•Capitolo 12•

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Un giorno mi perdonerò
del male che mi sono fatta
e del male che mi sono fatta fare.
E mi stringerò così forte
da non lasciarmi più.
( E. Dickinson)
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Tutta questa situazione è davvero triste.
So che è stata la soluzione migliore per me stessa, ma speravo che lui mi avesse compreso.
Con l'amarezza che mi dilania il petto mi prometto che da questo momento in poi penserò soltanto a me stessa. Inizierò da questa sera andando alla festa con Paul e non mi importa se imbatterò sicuramente in Clark, considerando che ne è stato l'organizzatore.
Non gli permetterò più di farmi del male, di polverizzare la mia vita, di farmi incidere ulteriore debolezze.

Sono già le otto e mezza, Paul passerà a prendermi alle dieci.
Mi infilo rapidamente nel box doccia e mentre minuscole gocce  d'acqua si rincorrono freneticamente sul mio corpo rifletto se depilare le gambe.
Non so ancora cosa indosserò, ma forse Paul ha ragione sul dover scoprire un po' di più il mio corpo, d'altronde è una festa, dovrei vestirmi in modo più femminile considerando che non faccio altro che portare maglioni talmente larghi da celare tutte le mie forme.
Non lo faccio apposta per nascondermi, penso che la spiegazione più ovvia sia che mi piace stare comoda e al caldo. Il mio fisico non è niente di speciale in fondo, forse un po' troppo esile e gracile e il mio seno non è assolutamente uno di quelli che fa dilatare le pupille del sesso maschile, ma non me sono mai vergognata.

Non ho ancora scelto se accogliere il consiglio di Paul, ma per sicurezza decido di depilare lo stesso le gambe.
Esco dalla doccia e asciugo col phon i miei lunghi capelli castani. Non ho bisogno di usare l'arricciacapelli o qualcun altro di quegli aggeggi che consentono di avere boccoli perfetti. Fortunatamente i miei capelli sono ondulati di natura, e come ho già detto, sono una delle poche cose che adoro del mio aspetto esteriore.
Mi piace inoltre che siano di un castano talmente scuro che tende al nero perché si addicono particolarmente bene alla mia carnagione chiara.

Fatti i capelli, apro l'armadio per scegliere cosa indossare. Nella mia mente si sta realizzando un duello tra la " Giulia femminile " e la "noiosa Giulia di tutti i giorni ", e dopo non so quanti minuti trascorsi a fissare l'ammasso di vestiti difronte a me vince la " Giulia femminile".

Ridacchio pensando a quanto Paul sarà orgoglioso di me. Ovviamente non indosserò minigonne e roba del genere, ma penso che un paio di pantaloncini neri in camoscio siano comunque più eleganti rispetto ai miei soliti jeans. Gli abbino una semplice maglietta leggermente trasparente che la rende molto fine, con la consapevolezza che soffrirò tremendamente il freddo, ma per una sera posso fare un'eccezione e infine indosso i miei consueti stivaletti neri.

Sono quasi le dieci, Paul sarà qui a momenti. Lavo velocemente i denti e mi trucco lievemente: solo un po' di mascara intorno ai miei grandi occhi verdi.
Osservo allo specchio il riflesso delle mie labbra carnose e tremendamente secche a cause della temperatura rigida che si è già infiltrata prepotentemente nell'atmosfera della capitale inglese.
Per camuffare le piccole increspature che regnano sulle mie labbra opto per un rossetto tenuemente più scuro di quello che utilizzo abitualmente. Sembra tendente al marroncino, ma non so precisamente che tonalità sia.
Mentre inizio attentamente a disegnarmi il contorno della labbra con la matita, nella mia testa si insinua la vocina odiosa di Clark che mi precisa quanto siano grezze le ragazze che portano rossetti così scuri.
Me lo ripeteva continuamente e per questo ho smesso di usarli tanto tempo fa, nonostante mi piacessero davvero tanto quando li vedevo sulle labbra delle altre ragazze.
Non le consideravo per niente volgari.

Scaccio questa vocina fastidiosa e continuo a dipingermi le labbra accuratamente al fine di non sembrare un clown.
Mi scruto allo specchio osservando le labbra della ragazza che mi fissa dilatarsi in un sorriso. Mi piace il risultato e mi sento sicura di me stessa. So che potrebbe apparire una frivolezza, ma per me ha un valore simbolico: è una piccola conquista verso la mia rinascita.
Il trambusto incessante di un clacson penetra dritto dentro i miei timpani facendomi trasalire.

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