Capitolo 42

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"Mi trasferisco."

Alla mia mente servirono cinque minuti buoni per elaborare quella frase, analizzarla attentamente. Poi spalancai la bocca, completamente sotto shock.

"Intendi a New York, vero?" Provai, sperando con tutto il cuore che la mia migliore amica, la cosa più vicina ad una sorella che avessi e che mi fosse rimasta, non avesse davvero deciso di mollare tutto, studi compresi, e partire.

Cher si morse il labbro inferiore, chinando la testa e scuotendola. "In Italia."

A quel punto, mi sbracciai al cielo. Quella era decisamente la mia settimana di fuoco, non stavo avendo tregua neanche per un solo giorno. E come se non fosse successo nulla, come se non mi sembrasse ancora di vedere Carter sbucare da ogni angolo della casa o della città, Cher sganciò la bomba più grande che avesse in serbo.

Il cameriere ci portò i due caffè, lei afferrò immediatamente il suo. Alzò poi lo sguardo su di me, che scioccata com'ero, ancora non avevo proferito parola.

In Italia... praticamente dall'altra parte del mondo. Migliaia e migliaia e migliaia e ancora migliaia di chilometri e un oceano più in là. Non poteva dire sul serio, non ora.

"Ho già trovato un posto, a Roma. Ho messo da parte abbastanza soldi per permettermelo. Aspetterò di vedere quegli esseri dietro le sbarre, e poi partirò." Mormorò, giocando con la tazza di caffè ormai vuota. Lo aveva bevuto tutto d'un sorso, mentre il mio era ormai freddo.

"Non puoi dire sul serio." Bofonchiai, gli occhi ancora spalancati, mentre vedevo la felicità farsi sempre più lontana dalla mia vista.

Cher annuì, vidi un velo di lacrime formarsi nei suoi occhi. "Io non ce la faccio a stare qui, Cris. Tutto mi ricorda di lui, qualsiasi cosa. Non riesco a respirare, non riesco a dormire, o a mangiare. Non penso ad altro." Scosse la testa quasi in negazione, come se ancora non si capacitasse della sua morte. A quel punto, gli occhi divennero lucidi anche a me, e dovetti usare tutte le mie forze per non piangere. Da quando ero diventata così maledettamente emotiva?

"So quello che provi, Cher. È quello che succede a me tutti i giorni." Le ricordai, sospirando appena. "Ma non per questo faccio le valigie e vado oltreoceano."

"Tu qui hai qualcuno, Cris." Mi ricordò, invece, lei. "Hai tua madre, Andrew, Theo. Io invece? Ho un fratello che ormai vive in Arizona da anni, felicemente sposato; una madre sull'orlo della pazzia che non si è nemmeno degnata di presentarsi al funerale del fidanzato di sua figlia, o di abbracciarla per consolarla; per non parlare di mio padre, che passa tutte le sue giornate in ufficio ed ha più amanti che capelli." Iniziò a contare sulle dita della sua mano le persone che aveva elencato. Le sfuggì un singhiozzo, che la fece definitivamente scoppiare a piangere, seppur in silenzio.

"Hai me, Cher." Le dissi, afferrando la sua mano. "Ed Andrew, e Simon, Miley, Becca. Noi ci siamo. Io, ci sono. Avevamo promesso di affrontarlo insieme, che nessuna delle due avrebbe lasciato l'altra, ricordi?" Ricordai le parole che ci eravamo dette la sera del funerale, prima che lei tornasse a casa e che Andrew mi portasse a Mount Lee.

Cher scosse la testa, serrando gli occhi. "So quello che ti ho promesso. Ma credevo di essere più forte." Mormorò. "So che anche tu stai passando l'inferno, ma almeno hai qualcuno con cui condividerlo."

"E credi che oltreoceano sarà diverso?" Le dissi allora, sbraitando. "In una città che non conosci, con degli estranei?"

"Voglio ricominciare da capo, Cris." Disse decisa, asciugandosi le lacrime. "E non posso farlo qui, dove tutto mi ricorda di lui. Ti prego, capiscimi."

Incrociai le braccia al petto, dopo aver bevuto d'un sorso il mio caffè ormai freddo. "Bene." Mi sbracciai poi al cielo, osservandola. "Vengo con te, allora."

Born to be yoursWhere stories live. Discover now