Capitolo 18

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"Chiamami quando arrivi." Lui mi disse, prendendo il mio volto tra le sue mani. Annuii, poggiando le mie, così piccole in confronto, sulle sue. Aiden sorrise, lasciandomi un piccolo bacio sulle labbra.

Quello era un periodo di frequentazione, per noi. Avevamo deciso di non prendere alcun impegno, e di poter chiudere nel caso in cui uno dei due avesse capito che l'altro non faceva al caso proprio. Fino a quel momento, mi ero resa conto di che ragazzo d'oro fosse Aiden, con i suoi sorrisi e le sue battutine sarcastiche. Non sapevo lui, visto che non ne parlavamo spesso, ma ero convinta che mi piacesse davvero.

Nel corso delle settimane precedenti, perfino Carter lo aveva conosciuto. Era stato sull'attenti per molti giorni, non fidandosi, ma alla fine aveva capito che Aiden era davvero un ragazzo d'oro.

"Stessa cosa anche tu." Gli risposi, sorridendogli.

"Non devo arrivare dall'altra parte degli States come te, probabilmente sarai ancora sull'aereo quando arriverò." Mi ricordò lui, con un piccolo sorriso.

"E allora mandami un messaggio, mandami un piccione viaggiatore, non so. Ma fammi sapere che sei a casa."

Aiden rise, e mi strinse tra le sue braccia ancora qualche istante, finché Cher non ci raggiunse.

"Cris, dobbiamo fare il check in." Annuii, e mi voltai per un'ultima volta verso Aiden, che stavolta, mi concesse un bacio vero e proprio, che mi fece contorcere lo stomaco. Quasi non percepii più la terra sotto i piedi.

Cher fu quasi costretta a trascinarmi via, visto che né io né Aiden avevamo intenzione di allontanarci dall'altro. Raggiunsi la fila con la mia amica, e notai come Andrew e Carter l'avessero già occupata.

"Finalmente." Andrew borbottò, io lo guardai con un cipiglio sul volto.

"Qualche problema?" Gli chiedi retorica, sollevando un sopracciglio. Andrew si voltò di poco, solo per lanciarmi un'occhiata, e non rispose.

Certe volte mi dava davvero l'impressione di essere geloso. Poi però lo vedevo insieme a Swan e mi ricredevo immediatamente. Una sera, sola in camera visto che Cher e Carter erano usciti, avevo sentito dei versi così animaleschi dalla sua stanza, visto che avevano una parete in comune, che quasi pensai fossero arrivati i lupi in città.

Mi chiedevo, anche io urlavo come faceva Swan? In quelle circostanze, mi sembrava più un'oca, altro che cigno.

Ad ogni modo, i rapporti tra me ed Andrew sembravano essersi raffreddati notevolmente da quel giorno. Ci rivolgevano la parola a stento, e quando accadeva, era solo per battibeccare, come qualche minuto prima. Mi sembrava quasi di essere ritornata ai vecchi tempi in cui ogni scusa era buona per infastidirci.

La fila sembrava essere interminabile, e dopo più di mezz'ora, finalmente raggiungemmo la sala d'aspetto. Come mi capitava ogni volta che fossi in aeroporto, osservavo i monitor accanto i vari gate, che indicavano la meta dell'aereo in partenza da lì e il tempo. Notai con divertimento come tutti i voli si dirigessero verso destinazioni in piena tempesta, bufera, o alquanto semplicemente, un freddo da cani. Poi osservai sorridente il monitor che indicava Los Angeles, la mia città, e come vagasse nei suoi sedici gradi, e con un sole splendente. Mi mancava quel clima, credetti di non aver mai visto così tanta neve in tutta la mia vita, quanta ne avevo vista a New York nel mese precedente.

Dovemmo aspettare circa un'ora prima di imbarcarci, tempo che sprecammo mangiando e comprando qualche sciocchezza dell'ultimo momento, tipo calamite o souvenir per i nostri genitori.

Il viaggio in aereo fu movimentato, grazie ad un bambino seduto nel sedile retrostante al mio, che calciava e piangeva come un dannato. Più volte mi ero limitata a lanciare occhiatacce alla madre, anche le hostess avevano espresso il loro disappunto. Alla fine feci finta di essere su una poltrona massaggiatrice, che quei calci erano ottimi per la schiena, e misi le cuffie nelle orecchie, isolandomi completamente.

Born to be yoursWhere stories live. Discover now