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"Zelda, devi mangiare qualcosa."

"Non ho fame, Buck. Te l'ho detto."

"Non era una negoziazione questa."

"Che importa? Mi si è chiuso lo stomaco, non voglio niente."

"Sono quattro giorni che vai avanti ad acqua e Valium. Adesso tirati su e mangia." sentenziò Bucky con tono duro.

Mi ci volle una forza di volontà immane anche per effettuare un gesto semplice come spingere via la trapunta e mettermi a sedere con la schiena contro la testata del letto. Mi mancava perfino il coraggio di guardare Bucky negli occhi, perciò lo distolsi allo skyline di New York. La stessa sera in cui scoprii di mio fratello, il TFR fu sollevato. Zemo era sparito nel nulla, e le autorità avevano stabilito che dare la caccia a un fantasma era tempo sprecato. Riaprirono anche i trasporti e tutti noi tornammo alla Avengers Tower.

Mancavano tre giorni al processo. Tre giorni prima che mi fossi trovata davanti ad una corte, a cercare di provare un'innocenza che forse, alla fin fine, non avevo. Perché questo, quest'ultimo evento straziante mi aveva aperto gli occhi. Forse era il caso di lasciare tutto al caso, di presentarmi davanti al giudice senza neanche un avvocato – tanto valeva andare in carcere. Non m'importava più di niente; ero responsabile della morte di mio fratello. Punto e a capo.

Bucky mi mise un sacchetto di carta in grembo, con delicatezza e l'accenno di un sorriso rassicurante. Bruciava appena.

Gli occhi erano così gonfi di pianto che mi dolevano e minacciavano di chiudersi da un momento all'altro. La verità è che avevo dormito a malapena, nelle novantasei ore precedenti. Le suppliche di Easton echeggiavano nei miei sogni senza sosta. Istintivamente, mi massaggiai i polsi e tastai le cicatrici nuove provocate dal mio coltellino svizzero. Non erano altro che una nuova aggiunta alla mia collezione di cicatrici. Non mi avevano aiutato a porre fine al dolore.

Srotolai l'apertura della busta con estrema lentezza, le dita impacciate e intorpidite dal poco movimento che avevano ricevuto negli ultimi tre giorni. "Burrito, sul serio?" commentai, prendendo l'involucro in alluminio.

Bucky allargò le braccia in segno di resa, per poi mettersi a sedere ai piedi del letto. "Cortesia della Romanoff, io non c'entro niente."

Con poca grazia, aprii anche il burrito ben incartato nella carta argentata. Il profumo era celestiale, non si poteva dire il contrario: lo stomaco diceva sì, ma il cervello diceva no.

Dopo circa dieci secondi di dibattimento, cedetti alla tentazione dello stomaco e addentai il burrito, assaporandolo come se non toccassi cibo da... beh, come se non toccassi cibo da quattro giorni. Forse era merito del siero del supersoldato se non avevo avuto un collasso dovuto alla carenza di sostanze nutritive, ma questo non toglieva che avevo più fame di quanto avessi immaginato. Il lutto mi aveva prosciugata, sia psicologicamente che fisicamente. In men che non si dica, avevo finito tutto il contenuto della busta, incluse le patatine al formaggio. Subito dopo, mi sentii in colpa. Un senso di colpa devastante, che si aggiungeva al cumulo di altri sensi di colpa. Ancora una volta ripensai a Easton, a come supplicava me, a come mi aveva guardato prima che la vita gli venisse tolta – e mi venne la nausea. Adesso ricordavo perché avevo preso il voto di digiuno.

"Perché?" singhiozzai sommessamente, prendendomi il viso fra le mani. "Perché continuò a soffrire? Non ho sofferto abbastanza?"

Bucky appoggiò la mano sul mio ginocchio, mentre con l'altra cercava di evitare che mi artigliassi il viso con le unghie, in un gesto estremo di disperazione. "Nemmeno io ho una risposta, Zelda," sospirò. "Nemmeno io."

Feci una pausa breve, nella quale il pensiero orribile fu inevitabile. Se solo Zemo mi trovasse prima dello scadere dei dieci anni...

"Una cosa è sicura," riprese il ragazzo. "Easton non vorrebbe vederti in queste condizioni."

𝒕𝒉𝒆 𝒆𝒏𝒅 𝒐𝒇 𝒕𝒉𝒆 𝒍𝒊𝒏𝒆 [✓]Where stories live. Discover now