Capitolo 2

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Le lezioni sarebbero cominciate quel giorno. Erano solo le nove del mattino, ed io e Cher girovagavamo nei corridoi in cerca della nostra aula. Iniziare il primo giorno al college con chimica non era esattamente la migliore delle opzioni. Ma, purtroppo, non avevamo altra scelta.

Trovammo la nostra aula esattamente dieci minuti dopo: era quasi completamente piena, motivo per cui io e Cher fummo costrette a metterci nelle ultime file. Le aule erano costituite dalla cattedra, situata al centro della stanza, e i banchi che si sollevavano a mano a mano che si allontanavano da essa, in una sorta di scalinata. Da dove eravamo noi, avevamo la visuale completa dell'intera classe, e pregai affinché il professore non scrivesse nulla di importante alla lavagna, dato che non ci vedevo molto bene. Anzi, non ci vedevo affatto.

"Ma tuo fratello cosa mangia a colazione? Pane e testosterone?" Cher disse, quasi con aria sognante. Non capii esattamente il perché di quella affermazione, fin quando non lo vidi entrare in aula, con quella testa vuota di Andrew accanto.

"Non commentare mio fratello in mia presenza, ti prego." Le ripetei per la milionesima volta. Ero consapevole di quanto il 90% del genere femminile sbavasse dietro mio fratello, ma sentirselo dire dalla propria migliore amica non faceva un bell'effetto.

"Oh, ma andiamo. È un bel ragazzo, esplorerei anche l'Africa insieme a lui." Disse, sospirando. Poggiò il gomito sul banco e la testa sul pugno chiuso della sua mano. "Anzi, gli farei esplorare la mia, di Africa."

"Cher!" Sbuffai, alzando gli occhi al cielo. "Puoi smetterla?"

"Ma perché?" Disse lei, in tono stridulo. "Ti ricordo che siete gemelli, avete la stessa faccia. È come se stessi rivolgendo questi complimenti anche a te."

"Si, se non fosse per il fatto che io non esplorerei mai la tua Africa." Rimbeccai, e notai con la coda dell'occhio i due ragazzi salire fino in cima all'aula, proprio dove eravamo noi.

"Uh, sarebbe strano il contrario." Fece un verso disgustato, poi quando notò la presenza di mio fratello alle mie spalle, si alzò con la schiena e si mise dritta. "Oh, ciao ragazzi." Tirò fuori il suo solito visetto angelico, capace di ingannare chiunque la guardasse.

Mio fratello sorrise, e stette per sedersi accanto a me, quando il suo amico gli rubò il posto. "Scusa, amico. Ho bisogno di ricevere la dose mattutina di insulti da tua sorella."

"Vai a rompere i coglioni un po' più in là, Evans." Gli dissi, alzando gli occhi al cielo.

"Che melodia." Andrew sorrise fiero, incrociando le braccia al petto. Notai i muscoli guizzare sotto il sottile strato di tessuto che li copriva, ma cercai di non farmi notare. Ehi, lo odiavo, ma era pur sempre un bel ragazzo. E per quanto non volessi che qualcuno deturpasse il mio tempio della purezza, potevo sempre permettermi di guardare. E lo facevo spesso, contrariamente a quanto pensasse la mia amica.

"Carter, chiama un idraulico. A tua sorella si sono rotte le tubature, sta sbavando senza contegno." «Beccata.»

"Lasciala in pace, Andy." Risi nell'udire il nomignolo che ancora gli affibbiava, e allora Andrew guardò male entrambi.

"Ti ho già detto di smetterla di chiamarmi così. Non è virile." Andrew sbuffò, passandosi una mano tra i suoi mossi capelli, cercando forse di dar loro una forma. Peccato che risultavano sempre ribelli.

"Non che tu lo sia, comunque." Mi permisi di dire, prendendo dalla borsa un quaderno ed una penna.

"Se non ti conoscessi da diciotto anni ti avrei già mostrato quanto io in realtà sia virile." Andrew disse. Stetti per ribattere, quando la mia amica ci interruppe.

"Si, abbiamo capito, vi odiate, ora basta. Mi state facendo venire il mal di testa." Cher si massaggiò le tempie con gli occhi serrati, e finalmente calò il silenzio.

Il professore entrò in aula poco dopo. Parlò per lo più del suo corso, degli argomenti che avrebbe trattato, di quanto importante sarebbe stata la sua materia per i corsi che avremmo seguito successivamente. La lezione, dunque, si perse in chiacchiere, ed io su quel quaderno non scrissi nemmeno una lettera.

Per fortuna, quello fu l'unico corso che avremmo dovuto seguire quella giornata. Per cui tutti e quattro ci avviammo verso i dormitori.

Carter raggiunse il mio fianco, ed appoggiò un braccio sulle mie spalle. "Devo parlarti." Disse al mio orecchio.

Sapevo già dove quella conversazione sarebbe finita. "Non dirmelo, già immagino."

"Ha dovuto intervenire anche la polizia stavolta, Cris." Disse, sospirando. Notai come la sua mascella risultò serrata nel pronunciare quelle parole, il suo volto si incupì immediatamente.

"Qualche giorno in galera non gli farebbe male." Dissi, ferma sulle mie idee. L'odio che provavo verso quell'essere era un qualcosa di indescrivibile a parole, non riuscivo nemmeno a spiegarmi come potessimo risultare, in qualche modo, parenti.

"Cris, la galera non lo cambierà." Carter disse, sospirando.

"Se sono giunta dall'altra parte dell'America è solo grazie a lui, e non ho intenzione di prendermi carico dei suoi problemi anche a miglia e miglia di distanza." Sbottai, ma pur sempre a bassa voce. Cher e Andrew se ne stavano a parlare qualche metro più in là, non volevo che sentissero la nostra conversazione. Non che non sapessero quello che io e mio fratello avevamo dovuto affrontare nel corso della nostra vita, ma non conoscevano tutti i retroscena della storia. Certe cose, io e mio fratello preferivamo tenerle per noi. Anche se Andrew, abitando praticamente accanto a noi, sapeva più di quanto volessi. "Non ho intenzione di preoccuparmi per lui e le sue azioni anche qui. Per quanto mi riguarda, non voglio più avere niente a che fare con lui."

Carter sospirò ancora una volta, passandosi una mano sul volto. "Ricordati che è sempre lui a permetterci di studiare qui. Non potremmo permetterci niente di tutto questo, altrimenti."

"Ed è l'unica ragione per cui ancora non lo faccio sbattere in carcere."

Carter capì che per me la conversazione era finita, e si allontanò, raggiungendo gli altri due. Io me ne stetti indietro di qualche passo, non avendo davvero voglia di parlare con nessuno in quel momento.

Quasi come se la conversazione appena avuta fosse stato un promemoria, sentii il polso bruciare e lo stomaco dolermi. I segni erano ancora freschi sulla mia pelle, risalivano solo alla settimana precedente, e il solo pensarci mi faceva mancare il fiato. Fui felicissima di notare che, ormai, eravamo arrivati alle nostre rispettive stanze.

"Ci incontriamo qui fuori per pranzo?" Carter disse, rivolgendosi a noi ragazze. Lasciai a Cher la scelta, mentre io mi fiondai dentro la stanza. Sentivo il repellente bisogno di fare una doccia.

Così mi chiusi in bagno, e mi appoggiai alla porta per qualche minuto. Avevo bisogno di ispirare ed espirare per qualche momento, solo così riuscivo a calmarmi. Ormai era diventato un rituale, non sapevo cos'altro fare.

Erano anni ormai che convivevo con gli attacchi di panico, ne soffrivo fin da bambina. Il respiro diventava sempre più affannoso, la gola sembrava restringersi e lo stomaco contorcersi. Ero consapevole che tutto avveniva nella mia testa, era solo un fottuto scherzo della mia mente. Ma quegli attacchi erano così reali che a volte mi serviva più di qualche momento per riprendermi.

Decisi, notando che il cuore ancora non voleva decelerare, che la doccia era la cosa che in quel momento più mi serviva. Mi spogliai velocemente e mi lanciai sotto il getto d'acqua bollente.

E strofinai, grattai sulla mia stessa pelle con severità, ma quei segni non accennavano a voler andare via.

Born to be yoursWhere stories live. Discover now