a matter of survival

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Se c'era una cosa che odiavo (fra le tante, ovvio), era la mancanza di originalità dell'HYDRA.
Una qualunque persona con un minimo di cervello avrebbe capito che non era possibile usare per sempre le stesse tecniche di persuasione, in particolare quando non funzionavano più. Lasciate che elabori.

Dopo che le guardie mi presero di peso e mi trascinarono letteralmente lungo ogni corridoio di quel sotterraneo, le energie ripresero a tornare, seppure con molta lentezza. Mi meravigliai lo stesso, perché mi aspettavo un tempo refrattario più lungo da parte dei miei muscoli provati. Sempre con mia grande sorpresa, riuscivo ad aprire e chiudere la mano senza gridare di dolore ogni volta.

Con molta poca grazia, i due uomini che mi sorreggevano mi lasciarono cadere davanti l'uscio di una porta aperta. A carponi, alzai appena lo sguardo per vedere la stanza di fronte a me, ma dentro era buio e a malapena illuminato da una di quelle fioche lampadine.

"Grazie, potete andare," ordinò Ophelia da qualche parte di fianco a me - e subito i passi pesanti che avevo sentito prima di aprire il portale per Natasha e Loki diventarono sempre più lontani. "E ora vediamo di farti collaborare. Alzati, Artemide: questo non è un comportamento militare." aggiunse, tirandomi un calcio dritto nelle costole.

Strinsi i denti e mi sforzai di mettermi in piedi. Era così difficile tornare in equilibrio sul proprio asse quando la forza di una Gemma dell'Infinito ti risucchiava ogni minuscolo frammento di forza. Appoggiai l'avambraccio allo stipite della porta e mi morsi il labbro quando presi un respiro più profondo degli altri, perché dovetti reprimere un grugnito di dolore. Ero debole e ferita, sì, ma questo Madame Hydra non poteva e non doveva vederlo. "Se hai me, devi avere anche Bucky. Dov'è?" dissi, ma m'intrecciai a metà della prima frase.

"Ho capito solo il soprannome di James. Mi domando se siate una coppia o solo due persone con lo stesso sventurato passato."

Ophelia sapeva tutto di noi, ma continuava a divertirsi per i fattacci suoi, godendo di ogni mio gemito di dolore e di ogni mia sfortunata sofferenza. Trasalii nell'esatto istante in cui mi voltai a guardarla, perché mi ero girata con troppa forza. Quel calcio mi aveva fratturato una costola, avrei potuto giurarci. "Nulla che ti riguardi." biascicai come unica risposta.

"Coppia, chiaramente. Siete sposati?"

"Quasi."

"Figli?"

Per guardarla dovetti alzare appena la testa perché i tacchi verde che indossava la rendevano di diversi centimetri più alta di me. Lo sapeva benissimo che non potevo avere figli per colpa di Schulz che aveva deciso di farmi un'isterectomia non richiesta, tantomeno autorizzata. "Ti diverte il mio dolore, a quanto vedo."

"Chiedevo solamente perché lo hai menzionato poco fa. Che so io, magari qualche tuo amico ultra tecnologico era riuscito a sistemarti."

Mi morsi l'interno della guancia per evitare di rispondere. Era ancora un argomento delicato, che cercavo di evitare il più possibile ma che continuava a ritornare sempre a galla, in qualche maniera. Sapevo che ci sarebbero voluti un altro po' di anni prima che fossi riuscita ad avere dei figli e quindi presumibilmente un apparato riproduttivo perfettamente funzionante, ma questo non voleva dire che ero immune ai commenti e le frecciatine.

"È buio pesto dentro questa stanza," cambiai discorso, guardando oltre l'uscio. "Non avete pagato la bolletta della luce?" domandai sarcastica, cercando di rimettermi il più dritta possibile nonostante il dolore al torace.

"Molto divertente. In realtà era per l'effetto sorpresa," rispose Madame Hydra. "Ma se proprio ci tieni..." digitò qualcosa su uno smartphone spuntato da chissà dove e, un attimo dopo, le luci all'interno della stanza si accesero.

𝒕𝒉𝒆 𝒆𝒏𝒅 𝒐𝒇 𝒕𝒉𝒆 𝒍𝒊𝒏𝒆 [✓]Where stories live. Discover now