La barca è più sicura nel porto.
Ma non è per questo
che le barche sono state costruite.
( Paulo Coelho)
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La mattina seguente mi dirigo all'università per seguire le ultime lezioni della settimana e sulle mie labbra secche, a causa della brezza invernale, germoglia un lieve sorriso, felice che sia finalmente arrivato il weekend.
Non che abbia grandi progetti in realtà, ma almeno posso rilassarmi e recuperare il sonno perduto.
Mi stringo forte nel cappotto per ripararmi dal freddo impetuoso e quasi impercettibili gocce di pioggia si riversano sul mio viso mentre cammino a passo svelto per raggiungere l'Università.
So bene che dovrei scrivere a Clark. Ho cercato di rimandare una potenziale discussione conflittuale il più tardi possibile. Ma mi rendo effettivamente conto che non ha il minimo senso continuare a scappare come una codarda, prima o poi devo affrontarlo.
Faccio un respiro profondo e con fare un po' titubante sfilo il telefono dalla tasca del cappotto per scrivergli un messaggio.
" Clark dovremmo parlare".
Osservo a lungo il testo del messaggio prima di spedirlo, piegando la testa di lato, come se da un'altra prospettiva potesse cambiare il significato.
Inspiro rumorosamente e pigio il pulsante invio. Mentre sto per infilare il telefono nuovamente nella giacca, lo sento vibrare, segno che è arrivato un messaggio.
Leggo subito il contenuto.
" Okay...Quando? "
Non pensavo rispondesse così. Immaginavo che avrebbe fatto il difficile come al solito, complicando ulteriormente la situazione, invece non può che non stupirmi questa insolita reazione.
" Possiamo vederci questa sera?"
" Alle sei vengo da te"
" Okay" rispondo e la conversazione termina all'istante.
In realtà non so bene cosa dirgli. Vorrei potergli fare alcune domande: vorrei capire perché non mi hai mai detto nulla riguardo allo stile di vita che conduce da quando ha iniziato a frequentare l'università, ma so che in tal modo metterò di nuovo in mezzo Micheal e non mi pare il caso. Clark è talmente imprevedibile che potrebbe pentirsi di non avergliela fatta pagare se riprendo nuovamente il discorso.
Giungo finalmente in aula e intravedo il tipo dalla lunga barba di ieri seduto agli ultimi posti. Lo raggiungo a passo esistente, d'altronde è stato l'unico a rivolgermi la parola, tanto vale provare a fare amicizia.
Capisco che prima di diventare un minimo amichevole devo essere perlomeno al secondo bicchiere di vino, ma non sono poi così asociale e scorbutica.
Sono solo abbastanza riservata.
<<Ciao>> squittisco prendendo posto accanto a lui con un atteggiamento che definire strambo sarebbe un blasfemo.
<< Ciao italiana >> sorride lui calorosamente, consentendomi subito di sentirmi a mio agio e di allentare i lineamenti impacciati del mio volto.
<< Di quale città è la famiglia di tuo padre? >> chiede curioso.
<< Emh.. mio padre è di una piccola città del sud Italia. Non penso tu la conosca>> rispondo tartagliando lievemente mentre sfilo i libri dallo zaino.
<< Io adoro l'Italia. Sono stato in un sacco di città, una più bella dell'altra>> esclama lui.
Annuisco abbozzando un fioco sorriso. Sebbene non abbia mai avuto occasione di visitare molte città italiane, da quel poco che ho visto ho potuto costatare che è veramente affascinante sotto ogni punto di vista.
<< Il mio ex ragazzo vive a Verona. È davvero bella quella città>> afferma e percepisco una nota di tristezza nel timbro della sua voce mentre i suoi occhi si abbassano lentamente e inizia a torturarsi le pellicine intorno alle unghie.
Rimango un attimo allibita dinanzi quella sua implicita confessione così schietta e sincera.
Non pensavo fosse gay.
E mi piace il fatto che l'abbia detto con molta disinvoltura e franchezza.
<< Già >> dico rivolgendogli un sorriso mentre la voce acuta del Professore inizia a riecheggiare all'interno di quest'aula inespressiva e scialba.
Durante la lezione Paul mi rivolge spesso la parola. Affrontiamo un'ampia varietà di argomenti: dalla carriera universitaria alle nostre vite private. Mi racconta che per lui è stato davvero faticoso e arduo confessare ai suoi genitori la sua sessualità, era consapevole che non l'avrebbero compreso. Nemmeno lui riusciva ad accettarla, ma adesso ha finalmente smesso di lottare ed è fiero di se stesso.
A fine lezione ci avviamo per andare a prendere un caffè nella piccola caffetteria, posizionata dietro l'università. Anche lui, come me, necessita di caffeina incessantemente.
Mi sta sempre più simpatico.
<<Cosa fai questa sera?>> mi domanda Paul mentre sorseggiamo il caffè.
Indugio prima di rispondere mentre mi mordo continuamente l'interno della guancia.
<< Alle sei ho un appuntamento con il mio..emh..ragazzo >> rispondo incerta abbassando lo sguardo.
Non so come definire Clark in questo momento. Non so nemmeno se stiamo ancora insieme o se sia semplicemente uno dei nostri abituali momenti di distacco che poi termina sempre nel giro di pochi giorni.
Questa volta però avverto una differenza.
Non so in particolare riguardo a cosa, forse a me stessa. Mi sento un po' più sicura.
È stato sempre Clark l'elemento forte della coppia, sempre deciso e determinato, costantemente al centro dell'attenzione per qualunque cosa facesse, e io stavo semplicemente attaccata a lui col disperato bisogno di essere considerata.
Se ci rifletto adesso, mi rendo conto di quanto questa cosa non sia per niente positiva.
<< E poi niente. Credo che passerò la serata a guardare quei mediocri programmi televisivi>> continuo ridacchiando.
Paul sgrana gli occhi sconcertato, sbigottito da quello che è appena uscito dalla mia bocca.
<< Cosa? È venerdì sera. Non puoi startene a casa come una vecchia di ottant'anni >> esclama basito gesticolando con un a fare decisamente melodrammatico.
Gli scocco un'occhiata torva, ma so che ha ragione.
<< Perché non vieni con me alla festa che hanno organizzato al parco dell'università>> continua ispezionando l'espressione del mio viso per trovare una risposta.
Nemmeno sapevo avessero organizzato una festa.
Dio che nerd!
Arriccio il naso contrariata.
<< No ti ringrazio. Ma non mi va di venire ad una festa. Cioè io non è che ami le feste, in realtà non vado quasi mai a feste...>> inizio a parlare a raffica senza una connessione logica.
È quello che succede quando sono palesemente nervosa, oppure inizio a balbettare.
Dipende...una delle prime cose che mi esce.
Paul inizia a sghignazzare, chiaramente divertito dal mio atteggiamento impedito e imbranato.
<< Dai Giulia. Ci divertiremo>> continua mentre un'ombra speranzosa solca il suo sguardo sbattendo ripetutamente le palpebre come per implorarmi.
Scuoto la testa divertita e sto per cedere alla tentazione quando mi precede
<< Dai...Non puoi mancare. È una delle feste più fighe dell'anno universitario. È organizzata da Clark Cander e dai suoi amici. Cioè capisci? Stiamo parlando dei ragazzi più sexy del campus >> esclama con troppa enfasi a mio parere.
Appena sento quel nome trasalisco. Lo osservo sconcertata e per tutta risposta e lui Paul mi guarda stranito.
<< Non dirmi che non li conosci? >> mi chiede sbalordito inarcando un sopracciglio esasperato.
Scuoto la testa in segno di diniego, non avendo assolutamente voglia di parlare di Clark e di specificare che è il mio ragazzo. Tanto meno che uno dei suoi amici sta invadendo prepotentemente i miei pensieri ogni minuto di ogni giorno.
Okay...Detto così suona malissimo.
<< Cazzo! Sei troppo nerd >> afferma Paul in tono beffardo, e io sto per declinare nuovamente il suo invito, considerando i soggetti che hanno organizzato la festa.
Ma poi capisco che così facendo continuerò a rimanere perennemente sola. Paul sembra simpatico, alla fine potrei divertirmi questa sera, potrei sconnettere il cervello e smettere di pensare, almeno per una notte.
<< Va bene Paul >> acconsento portandomi una mano dietro la nuca e grattandola lievemente.
<< Va bene cosa? Vieni alla festa? >> chiede sorpreso.
Annuisco in modo meccanico mentre lo vedo battere le mani elettrizzato.
<< Fantastico. Brava Giulia...Ci sarà da divertirsi >> esclama allietato e soddisfatto di avermi convinta.
Non oso immaginare.
Paul si propone di darmi un passaggio a casa con la sua macchina e di questo ne sono felice. Il mio piccolo bilocale dista dall'università circa venti minuti a piedi, e non è che io sia una tipa che ami camminare, non con questo freddo glaciale perlomeno.
<< Sono contento che hai accettato di venire. Veramente...non può stare a casa una tipa attraente come te>> sghignazza Paul mentre le sue mani tengono rigidamente il volante e il suo sguardo è fisso davanti la strada trafficata di Londra.
Divento totalmente rossa dalla vergogna
<< Dai..finiscila >> dico imbarazzata e volto il
mio viso verso il finestrino per osservare il paesaggio, cercando di mascherare il mio disagio.
<<Beh è la verità. Io sono gay quindi non ci sto provando con te, dovresti prenderlo come un complimento sincero senza secondi fini>> afferma rivolgendomi un'occhiata fugace per poi ritornare ad osservare la strada.
<< Grazie >> mormoro
Non sono abituata a ricevere complimenti e apprezzamenti.
Clark non ne è mai stato il tipo.
<< Però ti prego questa sera non vestirti in modo così scialbo>> sentenzia sghignazzando
Mi sento offesa dalle sue parole. Indosso solamente un paio di jeans abbinato ad un semplice maglione rosa. Certo niente di particolarmente eclatante o vistoso, ma definire il mio look scialbo mi pare eccessivo e crudele.
<<Cosa hanno i miei vestiti che non vanno?>>ribatto infastidita.
<< No. Non fraintendermi. Il tuo outfit è davvero figo, ma non è adatto ad una festa. Dovresti scoprire le gambe. Se vuoi un consiglio di uno che ne capisce >> si vanta lui strizzandomi l'occhio.
Scoppio in una risata fragorosa
<< Non so che idea ti sia fatto su di me. Ma non sono la tipa da minigonna. È gia tanto che qualche volta indosso vestitini. Non corti ovviamente >> preciso con tono nitido.
<< Che cosa triste >> conclude lui sbuffando e una smorfia nauseata prende vita sul suo volto.
Arrivati dinanzi al mio appartamento mi saluta con un rapido abbraccio, avvisandomi che passerá a prendermi per le dieci e poi va via, mentre io mi preparo psicologicamente ad affrontare Clark.