Capitolo Diciannovesimo - Parte Seconda: Non più lo stesso

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«Ne sei sicura?» 
Lo ignorò. Non aveva alcuna intenzione di iniziare una conversazione, non avrebbe nemmeno saputo cosa dirgli. Tra i suoi fratelli, lei era quella meno avvezza ai confronti, troppo emotiva per riuscire a gestire l'agitazione o qualsiasi altra reazione - per questo lo stava evitando.
«Alexandria?»
Ancora una volta non gli diede retta. 
«Alexandria, fermati!»

E d'improvviso, quasi il suo corpo avesse smesso di appartenerle, le gambe smisero di muoversi - ma non per colpa dell'Ars o del sigillo, bensì del suo tono, di quella voce. Fu come venir catapultata indietro nel tempo, lontano, e con il cuore in tumulto non riuscì a disobbedirgli.

Noah le si parò davanti accertandosi di bloccarle la strada alla bene e meglio e, con il fiato corto, le puntò addosso il proprio sguardo severo, facendola vacillare appena. Per un solo istante Z'év sentì il bisogno di aggrapparsi a qualcosa, di trovare sostegno perché, nell'istante in cui i loro occhi s'incontrarono, un brivido freddo le corse lungo la schiena - e d'un tratto, le fu impossibile fingere di non vedere in lui ciò che Levi aveva scorto sin da principio: il loro Sovrano. Fu come trovarsi di fronte a un fantasma, una visione e, come tale, durò solo pochi istanti, ma furono sufficienti a farle desiderare di allungare una mano, aggrapparsi alla sua maglia e tirarlo a sé, premendoglisi al petto.

«Mi spieghi che problema hai con me?» 

Alex batté le palpebre, mandando in frantumi l'illusione.
«C-che?»
«Non fare la finta tonta, okay? E' ovvio che non ti piaccio e che non vuoi avere nulla a che fare con me.»
Guardandosi attorno, Z'év si rese conto di essere fin troppo esposta alle orecchie dei passanti: «Non credo sia il caso di affrontare questa discussione qui e ora, Noah.» Chiunque avrebbe potuto ascoltarli, persino qualcuno di indesiderato come gli adepti del Cultus - e doveva evitare a qualsiasi costo che quella possibilità potesse diventare realtà, peccato che il suo interlocutore sembrasse non rendersi conto del pericolo.
«E quando vorresti affrontarlo? A malapena mi rivolgi la parola, non fai altro che fissarmi male!»
«Ti ho dett-»
«Levi e Zenas continuano a parlarmi del passato, mi stanno addosso in modo quasi soffocante, mentre tu... tu mi eviti! All'inizio era un sollievo, ma ora... ora non posso evitare di chiedermi il motivo di questo tuo comportamento. Perché diamine li hai seguiti se non vuoi avere nulla a che fare con me?»

E d'istinto, rendendosi conto di non sapere come zittirlo, gli afferrò il colletto della giacca costringendolo ad abbassarsi alla propria altezza; come Nakhaš, anche lui la superava di quasi una spanna, forse più - e per tenere il tono di voce il più basso possibile, quella le parve l'unica soluzione adottabile, ma allo stesso tempo non riuscì a impedire al cuore di accelerare il ritmo.
«Ascoltami bene, moccioso, ho duecentosessantadue anni, okay? E negli ultimi ventisei, ogni singolo giorno, ho creduto di essere la ragione per cui le persone che più di tutto amo sarebbero morte, quindi scusami se il fatto che tu non abbia memoria di me, di noi, mi destabilizza.» Sapeva di avere le narici dilatate, i denti digrignati e la mascella contratta, eppure si rese conto che Noah non si stava preoccupando di nessuno di quei dettagli: aveva gli occhi fissi nei suoi, completamente persi e, rendendosi conto di cosa potesse vedervi all'interno, o pensare guardandoli, lo spinse via, rimettendo distanza tra loro. 

Non doveva dargli modo di scorgere alcuna delle sue reali emozioni, di intravedere la colpa o l'agitazione. Non in quel momento, non così presto, non senza prima ricordare quel giorno.

Il ragazzo parve vacillare, sopraffatto con grande probabilità da ciò che non riusciva a capire; e come biasimarlo? Privato della propria memoria non era altro che un involucro vuoto, un corpo incapace di empatizzare, di consolarla, di placare i suoi rimorsi. Non era il Salomone a cui si era aggrappata ogni giorno dopo il suo risveglio.

«Credi che lo faccia di proposito?» lo sentì biascicare dopo qualche secondo: «Fidati, non è così. Quindi smettila di incolparmi per qualcosa che non posso controllare.» 

Alex si morse il labbro tentando di trattenere le parole, ma fu inutile. Prima ancora che potesse rendersene conto se le sentì uscire di gola: «E' solo che ho bisogno di lui, Noah. E tu... tu non puoi aiutarmi. Non ora, quantomeno.» 
Lo vide aprir bocca, provare a dire qualcosa, ma non gliene diede modo. Avanzando - e quasi sbattendogli contro - Z'év riprese a camminare verso la fermata del bus. Stringendosi nelle spalle, in parte imbarazzata e in parte amareggiata, si maledì per avergli dato corda anche solo per quei pochi minuti: non avrebbe dovuto, non a quel modo.  
«Muoviamoci, ci aspettano.»

Ania:temo il risultato

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Ania:
temo il risultato.

Le Chimere di Salomone: il ReWhere stories live. Discover now