Capitolo 47

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Presi un grosso respiro, sapendo di aver bisogno di almeno un'intera botte di vino per superare la serata senza impazzire. Stetti per avviarmi sul retro con gli altri, quando sentii suonare il campanello. Mi avvicinai alla porta e la aprii. Quando vidi chi c'era oltre l'uscio, quasi piansi di gioia.

"Cris." Sussurrò lui, con un piccolo sorriso sulle labbra. Io, invece, mi lanciai tra le sue braccia e lui, fortunatamente, mi afferrò al volo. Cristopher ridacchiò sulla mia spalla, stringendomi saldamente con le sue braccia dalla vita per evitare che cadessi. "Mi sei mancata."

"Anche tu, tanto." Mormorai sulla sua spalla, cercando di trattenere le lacrime. Cristopher viveva in Germania ormai dagli anni del liceo, per cui una volta in Italia spesso ci era capitato di accordarci per vederci. Il più delle volte, era lui a venire in Italia, visto che i miei spostamenti non erano favoriti dalla presenza di un bambino. Di conseguenza, lui era l'unico dei miei amici, oltre Cher, a sapere di Carter. Era però più di un anno che non ci vedevamo, visto che ormai entrambi avevamo trovato lavoro e non avevamo molto tempo libero. Ciò nonostante, eravamo rimasti in contatto praticamente ogni giorno.

"Come sta la piccola peste?" Mi chiese, quando mi rimise giù. Lui e Carter si erano visti poche volte, ma mio figlio sembrava felice ogni volta che lo vedeva. Sentiva terribilmente la mancanza di una figura paterna, più cresceva e più me ne rendevo conto. Sperai solo che, una volta avuti i risultati del test di paternità, sarebbe riuscito ad averne una.

"Sfiancante, il più delle volte." Ammisi, ma poi mi lasciai trasportare da un sorriso. "Ma somiglia sempre di più a me."

"Povera creatura." Scherzò lui, cosa che mi spinse a colpirlo ad una spalla con la mia.

"Si, si. Vado io!" Si sentì la forte voce di Andrew riecheggiare, prima che comparisse davanti ai nostri occhi. Per un piccolo e veloce istante, sentii i suoi occhi bruciare su di me, così tanto che dovette distogliere lo sguardo. Potevano essere passati anni, ma il suo sguardo su di me aveva sempre lo stesso effetto. Indossava una camicia bianca arrotolata fino si gomiti, così sottile che quasi potetti intravedere i suoi addominali al di sotto di essa. Prima che la mia mente potesse dirottare su pensieri poco consoni, però, lui puntò lo sguardo su Cristopher e sorrise sinceramente. "Ehi, amico." Si avvicinò a lui, ancora al mio fianco, ed entrambi si diedero una forte e mascolina spallata in segno di saluto. "Sono felice che sia riuscito a venire."

"Ehi, ho diritto anche io a delle ferie, non credi?" Cristopher scherzò, con un sorriso sulle labbra. Poi storse le labbra, con sguardo accigliato. "Sbaglio o c'è puzza di bruciato?"

Quasi come se il mio olfatto si fosse attivato solo in quel momento, sentii la puzza di bruciato insinuarsi nelle mie narici. Andrew spalancò gli occhi, allarmato. "Merda, il pollo." 

"Ci penso io." Sbuffai, avviandomi verso la cucina. Aprii il forno e ormai il pollo era completamente bruciato in cima.

"E se ci pensa Cris in cucina..." sentii Cristopher mormorare, guadagnandosi un cinque da Andrew.

"Ehi!" Sbraitai offesa, poggiando la teglia di pollo sull'isola della cucina. "So che siete prevenuti, ma ho imparato."

"Sei scesa ad una intossicazione al mese invece di tre?" Fu Andrew a parlare stavolta, al che io mi sbracciai al cielo, togliendomi i guantoni da cucina.

"Fate voi, allora." Incrociai le braccia al petto, vidi i due ragazzi avvicinarsi al pollo e osservarlo attentamente.

"Se grattassimo via il bruciato?" Chiese Andrew, guardando il pollo come se stesse in una sala operatoria.

"Se lo riempissimo di spezie?" Quell'altro lo assecondò, quasi mi sbattei una mano sul volto, ormai esasperata.

"Spero per voi che troverete una moglie in grado dei cucinare." Mormorai, e poi mi voltai, raggiungendo il giardino sul retro.

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