Possiamo spostare l'uscita alle 20:30, Charlotte ha bisogno di me :)

Il modo in cui cerca di salvare chiunque si metta sul suo cammino mi ricorda quanto io poco la meriti; non rispondo al messaggio ma riprende il conflitto contro me stesso per la scelta più giusta da fare. Vorrei proteggerla e non farla soffrire ma in ogni caso accadrebbe ed io mi sento un vile per questo.
Mi dirigo nella mia camera infilando solo i boxer, passo accanto alla foto di me e mio fratello dove accanto c'è posizionato il mio taccuino nero con su scritto una citazione di Dostoevskij; lo sfoglio ripercorrendo i miei sfoghi e i disegni dei miei tattuaggi fino ad arrivare a scovare quello che mi ha colpito negli ultimi tempi. Ormai i miei ritratti si incentrano su pochi soggetti e prima di rivestirmi mi concentro sul completare uno degli ultimi. Lo lascio in bianco e nero senza riprendere i colori, rende la bellezza del soggetto allo stesso modo.
Osservo il mio lavoro completo e mi perdo a ricordare il momento in cui ho iniziato a disegnarlo. Federica dormiva ed io non riuscivo a calmare i pensieri, così l'unica cosa che oltre lei mi calma è scarabocchiare sul mio quadernino nero.
Dei passi dal piano di sotto mi scuotono dalle pagine e alzo lo sguardo sul comodino dove la piccola sveglia indica le otto e un quarto.
Merda. È tardissimo.
Metterò in atto l'idea di starle lontano da domani, mi dico.
Prendo dalla cabina armadio una polo verde militare e un paio di jeans non troppo aderenti neri, lavo i denti ed infine infilo gli anfibi, sistemando velocemente il ciuffo davanti allo specchio. Scendo la scala ritrovando mio padre a discutere al telefono di qualche lavoro, tuttavia, lo oltrepasso senza degnarlo di alcuna considerazione.
La sua voce profonda mi chiama, mi soffermo dinanzi la porta d'ingresso e gli indico con un gesto del capo di continuare.
«Dobbiamo parlare del colloquio con il rettore» borbotta poggiando il cellulare sulla spalla come per non far sentire dall'altro capo.
«Non ho tempo adesso, domani» rispondo atono.
«Christian fermati, aspetta» la sua espressione diventa più dura e autorevole e questo mi fa ribollire il sangue.
«Ho detto che ho da fare», dico tonitruente.
«Non ti darò una seconda possibilità, hai già rischiato!» afferma come se potesse decidere della mia vita.
Mi avvicino repentinamente e lui di tutta risposta riaggancia alla chiamata per concentrarsi sulla mia furia.
«Pensi di darmi ordini? Credi davvero che questa minaccia mi spaventi? Ti conosco fin troppo bene e so che pur di fare buona impressione con la stampa mandando tuo figlio in una università prestigiosa faresti di tutto. E sai perché lo so? Perché sei un stronzo, esattamente come me!» Sputo tutto il veleno che provo su di lui mentre i suoi occhi mi fissano con sdegno.
«Naturalmente non ti importa neanche se io ho un'idea diversa dalla tua, perché tanto a te interessa il denaro e nient'altro... quando sarò finalmente lontano da te, deciderò della mia vita e se farò altro tu non potrai farci niente! Non mi importa se finirò come mia madre, almeno non vedrò mai più la tua faccia di merda»
«Stai attento a come parli, tu prenderai giurisprudenza come di comune accordo» mi punta il dito davanti al naso come per intimorirmi.
Siamo alti uguali ma la mia stazza è più grossa della sua per via del pugilato, il suo corpo atletico da giocatore il golf potrei scacciarla via come una mosca a mio piacimento.
«Di comune accordo con chi? Il tuo avvocato? La tua compagna? Te stesso?» Chiedo sarcastico.
«E cosa vorresti fare sentiamo?», domanda con scherno. 
«Te l'ho detto un milione di volte ma naturalmente non hai mai ascoltato quello che avevo da dirti, non ci hai mai neppure provato»
«Credi di avere un futuro in quel lavoro? Wow... il designer o cosa l'artista? Cosa vorresti fare?» brontola prendendosi gioco di me.
I passi di Agnese sulla scala mi impediscono di spaccargli il naso come invece avrei voluto fare, così stringo gli occhi in due fessure e faccio capolino nel salotto andando via, borbotta altre parole che non comprendo per via della rabbia che mi scorre nelle vene. Metto in moto la macchina e sbatto ripetutamente le mani sul volante urlando con tutto l'ossigeno che ho in corpo, dopodiché, prima di fermarmi davanti casa di Federica giro per la città un paio di volte provando a calmarmi, ma invano.
Vorrei non farla soffrire, dovrei proteggerla da me stesso, ma sono un egoista e lei è l'unica certezza che ho.

La Forma del DestinoWhere stories live. Discover now