mi piace questo posto», commento facendo un giro con gli occhi del locale.
«Troppo colorato ma me lo sarei aspettato da una come Lea» puntualizza con freddezza.
Per addolcire il suo umore provo a stemperare l'aria però cercando di non farlo infastidire.
«Il solito cosa comporta? Bevande all'apparenza disgustose che può scegliere solo uno come Christian De Luca?» lo stuzzico mentre lui fa il compiaciuto.
«Ma ti è piaciuta quindi un punto a mio favore», controbatte poggiando il mento sulle mani giunte.
«Era una bevanda insolita», ribatto.
«Ma deliziosa!» Dichiara subito.
«Quindi cosa hai preso?» Ribadisco osservando il suo volto apparentemente calmo.
«La curiosità ti distrugge, non riesci mai ad aspettare», mi provoca come se questa cosa lo disturbasse ma lo divertisse allo stesso tempo.
«Non mi piace attendere» ammetto muovendomi nervosamente sulla sedia.
«Delle volte è necessario» mi rimprovera con fare autoritario ma un sorriso lo contraddice.
Quando questa mattina l'ho raggiunto nella cabina armadio avrei voluto potergli fare qualche domanda sul disegno o sul suo progetto di futuro, ma quella sensazione è diventata così grande da farmi dimenticare qualunque cosa. Non mi piace sentirmi inadeguata e farmi vedere nuda mi mette soggezione, persino vedermi quando nessuno è presente nella stessa stanza mi fa sentire come se fossi sbagliata e fuori posto.
«Cosa vuoi fare dopo il liceo?» Domando senza pensarci troppo ma subito mi pento ammonendomi per la mia lingua troppo sciolta.
Lui ci pensa su, guarda fuori come se volesse sfuggire alla mia domanda e sto per replicare quando prende a parlare.
«Sin da piccolo amavo osservare le case o i dipinti fatti sui muri della città e mi chiedevo come facessero ad essere così belli, così perfetti... come i colori facessero a rendere qualcosa di asettico come un muro spoglio, un capolavoro. Ho capito col tempo che osservare e disegnare mi infondono pace e mi piacerebbe studiare architettura o design, ma prenderò giurisprudenza», conclude con un velo di malinconia negli occhi.
«Perché?», chiedo confusa.
«Non c'è spiegazione, i sogni rimangono tali la realtà è ben diversa» proruppe allusivo.
«Rimangono tali se non ti impegni a realizzarli. Hai del talento Christian, ho visto pochi lavori ma non puoi sprecare qualcosa in cui sei bravo e ti fa stare bene»
Non risponde, anzi sospira e fissa un punto imprecisato come se avessi risvegliato un polverone su questioni che gli fanno male.
«Credo che non dovresti arrenderti»
«Credo che tu sia una bambina che sogna troppo in grande» sbotta alzando le sopracciglia.
«Fa niente... preferisco rimanere così che vivere in un mondo asettico e spento»,  puntualizzo tenendogli testa.
«La realtà è questa», conclude.
«Il segreto dell'esistenza umana non sta soltanto nel vivere, ma anche nel sapere per che cosa si vive... e tu per cosa vuoi vivere Christian?», ripeto la frase scritta sul suo quaderno nero e il suo sospiro mi fa capire che ho colpito una debolezza.
Mi scruta con attenzione e lascia andare un altro sospiro profondo, ma le sue parole vengono spezzate dall'arrivo di Lea con la nostra colazione.
«Ecco a voi ragazzi, non vorrei aver interrotto il vostro discorso... sembravate così presi», dice cordiale porgendoci le bevande.
Christian la ringrazia quando gli posa davanti un bicchiere fumante e un piattino con delle brioche a forma di treccia con una crema alle nocciole accanto, tre cioccolatini a forma di fiore e un muffin al limone.
Dopo aver portato anche la mia colazione ed essersi scusata per l'attesa, Lea esclama: «Domani Carlo non verrà alla cena di famiglia perché avete una festa?».
«Si, probabilmente si terrà a casa mia prima dell'inizio della scuola, ma credo che non voglia partecipare alla cena perché proverai in ogni modo ad invitare Mara e sappiamo tutti che non è il caso di farlo, soprattutto perché ti affezionerai a lei e poi quando si lasceranno ci starai male come con Alessia» spiega Christian senza mezze misure.
Il suo modo di rivolgersi mi fa pensare che abbiano un rapporto molto confidenziale, la sua schiettezza la fa vacillare di poco ma si riprende subito rivolgendogli un sorrisino complice.
«Ma perché devono lasciarsi? Con Alessia era tutta un'altra storia, e poi quella ragazza era così carina» cinguetta storcendo le labbra.
«Vedi... per te lo è chiunque: carina» fa lui alzando le mani in aria e facendo il segno delle virgolette sull'ultima parola.
«Poi Lea, pensi davvero che dopo il diploma staranno insieme? Dai...», continua come se la sapesse lunga.
«Sei un guastafeste, mi chiedo come fai Federica a sopportare questo musone... sei la nostra unica salvezza di cambiare questa testa cocciuta», mi lascia una carezza sul viso accompagnato da una risatina.
Non so cosa voglia dire ma ricambio il sorriso prima che faccia dietrofront e ci lasci mangiare.
«Secondo me sei stato troppo duro» dico bevendo un sorso dal mio infuso bollente ma gustoso.
Anche le cose più semplici qui sembrano avere un tocco in più, adoro gli odori e i sapori che si mescolano creando la giusta combinazione.
«Ho detto solo la verità» commenta lui staccando un pezzo di quella treccia e intingendola nel cioccolato la addenta subito dopo.
«Potresti imparare a dire le verità senza essere troppo diretto o brusco», provo a dire ma lui ribatte con: «Questa è la parte migliore.»
Concludo questa battaglia perché perderei in partenza, per ogni argomento, frase, parola ha una risposta pronta ed io voglio gustarmi questa colazione senza troppi battibecchi ma prima dico: «Quindi adesso vuoi dirmi cosa è "il solito"?»
«Te lo farò assaggiare e dopo ti dirò di cosa si tratta» propone e accetto subito.
Stacca un altro pezzo di treccia e ci mette una quantità spropositata di cioccolato sopra porgendomela, la ispeziono sotto incitamento di Christian, dopodiché, addento sentendo un'esplosione di sapori riempirmi la bocca. Il calore e il sapore della cioccolata si fonde a quello della brioche che sembra avere l'aroma di limone e rum.
Mastico sentendo tutti i sensi mettersi in funzione, sono in paradiso e riesco a toccare il cielo con un dito. Mi lascio sfuggire un segno di apprezzamento, un suono un po' stridulo che fa scoppiare Christian in una risata bella e profonda. Mi piace quando ride, si vede la sua dentatura bianca, le labbra si incurvano e una fossetta compare sulla guancia. Mi piace perché anche gli occhi sembrano sorridere creandogli una bellezza invidiabile, vorrei vederlo così spesso.
Mi lecco le labbra, avverto il cioccolato un po' dappertutto in faccia e con le dita provo a ripulire il contorno della bocca.
«Credo serva una bella quantità di fazzolettini» commenta sogghignando.
«Sono così mal messa?», sgrano gli occhi girandomi verso uno specchio dietro il bancone che riprende le nostre sagome.
Ho cioccolata perfino sulla guancia e... sulla maglia. Cavolo! Abbasso gli occhi per accertarmi che non sia un brutto incubo e invece la mia canotta color senape presenta tre goccioline marroncine ben visibili agli occhi di tutti.
«Potevi dirmelo subito, invece di ridere», lo rimprovero lanciandogli un'occhiataccia.
«Sei troppo buffa così, devo godermi ogni attimo» ride mentre io provo a ripulirmi.
Anche se al primo assaggio ho già combinato un bel guaio chiedo comunque cosa mi ha fatto andare in paradiso e tornare troppo presto; mi spiega che è un dolce tedesco dal nome Horaffen, sono piccole trecce impreziosite con buccia di limone, rum e zucchero a velo ma Lea ama accompagnarli con qualche cioccolata a scelta del cliente «...per rendere tutto ancora più magico», imita la sua voce strappandomi una risata. Tuttavia, mi fa assaporare il muffin con la glassa all'interno così calda da scottarmi la lingua.
«Vuoi uccidermi, dillo» esordisco sventolando una mano davanti alla bocca.
«Sei tu ad essere una sbadata, se soffiassi magari...».
Dopo aver provato anche la sua bevanda che altro non era che cioccolata fondente fumante, con aroma al pistacchio, dichiaro: «Non ho mai provato una cosa simile», sorpresa leccandomi le labbra.
«Però è molto buona», beve un sorso anche lui mentre io mi dedico finalmente alla mia colazione.
Provo il Kipferl, Christian mi spiega che si tratta di un dolce austriaco arrivato a Venezia nel diciassettesimo secondo. La farcitura è particolare ma non riesco a dare un nome alla crema presente all'intento, le gocce fondenti lo rendono dolce al punto giusto. Lo divoro in poco tempo da sentire un peso enorme allo stomaco all'ultimo boccone, tuttavia, finisco anche il mio tè seguita attentamente dallo sguardo di Christian che ha finito di mangiare molto prima di me.
«Ti ho lasciato questi», mi avverte porgendomi i cioccolatini a forma di margherita.
Sulla parte posteriore ci sono scritte le farciture: bianco con arachidi, al latte con caramello ed infine fondente con riso soffiato.
Lo ringrazio ma gli chiedo perché non è lui a mangiarli.
«Lea sa che mi piacciono e ogni volta me li lascia da parte, sono abituato... provali tu», mi dice con tono dolce prima che la cameriera venga a sparecchiare e portarci il conto.
Afferro lo scontrino per guardare il prezzo ma Christian con agilità me lo sfila dalle mani e si avvia al bancone. Arrivo appena in tempo ma Lea ci guarda torvi borbottando: «Andate via prima che vi prenda a calci e venite qualche volta a farmi visita».
«Ogni volta la stessa storia», sbuffa lui rivolgendole un sorriso accompagnato da un'occhiata di traverso.
«Ci vediamo fagiolino, e convinci il tuo amico a venire a cena» cinguetta lei mettendo il broncio.
«Non chiamarmi così Lea... andremo ad ubriacarci non preoccuparti» fa lui incamminandosi verso l'uscita e incitandomi a seguirlo.
«Niente festa» urla lei prima che Christian mi afferri per un braccio e mi tiri fuori dal locale.
«Non mi hai dato il tempo neanche di salutare» brontolo dandogli un pacca sul braccio.
«Non fare i capricci» mi prende in giro aprendomi la portiera della macchina per farmi salire.
Vorrei ringraziarlo se non fosse che sono troppo presa dal suo modo di fare così repentino ed enigmatico. Da un momento all'altro potrebbe succedere di tutto con lui.
Sale allacciandosi la cintura ed io borbotto: «Non faccio i capricci!».
«La bimba si deve cambiare perché non è brava a mangiare» continua lui imperterrito a prendersi gioco di me.
«Smettila», lo avverto mentre lui accende il motore.
«È la verità bimba» gongola.
Sbuffo e guardo avanti mettendo le braccia conserte ma improvvisamente qualcosa mi balena in testa.
«Hai ragione fagiolino, portami a casa a cambiarmi».
Il suo sguardo minaccioso mi scruta con sfida.
«Non osare chiamarmi così».
«Va bene...» mormoro fissando fuori dal finestrino.
Una mano mi sfiora la gamba e so che la sua bocca sta per chiedermi scusa per la brutalità della sua frase ma prima che lui possa parlare, mi volto verso di lui sussurrando: «Va bene... fagiolino».
Alza gli occhi al cielo e fa retromarcia mentre io scoppio in una risata facendolo sbuffare per metà del viaggio.

La Forma del DestinoWhere stories live. Discover now