RECENSIONE: Anime affini

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Che abbiamo qui? Hmm, "Anime affini". Sarà di certo una lettura interessante. Dovrò tirare fuori del tè per l'occasione. Ne ho una bella scorta ai piedi del vulcano, presso le terme, da usare per le occasioni speciali.

La storia prende piede in Inghilterra, nell'epoca vittoriana, quando il tè rappresentava il valore più alto e l'intero mondo era vessato dall'opprimente ombra inglese. Vincent è un nobile dotato di un intelletto fine (che di solito implica una vita davvero infelice), di una mente estremamente razionale, ma anche di un cuore tenero, perché si interessa alle sorti di una bambina che recupera dai sobborghi per salvarle la vita. È l'intelligenza di Sophie che vince l'attenzione del protagonista. Attenzione, la storia non ha parti indecenti e Vincent sembra davvero interessato alla sua mente invece che al corpo.

Ma basta con la trama, mettiamoci al lavoro e analizziamo le singole parti.

Il capitolo iniziale propone una forte critica alla morale vittoriana. Non è una critica infondata, ma la definirei una visione parziale. Emerge un pensiero oggigiorno comune, che non aggiunge niente che già non si pensi. Si parla ad esempio di quanto il mondo nobiliare fosse falso: perché non parlare allora di come i nobili fossero ingabbiati nel costume del tempo, di come la loro vita non potesse sforare con le date ripercussioni sul loro benessere mentale, di come le donne dovessero mantenere contegno nonostante il disagio interiore che ne poteva derivare, o di come la sessualità venisse celata o repressa? Mi pare che valga la pena di indagare a fondo anche tali aspetti visto la profondità del pensiero di Vincent.

Veniamo quindi alla prostituzione. In una società repressa come questa, non sarebbe strano sentire di uomini confidarsi con le prostitute, versare su loro preoccupazioni e problemi, soprattutto quelli coniugali (come spesso accade oggi, mi è capitato infatti, anni fa, di leggere un'intervista a una prostituta e ciò che emerge non si limita alla sola sessualità). Mi stupisce che solo Vincent le parli come a un essere umano (estrema generalizzazione riguardo alle attitudini degli altri uomini).

Aggiungo che la presenza della prostituta è un tocco di classe, dico davvero, un incipit originale. Ciononostante non capisco che cosa Vincent veda in lei. Sebbene si dica che è intelligente a me sembra piuttosto ingenua e il suo carattere non traspare affatto. Viene usato il suo passato come denuncia contro la società spietata, ma quel vago frammento difficilmente riuscirà a suscitare forti emozioni prima che il lettore abbia sviluppato verso di lei compassione e simpatia. Il tentativo c'è, ma rischia di restare vano perché se ne accenna appena e della prostituta, temo, non si saprà più nulla.

L'ambiente in generale è definito, ma non pienamente: comprende poche descrizioni dei luoghi tanto da lasciare troppo spazio all'immaginazione. Dei personaggi spesso si conoscono soltanto tratti fisici superficiali, come i capelli o gli occhi, mentre manca una descrizione più approfondita e personale, che lasci una profonda impronta nel lettore perché si ricordi dei personaggi secondari anche successivamente. Il nobile della birreria invece emerge chiaramente e per essere soltanto una comparsa è piuttosto ben formato caratterialmente.

Rispetto alla narrazione, va notato come spesso la storia proceda per riflessioni e spiegazioni. Il passato dei personaggi o la diagnosi di Sophie, ad esempio, potrebbero facilmente emergere attraverso il dialogo, mentre spesso se ne occupa il narratore. Stesso dicasi del mondo vittoriano. Si accenna alla morale ipocrita e falsa, alla crudezza della vita e al disagio dei poveri eppure poco di tutto ciò viene effettivamente mostrato.

I personaggi finora sono stati tutti buoni e giusti. Ma nei quartieri malfamati, dove la vita è difficile, cosa non faresti per sopravvivere? Manca totalmente l'aspetto umano, manca la crudezza della vita, la violenza, le ingiustizie di cui gli uomini non soltanto soffrono ma di cui sono anche responsabili.

Sophie, ad esempio, sebbene sia vissuta sempre in miseria, è un angelo di bambina, si comporta sempre a modo e pare quasi cresciuta fra gli esponenti di alta classe, per come si ambienta subito e si comporta a casa di Vincent. Il suo stato d'animo viene poco indagato, si accenna soltanto alla gratitudine, alla curiosità e alla diffidenza. Eppure, sebbene si dica che sia molto curiosa, in realtà, non fa nulla che possa comprovarlo: non cerca di indagare sul passato di Vincent o scoprire qualcosa su di lui, non interagisce con nessuno, non prende quasi mai l'iniziativa, la sua curiosità quindi dove sta? Anche i suoi studi procedono, ma agli occhi del lettore la differenza tra il prima e il dopo non supera l'apparenza.

I nonni di Vincent la accolgono senza tentennare e finora sono stati totalmente inutili alla trama, così come il padre della bambina che la lascia andare senza turbamento o averci pensato due volte, una decisione così seria viene presa in un batter d'occhio e i due vanno tranquillamente a dormire dopo averne parlato per qualche minuto (almeno che si dica che non ha dormito la notte, che ha seguito la carrozza da lontano in lacrime, che ha indagato sul nobile per sapere dove andrà la sua povera bambina). Dove sono finiti l'egoismo, la paura di separarsi, il sospetto, la malafede? Inoltre, lui dovrebbe essere depresso (invece della depressione è meglio parlare di malinconia che allora era il termine dominante per indicare la depressione): di nuovo, questo fatto non si vede (che si mostri almeno indifferente o distaccato invece che cortese e gentile).

Sul versante della struttura, faccio notare soltanto che i dialoghi vanno separati dallo spazio e non tenuti nello stesso paragrafo, addirittura nella stessa riga, quando più individui si esprimono. Le scene non sono eccessive e lo stile scorrevole, i capitoli si leggono velocemente, il linguaggio ha una sua dignità e si adegua al contesto, sebbene la sintassi non sia particolarmente complessa e tenda alla linearità (diverso dallo stile ottocentesco, ma per nulla sbagliato). Considerato che il linguaggio aiuta la caratterizzazione, andrebbe comunque adeguato meglio ai personaggi per differenziarli.

Non mi lamenterò della grammatica che merita la mia stima, ma si dovrebbe prestare più attenzione alle ripetizioni e alla punteggiatura, virgole in particolare. Le ripetizioni non sono gravi ma è comunque meglio arricchire il proprio linguaggio adottando sinonimi ogniqualvolta se ne presenti l'occasione. Questo non solo per sfoggiare la propria competenza ma anche per conferire maggiore dignità allo scritto che, trattando di temi per nulla semplici o scontati, dovrebbe essere accompagnato da uno stile corrispondente, ricco e con molto da offrire.

Non fatevi ingannare dalla critica severa da me mossa, la faccio per il bene dell'autrice, perché vedo chiaramente il grande potenziale della sua opera. Non ho ripensamenti nell'assegnarla ai primi Cieli del Paradiso, per l'impegno, l'originalità e le competenze grammaticali dimostrati.

Flegias

La Divina GrammaticaWhere stories live. Discover now