Andrew fortunatamente non ribatté, e la conversazione morì. Gli avevo riservato così tanti insulti negli anni precedenti, che ormai non facevano più effetto. Lui, però, si ostinava a farmi dare di matto ogni volta che aprisse bocca.

Eravamo vicini di casa da quando ne avevo memoria. Avevo sempre ricordato Andrew con quell'aria sfacciata e il sorriso malefico, fin da quando a soli tre anni mi rubò il posto sull'altalena del parco sulla spiaggia accanto. Mi fece una linguaccia per dimostrarmi la sua sudata vittoria, data la corsa che aveva fatto per raggiungere l'altalena, e continuò a dondolarsi. In quel modo conquistò le grazie di mio fratello, comodamente seduto su quella accanto la sua, e da allora furono inseparabili. Io semplicemente mi lasciai cullare dalle braccia di mia madre, e meditai vendetta per quella testa maligna di ricci insensati. Il mio odio per lui crebbe negli anni, così come noi stessi: lo odiai quando urlò davanti tutta la scuola quanto mi imbottissi il reggiseno per far sembrare il mio seno più grande, cosa assolutamente non vera; lo odiai quando mi fece prendere una nota disciplinare per linguaggio inappropriato, mentre io semplicemente avevo risposto ad una sua sberla sulla nuca; lo odiai quando mi sgonfiò le ruote della bicicletta ed io, una volta uscita sul vialetto di casa, pieno di brecce, caddi letteralmente come un pesce lesso, sbucciandomi le ginocchia e i palmi della mano. Iniziai ad odiarlo nei suoi ghigni malefici, nelle sue occhiate, nel suo modo di parlare, nel fatto che, quando parlava di me, non avesse alcuna tipologia di filtro alla bocca. Lo odiavo a tre anni e la situazione a diciotto non era affatto cambiata, anzi, forse era peggiorata. Eppure, non riuscivo ad immaginare una singola giornata senza rivolgergli almeno un insulto, una sberla, una spinta. Deriderlo mi faceva sentire più libero l'animo, di questo dovevo dargliene atto. E forse si, la mia vita sarebbe risultata davvero monotona.

Raggiungemmo la mensa, con la mia migliore amica che non smetteva spudoratamente di fare gli occhi dolci a mio fratello. Non avevo mai pensato ad una loro eventuale relazione, anche perché ero sicura che mio fratello la vedesse come un'altra gemella. Anche lei era cresciuta con noi, se non ricordavo male i nostri genitori, in tenera età, ci fecero perfino un bagno tutti e tre insieme. Dovevo avere quella foto in qualche cassetto della mia scrivania, a Los Angeles. Tuttavia, qualche volta mi era capitato di sentire mio fratello parlare di come fosse venuta su bene Cher, crescendo; ma non avrei saputo dire se la sua frase volesse intendere altro o no.

"A che ora c'è la festa?" Chiese Cher, prendendo un morso del suo hamburger.

"Alle dieci inizia, la confraternita è esattamente fuori dal college, per cui dovremmo arrivarci senza problemi." Fu mio fratello a risponderle.

Stetti per chiedere qualche dettaglio in più, quando una mano si intrufolò nel mio piatto, rubandomi una patatina. E se c'era una cosa al mondo che non tolleravo, era quando qualcuno si appropriava del mio cibo, senza permesso oltretutto. Mi voltai, perciò, con sguardo omicida verso colui che aveva giocato questa infamia, fulminandolo con gli occhi.

"Ti stacco le mani e te le faccio risalire su per il culo, Evans." Ringhiai, avventandomi su di lui per riprendermi la patatina. Decisi che strozzarlo sarebbe stato il mio prossimo obiettivo, quando con nonchalance si portò la patatina alle labbra e poi la mangiò.

"Principessa faccia attenzione, le è caduto il guanto." Andrew disse, indicando un punto a caso del pavimento.

Lo guardai serrando le labbra tra di loro. "Una vera principessa il guanto se lo fa raccogliere, quindi prego, obbedisci."

"Eccoli che ricominciano." Mio fratello sbuffò, massaggiandosi le tempie irritato.

"Obbedisci? Mi hai forse preso per un cane?" Disse lui, con quel solito ghigno fastidioso che avrei voluto togliergli a suon di sberle.

"A dire il vero un cane sarebbe più magnanimo di te." Ringhiai, incrociando le braccia al petto adirata.

"Ti ho solo preso una patatina dal piatto." Sbuffò lui, sbracciandosi al cielo.

"Perché non mi hai preso direttamente il cuore, a questo punto?" Mugolai. Aveva preso solo una patatina, ma avevo la sensazione che la mia porzione fosse diminuita notevolmente. E di conseguenza, sapevo che non mi sarei saziata solo con quella. La mia mente era malata e ne ero consapevole.

"Se fai la brava ti porto a prendere il gelato dopo." Mi accarezzò con finta premura i capelli, e con un sorriso materno sulle labbra.

"Sai dove puoi ficcartelo il gelato, razza di imb-"

"Adesso basta!" Mio fratello disse, poggiando le sue mani sulle nostre spalle. "Datevi una calmata. Cris, ti ha preso una fottuta patatina, non tutta la porzione."

"Ma tu da che parte stai?" Mugolai verso mio fratello. Tradita dal sangue del mio sangue.

"Dalla parte della ragione, tesoro." Andrew disse, motivo per cui gli rifilai una gomitata esattamente nello stomaco. Lui respirò a fatica, con gli anni avevo imparato a colpirlo bene. "E ti ho graziato." Gli dissi, spostando il mio vassoio un po' più in là, in modo che non potesse rubarmi altro cibo.

Andrew si riprese subito dopo, non che la mia gomitata avrebbe potuto stenderlo, in ogni caso. A quello ci stavo ancora lavorando.

Una volta tornati ognuno nelle rispettive camere, io mi distesi sul letto, beandomi delle cuffie e della mia playlist, che mi accompagnava perennemente durante le mie giornate. Cher andò a farsi una doccia, e rimase chiusa in bagno per due ore buone.

Verso il tardo pomeriggio, si diresse al suo armadio per decidere cosa mettere. Io, alquanto semplicemente, indossai un paio di shorts, decisa a sfruttare al meglio quegli ultimi frangenti d'estate che ci rimanevano, e una maglia a tre quarti, in pizzo bianco. Lei optò per un vestito, ed insistette così tanto per arricciarmi i capelli che alla fine la accontentai, solo per non sorbirmi le sue lamentele fino al mal di testa.

Quando Carter e Andrew vennero a bussare alla nostra porta, eravamo pronte da un pezzo. Sperai solo che quella serata mi avrebbe aiutata ad integrarmi di più nella nuova realtà che stavo vivendo: il college.

Born to be yoursWhere stories live. Discover now