Capitolo 46

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"Mamma, perché siamo qui?" Carter mi chiese, stringendo le braccia al mio collo. Non aveva molta famigliarità con gli ospedali, e per questo non gli piaceva affatto entrarvi. E come dargli torto. Il ricordo più doloroso della mia vita era legato, in parte, proprio ad un ospedale.

"Solo qualche esame di controllo." Lo rassicurai, accarezzando la sua schiena dolcemente. Carter affondò la testa nel mio collo, stringendosi di più a me. Quei suoi momenti di dolcezza erano l'unica cosa che mi spingeva a sorridere ogni giorno. Poterlo stringere tra le mie braccia, considerarlo mio al cento percento. Ogni volta che ci pensavo, era una scarica di adrenalina pura fin dentro le ossa.

L'ascensore trillò, facendoci capire di essere arrivati al nostro piano. Andrew, da quello che mi aveva spiegato, era uno specializzando in questo ospedale, per cui lo avremmo trovato già qui. E infatti, non appena oltrepassai le porte dell'ascensore, lo vidi attendere alla reception: era visibilmente ansioso, camminava avanti e indietro lungo il bancone, e aveva una mano sotto il mento. Mi morsi il labbro per evitare di sorridere, e mi avvicinai a lui.

Carter, non appena lo vide, si fiondò immediatamente tra le sue braccia, Andrew lo accolse con un sorriso. "Come stai, campione?" Gli chiese, stringendolo. Per la prima volta dopo più di cinque anni, vidi Carter approcciarsi a qualcuno con stima e affetto vero. Non avevano condiviso molti momenti insieme, ma tra loro si era subito instaurata una profonda connessione. Quella vista mi fece sciogliere il cuore.

"Ho paura degli aghi." Disse mio figlio, mettendo su un broncio fin troppo tenero. "Non ne useranno, vero?"

Andrew serrò appena le labbra. "Temo di sì." Sospirò. "Ma tu sei un campione, no? Se sei riuscito a battermi ad una partita di basket, vedrai che l'ago non ti farà nulla."

Sorrisi senza neanche rendermene conto vedendo quella scena, Carter finalmente sembrò calmarsi davvero, tirando su un sorriso. Quando Andrew portò lo sguardo su di me, sorrise appena. "Pronta?"

"Credo di sì." Mormorai. Mi porse il suo braccio libero ed io lo afferrai, lo lasciai guidarci fino ad una stanza, dove un giovane dottore ci attendeva per il prelievo.

"Perché li fate anche voi?" Mi chiese Carter, aggrappato alle mie gambe, una volta che Andrew si alzò dalla poltrona. Premeva un pezzo di ovatta sul punto in cui gli era stato prelevato il sangue, mentre sorrideva al bambino. "Per farti vedere che non è nulla." Lo rassicurò, scuotendo una mano tra i suoi folti capelli ricci.

Carter iniziò ad agitarsi non appena si sedette sulla poltrona, mentre tese la mano verso di me, affinché la afferrassi. Mi fiondai verso di lui e la strinsi tra le mie, baciando le sue nocche, mentre lui poggiò la testa sul mio petto e chiuse gli occhi. "Passerà in fretta, te lo prometto." Sussurrai al suo orecchio, passando una mano tra i suoi capelli per tranquillizzarlo. Carter, infatti, si ammutolì all'istante, serrando gli occhi, e neanche si accorse dell'ago nella sua pelle, se non quando ormai il dottore aveva già finito. Istintivamente portai il mio sguardo su Andrew: lo beccai ad osservarci con un sorriso mesto sulle labbra, ma che nascose chinando il capo non appena si rese conto che lo stavo guardando.

"Bene, sei stato bravissimo!" Esultò il dottore. "Eccoti un premio." Porse a mio figlio un lecca-lecca alla fragola, lui subito lo accolse con un sorriso.

Dopo aver prelevato a tutti e tre il campione di sangue, il dottore li mise da parte con un'etichetta. "I risultati saranno pronti in tre o quattro giorni circa. Evans, li recapito a te?"

Il ragazzo annuì, e così finalmente uscimmo da quella stanza. Non sapevo cosa aspettarmi da quel test, ma di una cosa ero certa: quelli sarebbero stati i giorni più difficili, dove sarei stata divorata dall'ansia costantemente.

Born to be yoursWhere stories live. Discover now