Capitolo 45

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Quando il sole filtrò oltre le tapparelle della mia stanza, fui costretta a svegliarmi a causa di un rumore dal piano di sotto.

Sapevo benissimo di essere sola con Carter in casa, visto che mia madre aveva già impacchettato la sua roba, ed aveva comprato una nuova casa con Steven. Forse aveva dimenticato qualcosa?

Lanciai uno sguardo a mio figlio e lo trovai a ronfare ancora beatamente. Così, col cuore in gola, afferrai la mazza da baseball che mi ricordavo di avere sotto il letto - prevenire è meglio che curare, no? - e la strinsi tra le mie mani con tutte le forze che avevo, mentre mi alzai e mi diressi lentamente alla porta. Ogni passo verso di essa fu come un passo verso una bimba ad orologeria, il cuore mi martellava così forte nel petto che avrei rischiato un infarto.

Mi affacciai oltre la porta della mia camera, e trovai il corridoio fortunatamente vuoto. Così mi avviai alle scale, e lentamente scesi i gradini.

«Una mazza in testa e manderesti chiunque in coma» mi ripetevo per tranquillizzarmi.

Raggiunsi il piano di sotto ma, anche questo, era completamente vuoto. Stetti per attraversare la soglia della cucina, quando sentii qualcuno parlare alle mie spalle.

"Che diavolo stai facendo?"

Saltai e mi voltai di scatto, pronta a colpire chiunque ci fosse con quella mazza. Tuttavia, proprio quando stavo per sferrare il mio colpo mortale, mi resi conto di chi avessi davanti e riuscii a fermarmi giusto in tempo.

"Andrew, ma che diavolo-" borbottai, portandomi una mano al cuore per lo spavento. Avrei potuto fargli molto male, incosciente. "Come sei entrato?"

Andrew tirò su un sorriso, sollevando una mano e mostrandomi la chiave che stringeva con essa. "Nascondete ancora la chiave di riserva sotto lo zerbino."

Lasciai cadere la mazza ai miei piedi, massaggiandomi le tempie. "Il lupo perde il pelo ma non il vizio, hm?"

Andrew sorrise appena, probabilmente ricordando tutte le volte che me lo ero ritrovato in piedi in camera mia, senza avergli aperto la porta per farlo entrare.

"Cosa ci fai qui?" Gli chiesi poi, dirigendomi in cucina. Presi del caffè freddo dal frigo e ne offrii un po' anche a lui, che lo accettò immediatamente. Avevo notato come avesse delle profonde occhiaie scure sotto gli occhi, probabilmente non aveva dormito affatto quella notte.

"Credo sia arrivato il momento di parlare." Mormorò, ed io tirai un grosso sospiro, prima di annuire.

Mi seguì sulla veranda, e poi entrambi ci sedemmo sul dondolo che avevo preteso quando ero ancora una bambina. Ci passavo interi pomeriggi, a dondolare e guardare il mare.

"Chiedimi quello che vuoi." Gli dissi, incrociando le gambe sul cuscino e sorseggiando il mio caffè. Provai a mostrarmi calma ma in realtà dentro stavo dando di matto. Avrebbe capito le mie motivazioni? Le avrebbe accettate?

"Beh, innanzitutto mi piacerebbe sapere perché non mi hai mai detto di essere incinta." Il suo sguardo si rabbuiò all'istante, quasi vidi le nocche imbiancarsi, mentre stringeva la tazza. "Lo sapevi già prima di partire?"

Scossi la testa, mordendomi il labbro inferiore. "L'ho scoperto qualche settimana dopo il trasferimento."

"E perché non me l'hai detto, Cris?" Andrew sbuffò, affranto. "Avrei dovuto saperlo, non credi?"

Sollevai appena lo sguardo sul mare, non del tutto pronta a rivivere quel momento della mia vita. "All'inizio non te l'ho detto perché avevo intenzione di abortire."

Andrew sussultò sul posto, accigliandosi. "Che cosa? Perché avresti dovuto fare una cosa del genere?"

Voltai lo sguardo verso di lui, serrando le labbra. "Perché non ho mai avuto la certezza che fosse tuo, quel bambino."

Born to be yoursWhere stories live. Discover now