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[Quattro anni dopo.]

Nella città dove vivevo da bambina il mio cognome era tra i più conosciuti e ricercati. La mia famiglia era sempre sulle bocche di tutti, nelle copertine dei giornali delle notizie esclusive.
Il mio destino era già stato scritto, ma non da me, bensì dai miei genitori: per loro avrei dovuto concludere gli studi, trovarmi un uomo benestante, diventare una donna di successo e trascorrere il resto della vita in completo lusso.
Per un periodo avevo creduto che quella fosse veramente la strada giusta da prendere.
Infatti, quando vinsi un posto per una delle migliori scuole private in Inghilterra, loro furono orgogliosi di me.
Avevo solo tredici anni quando partii lontana da casa, completamente sola.
Dalla mie compagne sentivo spesso parlare del liceo, e anche io, come loro, ero emozionata all'idea di intraprendere quella nuova avventura.
Il pensiero che i miei genitori non potevano più controllarmi su ogni cosa come erano abituati a fare era un'opportunità unica per me.
Mi ero sentita come un uccellino libero di volare nei cieli dopo anni passati rinchiuso in una gabbia.
Per i primi tre anni tutto sembrava andare bene: i miei voti erano costanti. Per ogni eccellenza ricevevo un regalo dai miei genitori con dei complimenti.
La situazione cominciò a peggiorare nel giorno in cui conobbi Theo, un ragazzo più grande e bellissimo.
Ero un adolescente alle prime armi, sentivo l'assoluto bisogno di sentirmi più grande. Di fare nuove esperienze.
Non ci volle tanto per farlo cadere ai miei piedi: con la mia bellezza angelica ero capace di far cadere ai miei piedi anche la più peggiore delle creature.
Qualche sorriso, un'occhiata ogni tanto e finalmente mi rivolse la parola.
Nel primo periodo ci vedevamo raramente e di nascosto. Cercavo ancora di tenere intatta la figura che i miei genitori esigevano.
Giorno dopo giorno però mi lasciai andare: spostai in secondo piano tutto il resto e mi dedicai completamente a quel ragazzo che mi aveva stregata.
Passai ogni sera nella sua stanza.
Fingevamo di studiare e trascorrevamo tutto il tempo a baciarci.
Finché un giorno non ci spingemmo ben oltre.
Scappavo dalle ore di lezione per raggiungerlo.
Ma non fu lui la causa della mia reale rovina. Bensì la notizia che mi diede il preside un giorno apparentemente normale.
Mi aveva stranamente convocata nel suo ufficio. L'aria seria mi aveva già messa in guardia che non si trattava di una bella notizia.
Quando mi comunicò che non avevo passato l'anno svenni letteralmente ai piedi della sua scrivania.
Non era tanto la bocciatura a spaventarmi ma quello che i miei genitori avrebbero fatto.
A farmi capire quanto fossero arrabbiati fu il fatto che non si degnarono neanche di chiamarmi per avvisarmi che sarei tornata a casa. Ci aveva pensato la segretaria.
Mi avevano prenotato un volo aereo per il giorno stesso.
Mi sentivo delusa da me stessa, arrabbiata e demoralizzata. Mi rinchiusi in bagno per ore a piangere per la disperazione.
Ciò che spezzò definitivamente il mio cuore furono le parole che Sentii dire da quello che credevo il mio ragazzo. Cose su di me davvero cattive che mi ferirono tanto da portarmi a pensare di scappare e non tornare mai più.
Me ne andai da quel paese con le lacrime agli occhi e una profonda ferita nel cuore. Con un discorso nella mia testa per scusarmi di azioni a cui nemmeno io sapevo spiegare.
Senza un briciolo di speranza, con le mani tremanti e un nodo nella gola, il giorno in cui tornai a casa, trovai il coraggio di presentarmi.
Inaspettatamente mi si presentò un soggiorno vuoto e silenzioso.
Per codardia tirai un sospiro di sollievo nel constatare che non si erano neanche presi il giorno libero per ricevermi dopo anni senza vederci.
Mi guardai attorno: niente era cambiato dall'ultima volta che ci avevo messo piede.
Ma io si, ero cambiata parecchio.
Non ero più la Camille di tredici anni, studiosa e diligente, che tutti conoscevano.
Ne avevo diciassette e iniziavo a credere che non avrei mai trovato la vera me stessa.
Ad attirare la mia attenzione fu il vecchio borsone bianco che usava mio fratello per gli allenamenti.
Con la poca voce che riuscii a trovare Lo chiamai. "Trav?"
Avevo così tanta paura che anche lui potesse essere deluso e arrabbiato nei miei confronti che mi girava la testa. Le gambe mi tremavano.
Passarono minuti, per me un'eternità, prima che la porta della stanza di Travis si aprì.
Il suo sguardo confuso attraversò tutta la casa. Quando il suo sguardo si fermò finalmente su di me si bloccò, insieme a lui il mio respiro.
"Camille?" Chiese, come se avesse paura che fossi solo un'allucinazione. "Camille!" Ripetè, quella volta con più sprint.
Le sue labbra si aprirono in un sorriso e velocemente, quasi correndo, scese le scale. Mi venne in conto e mi abbracciò all'istante.
"Oh Trav." Sospirai, lasciandomi andare in un pianto, mentre sprofondai tra le sue braccia. "Mi sei mancato così tanto..." mormorai, stringendolo.
"Mi sei mancata tantissimo anche tu Cami, questa casa senza di te è diventata così triste e vuota..." mi disse.
Mio fratello era sempre stata la mia cura ad ogni malessere. Ero felice che ciò non fosse cambiato dopo tanto tempo.
Io e Travis avevamo sempre avuto un rapporto magnifico, sin da quando io ero solo una neonata e lui un tenerissimo bambino di un anno e mezzo.
Lui non era solo mio fratello maggiore. Colui che mi proteggeva da chiunque, anche dalle più piccole sciocchezze. Colui che per me era una guida ed un'ispirazione.
Era anche il mio migliore amico.
Una persona a cui potevo confidare ogni cosa senza timore che potesse tradirmi.
"Sei proprio bellissima." Sorrise, scrutandomi.
Mi accoccolai a lui. Accostò il viso e mi baciò sulla fronte.
Travis era cresciuto così tanto durante quei quattro anni che non ci eravamo visti. Sapevo sarebbe diventato bellissimo, come il mio papà. Gli assomigliava davvero tanto.
Era alto e aveva preso i suoi occhi caldi color nocciola, oltre la passione per lo sport. I capelli ricci e biondi li aveva ereditati dalla mamma.
Esteticamente io ero il suo esatto opposto. Dalla mamma avevo preso gli occhi verdi e i lineamenti armonici, mentre da mio padre i capelli castani e lisci come la seta.
"Ti porto di sopra le valigie." Si offrì.
Trasportò su per le scale la mia valigia mentre io lo seguii con i bagagli più leggeri.
La mia stanza era ancora arredata come quella di una bambina: pareti rosa, coperte con i cuoricini, giocattoli sparsi ovunque e vestiti infantili.
"Vado a recuperare l'altra." Mi avvisò Travis.
Decisi di sbrigarmi a sistemare i miei abiti prima che mi passasse qualunque voglia se non quella di nascondermi sotto alle lenzuola e dormire per il resto dei miei giorni.
Due minuti dopo la mia stanza si trasformò in una montagna di abiti.
"Wow, Camomilla! Non pensavo che un maschiaccio come te potesse conoscerne l'esistenza!" Sentii dire alle mie spalle.
Non avevo bisogno di girarmi per sapere a chi apparteneva quella voce. C'era solo una persona che mi chiamava in quel modo: Rider Smith.
Nonché la persona più insopportabile al mondo.
Sin dai tempi dell'asilo era il migliore amico di mio fratello. Le nostre rispettive mamme erano altrettanto amiche e di conseguenza averlo in casa era del tutto naturale, almeno per loro.
Quando assimilai le sue parole e notai che si stava riferendo al mio perizoma in pizzo rosso che gli dondolava fra le dita spalancai gli occhi.
"Che stai facendo con quelle amico?" Gli chiese Travis, guardandolo storto.
"Niente!" Si affrettò a rispondere Rider, schiarendosi la gola.
Lanciò le mie mutande nel mucchio ma non si spostò di lì.
"E comunque non sono un maschiaccio." Protestai.
"Ah no? Da dove avresti preso quei pantaloni? Dall'armadio di tuo fratello o nel reparto uomini?" Mi chiese, indicando i comodissimi  pantaloni di tuta grigi che stavo indossando.
"E tu quel cervello dove l'hai preso?" Chiesi a mia volta. "Ah, perdonami! Dimenticavo che non ce l'hai." Ribattei.
Detto ciò mi voltai e tornai a piegare i miei vestiti.
Tuttavia tornare a litigare con lui mi alleggerì il cuore. Mi sembrava di esser tornata bambina, per un secondo.
Con la coda dell'occhio lo vidi ridacchiare.
Conoscevo Rider da quando ero bambina. E sin da piccolissimi bisticciavamo in quel modo di continuo. Farmi i dispetti sembrava il suo hobby preferito.
Avevo assistito alla sua crescita con i miei stessi occhi, da bambino dal viso dolce ma furbo al gran bel fusto che avevo affianco.
In quei quattro anni che non ci eravamo visti era cambiato molto da come me lo ricordavo. La sua voce era la stessa, ma era maturata. Come i lineamenti del suo viso e del suo corpo che si erano pronunciati meglio.
I capelli castani, quasi neri, erano più lunghi. Sul mento e un po' nelle guance aveva una piccola traccia di barba.
Anche il suo modo di guardarmi era diverso, ma non i suoi occhi. I suoi occhi erano li stessi di qualche anno fa. Grigi come il colore delle nuvole durante un temporale e misteriosi.
Non ero mai riuscita a capire cosa gli passasse per la mente.
"Rider, porta subito il tuo culo qua!" Strillò Travis, dalla sua stanza.
"Arrivo!" Gridò lui, scappando via.
Poco dopo sentii la porta sbattere. Mi paralizzai sul posto quando sentii la voce di mio padre provenire dal piano di sotto.
"Cami?" Mi chiamò mio fratello.
Saltai letteralmente dallo spavento.
"Volevo avvisarti che la cena è pronta." Disse, divertito.
Con il cuore che mi batteva all'impazzata e le mani che sudavano, scesi di sotto con mio fratello.
I miei genitori erano in cucina. Entrambi ancora vestiti con gli abiti da lavoro, impeccabili come sempre per ogni occasione.
"Rider, ho parlato poco fa con tua mamma. Tornerà tardi, perciò puoi cenare con noi." Disse mia mamma a Rider.
"Volentieri!" Accettò lui, accomodandosi a tavola.
Si aggirava come se fosse abituato a tutto quello. E in fondo era così: passava più tempo a casa nostra che in quella dove viveva con la mamma.
"Ciao Camille." Mi salutò, senza neanche guardarmi in faccia. Il suo tono era freddo e distante.
"Ciao." Sussurrai.
Strategicamente mi sedetti tra Rider e Travis, così da non avere nessuno dei due al mio fianco.
"Ecco la nostra studiosa!" Esclamò mio padre con la voce piena di ironia. Cercai di ignorarlo e tenni la mente occupata con ogni stupidaggine come i disegni dei tovaglioli o la forma bizzarra delle forchette. Tra di noi c'era un silenzio assordante, si sentivano solo i ticchettii delle posate che sbattevano sui piatti ogni tanto.
"Abbiamo già provveduto a riscriverti a scuola qui in California, frequenterai la stessa di tuo fratello" mi disse la mamma. "Inizierai domattina stesso." aggiunse dopo aver mandato giù il boccone.
"Perché? Mi ero messa d'accordo con Cindy che avrei frequentato il suo liceo!"
Non mi sembrava affatto giusto che decidessero al posto mio.
"Non vogliamo sprecare ulteriore denaro per qualcosa che sappiamo non sei all'altezza. Dopo ciò che è successo in Inghilterra abbiamo capito che ci siamo aspettati troppo da te. In questa forse riuscirai a stare al passo con il programma e superare l'anno" ad ogni sua parola mi sentivo sempre peggio. Faceva così male sentirsi dire certe cose dalla persona che più di tutti dovrebbe credere in te.
"Spendete ogni giorno soldi in cose futili e chiami quello uno spreco?" Strillai.
"Certo che lo chiamo uno spreco! Hai buttato all'aria grandi sacrifici che abbiamo fatto per te! Non ti sei minimamente impegnata, hai pensato solo a divertiti!"
"Tu non hai neanche idea di cosa significhi la parola 'sacrificio'!" Sbottai. Vidi nei suoi occhi passare la rabbia. Si alzò facendo stridere la sedia contro il pavimento e mi sferrò un forte schiaffo.
"Richard!" sussultò la mamma.
"Vai in camera tua e non farti più vedere!" Mi minacciò. Mi alzai dalla sedia e me ne andai sentendo le lacrime scorrere veloci sul mio viso.
"Hai esagerato!" Disse Travis con un tono di voce alto. Riuscivo a sentirlo benissimo.
"Stanne fuori Travis, questa faccenda non ti riguarda" Disse con freddezza.
"No, non ne sto fuori!"
"Travis" fece la mamma.
"Travis cosa? Le ha appena dato uno schiaffo così forte che le procurerà sicuramente un livido!" disse. Lo sentii alzarsi e salire le scale. Poi sentii la porta della mia stanza aprirsi e il materasso abbassarsi. Mi tirò su e mi avvolse tra le sue braccia. Mi stava trasportando da qualche parte.
"Puoi stare qui con me finché non se ne andrà a letto, non si sa mai ritorni." Mi disse posandomi sul suo letto.
Non riuscivo a respirare. Il mio corpo era scosso dai singhiozzi. Mi tremavano le mani, la gola mi bruciava e la testa pulsava.
"Accidenti Cami, non farmi preoccupare" mormorò accarezzandomi i capelli. Si spostò dal mio corpo e si protese sul suo comodino per afferrare qualcosa.
"Tieni, bevi. Ti farà bene" mi disse porgendomi un bicchiere d'acqua.
"Io non mi dispererei. In questa scuola guadagnerai tante cose belle" mi disse Rider.
"Ad esempio?" Borbottai. Non ero affatto d'accordo con la sua idea.
"Pensa che fortuna vedere un ragazzo super sexy come me ogni mattina." Alzai gli occhi al cielo e sbuffai. Dovevo immaginarmelo da uno come lui un'uscita del genere.
"Ci sarò io e avrai un passaggio gratis ogni mattina" provò Travis.
"L'unica cosa positiva di tutto questo" sospirai, appoggiandomi a lui.
"Non abbatterti Cami. Ci sono cose peggiori, intelligente come sei riuscirai a farli ricredere e vedrai che saranno loro stessi a chiederti scusa" mi rassicurò.
Fortunatamente i nostri genitori se ne andarono a letto presto perciò potei tornare in camera mia e stare al sicuro. Ci volle un po' prima di riuscir ad addormentarti. La mattina dopo quando la sveglia delle sette suonò mi parve di aver dormito pochissimo. Sotto gli occhi avevo due occhiaie violacee enormi e riuscivo a malapena a stare in piedi.
Mi sistemai solamente i miei capelli che lisci come erano non avevano bisogno di parecchie attenzioni, giusto una spazzolata veloce. Infilai dei pantaloni di tuta grigi, una maglietta nera con una stampa bianca stampata sopra di essa e delle semplici vans anche esse nere. Come si poteva notare dal mio abbigliamento non ero elettrizzata all'idea della nuova scuola. Non avevo alcuna voglia di fare bella figura agli occhi dei nuovi studenti.
I miei genitori uscivano presto per andare a lavoro quindi potei fare colazione in tranquillità.
"Buongiorno Cami" mi salutò Travis pimpante quando entrai in cucina. Rider era già presente, seduto accanto a lui.
"Buongiorno" Borbottai aprendo il frigo.
"Se cerchi il latte è già in tavola" mi disse. Richiusi lo sportello e andai a sedermi. Allungai una mano per prenderlo ma Rider lo trattenne.
Gemetti dalla frustrazione notando che non aveva intenzione di lasciarlo andare.
"Ti sei appena svegliata e già sei arrabbiata?" Mi chiese ridacchiando.
"No, mi è sceso l'umore quando ho visto che eri già qui in mezzo ai piedi. Sei una tortura" Gli dissi.
"Lasciala fare colazione, Rider. Arriveremo tardi altrimenti" Gli disse Travis colpendogli la mano.
"Grazie!" Esclamai. Mi versai un po' di latte nel bicchiere e lo bevetti in un sorso solo. Mi chinai per raccogliere il mio zaino da terra e aspettai che anche loro ebbero finito. Andammo a scuola con la macchina di Travis, gliela avevano regalata i nostri genitori per il suo diciottesimo compleanno. Dovevo ammettere che era davvero bella, i suoi interni erano perfettamente puliti. Si vedeva che ci teneva particolarmente.
Parcheggiammo in uno spazio apposito davanti alla scuola e attesi che scese mio fratello, affiancandolo. Tutti li guardavano, soprattutto le ragazze, notai come alcune di loro lanciarono un'occhiata alla mia mano che circondava il braccio di Trav.
"Non credo sarà facile trovare un'amica" mormorai.
"Chi vorrebbe essere amica di una pazza come te?" Fece Rider. Travis gli diede uno schiaffo leggero sul braccio che lo fece sussultare.
"Non preoccuparti Trav, le offese se dette da parte sua perdono valore" Gli dissi sfidando Rider con lo sguardo.
"Vuoi che ti accompagni a prendere l'orario delle tue lezioni e in classe?" Mi propose. Io annuii sollevata.
Notai con irritazione che mia mamma non aveva avuto neanche la decenza di iscrivermi ai corsi delle materie che più preferivo. Giusto quelle essenziali.
Quando raggiungemmo la mia classe Travis mi salutò con un bacio sulla guancia. Lo guardai andarsene via assieme al suo fastidioso migliore amico mentre vennero circondati da ragazze. Pensai immediatamente a quanto potessero essere ridicole.
Scelsi un posto a caso nei primi banchi e mi sedetti. Come avevo previsto nessuno smise di fissarmi, quasi con insistenza. Ero nuova e il fatto di essere arrivata insieme a Travis aumentò solamente la curiosità della gente.
Sapevo che facevano parte del gruppo dei ragazzi super rispettati e ammirati.
Le ore di lezione passarono più veloci di quanto mi aspettassi. A fine giornata avevo riassunto la mia vita cinque volte. Ogni volta che dicevo da quale scuola provenivo tutti cominciavano a parlottare.
A pranzo cercai con lo sguardo mio fratello e lo trovai un una tavolata già affollata in fondo. Mi feci spazio tra gli studenti per arrivarci e per poco non mi cadde tutto il cibo quando qualcuno mi diede un colpo distrattamente. Mi voltai infastidita e quasi non svenni: a poca distanza da me c'era niente che meno che Mason. Parlava, per modo di dire, con una ragazza che non avevo mai visto prima. Ad un certo punto notai che la ragazza, per niente contenta Gli disse qualcosa che lo fece voltare. Per un secondo i miei occhi e i suoi si incrociarono. In fretta girai la faccia e mi diressi da mio fratello.
"Cami!" Mi chiamò agitando una mano vedendomi. "Ti ho lasciato un posto" mi disse tirando la sedia fuori dal tavolo per permettermi di sedermi.
"Grazie" gli sorrisi. Poi mi cadde lo sguardo sul suo piatto. A me avevano dato una misera pasta condita con dell'olio e lui si stava mangiando una cotoletta di pollo dall'aspetto invitante con delle patatine fritte.
"Da dove hai preso tutte quelle bontà?" Gli chiesi guardandolo affamata. Spostai lo sguardo sul piatto di Rider e notai che anche lui aveva lo stesso.
"Cavolo, quella roba non la mangerebbe neanche il mio cane. E di solito non fa differenze" commentò Rider.
"Vado a prendertene una, torno subito" mi avvisò alzandosi da tavola.
"Sta mattina da chi hai preso i vestiti? Da tuo padre?" Mi chiese Rider squadrandomi da capo a piedi.
"Fatti gli affari tuoi, io sto comoda così" Sbottai puntigliosa.
"Se non fosse per la tua faccia ti scambierei senza dubbio per un ragazzo. Con quella felpa che hai non si capisce neanche se hai le tette o meno" continuò. Sapevo che stava cercando in ogni modo di farmi arrabbiare.
"L'importante che lo sappia io se le ho o meno" risposi.
"Potrei dare un'occhiata? Per essere testimone, sai..."
"No!" Esclamai sconcertata. Lui rise.
Una ragazza si avvicinò a noi e si sedette sulle sue gambe, Rider rimase con la patatina a mezz'aria guardandola storta.
"Ciao tesoro" Gli sorrise.
"Ehm... chi sei?" Domandò lui. Mi portai una mano davanti alla bocca e trattenni una risata. L'espressione della ragazza sarebbe stata da immortalare.
"Cos'hai da ridere bamboccia?" Mi disse rabbiosa. In quel momento Travis fece il suo ritorno con un piatto in mano ancora fumante. Mi venne l'acquolina in bocca.
"Problemi?" Chiese guardandoci.
"No" rispose lei sistemandosi i capelli. Mio fratello non la guardò nemmeno, riportò la sua attenzione sul suo piatto pensieroso.
"Allora?" Richiese Rider. "Ci conosciamo?"
"Non ti ricordi? Ti ho lasciato il mio numero, avevi detto che mi avresti richiamata..."
"Davvero? Non mi ricordo neanche questo, forse ero ubriaco" disse.
"Lo spero, perché sarebbe proprio da disperati scendere a certi livelli" mi scappò. Lei mi lanciò un'altra occhiataccia. Rider non si scompose di una virgola e ciò mi infastidì visto che volevo in ogni modo farlo arrabbiare come lui faceva ogni volta con me.
"Va bene, ehm..."
"Eris"
"Si, Eris. Ci vediamo in giro" disse sbrigativo. Lei si aggiustò la camicetta appositamente sbottonata, girò i tacchi e se ne andò sventolando i suoi capelli.
"Critichi tanto il mio modo di vestire definendolo da 'maschi' e poi vai a letto con una che se noti bene ha la barba" gli dissi sporgendomi in avanti per potermi godere la sua espressione sconfitta. Strinse gli occhi e aprì la bocca pronto per ribattere.
"Ragazzi!" Ci interruppe Travis. "Cami, oggi rientreremo tardi a casa. Credi di potercela fare da sola?" Mi chiese cambiando discorso. Tornai seria e presi a giocherellare con la forchetta.
"Non voglio stare da sola con loro, Trav" ammisi.
"Puoi venire con noi agli allenamenti però non ti assicuro che ti divertirai"
"Si, lo preferisco" accettai.
"Se non faremo punti sapremo il perché"
"Forse per le tue abilità scadenti!"
"Avrò modo di dimostrarti il contrario"
"Ragazzi!" sospirò esasperato Travis, interrompendo il mosto battibecco.
Dopo il pranzo li seguii nella palestra dove si sarebbe svolto il loro allenamento. Il loro coach mi fece rimanere a patto che restassi in un angolo in silenzio perciò andai a sedermi negli spalti. Erano presenti altre due ragazze che fissavano impazienti la porta degli spogliatoi.
Tirai fuori dalla mia borsa un libro e mi misi a leggere per non annoiarmi.
Stavo per voltare l'undicesima pagina quando le sentii sghignazzare, alzai lo sguardo dal mio libro e notai che i ragazzi erano usciti dallo spogliatoio e si stavano spargendo per la palestra. Le due presero in mano i loro cellulari e iniziarono a scattare foto. Alzai gli occhi al cielo quando notai Rider farle l'occhiolino, riuscii a vederlo ridacchiare sotto ai baffi.
Riportai l'attenzione al mio libro e mi rimisi a leggere.
Ogni tanto li guardai da sotto le ciglia: erano molto forti in campo. Guardai Trav marcare Rider e mi chiesi come facevano a lasciare da parte i loro sentimenti. Non pensavo sarei mai riuscita a essere così rude nei confronti di Cindy, nonostante si trattasse di un gioco.
Non sapevo bene come funzionava quello sport oltretutto, nel giro di pochi secondi qualcuno era riuscito a fare punto. Distratta non me ne accorsi. Vagai con lo sguardo mentre le ragazze dietro di me battevano le mani. Poi vidi Rider, piazzato nell'estremità del campo avversario con la palla fra le mani. Mi guardò soddisfatto per la sua dimostrazione.
Decisi di ignorarlo e non lo guardai per il resto dell'allenamento. Sapevo che avevo aperto la sfida con quella frase prima.
Una volta terminato tutto scesi gli scalini degli spalti due a due e aspettai mio fratello fuori dal loro spogliatoio. Mi appoggiai al muro, aprii il mio zaino per riporre il libro al suo posto. Quando la porta si aprì e si richiuse mi voltai pensando fosse Travis, ma mi sbagliai. Il respiro mi si bloccò all'istante notando Mason a poca distanza da me. Mi guardò qualche istante, scosse la testa e se andò. Almeno, così pensai. Stava per uscire dalla palestra ma si girò di nuovo verso di me.
"Ci siamo già visti da qualche parte?" Mi domandò aggrottando le sopracciglia. Mi guardava, cercando di ricordarsi dove mi avesse già vista. Sentii una piccola delusione nel constatare che si era dimenticato di me.
"emh... frequentavamo la stessa scuola media" risposi nervosa. Si fece pensieroso. Era così bello che rimasi incantata a guardarlo.
"Ricordami il tuo nome..." mi disse.
"Camille" mormorai. Continuò a guardarmi con quell'aria misteriosa che lo rendeva incredibilmente affascinante.
"Per me è okay, sai che non c'è alcun probl- cosa ci fai tu con lei?!" Disse mio fratello praticamente gridando.
"È stato un piacere conoscerti Camille"  mi sorrise. 'Ora muoio', pensai nella mia mente. Lo guardai andare via finché non sparì dalla mia visuale.
"Cosa ti ha detto? Ti ha toccata? Giuro che se si riavvicina a te gli spacco quella faccia orribile che si ritrova" disse con la voce piena di rabbia.
"Cosa? No! Perché avrebbe dovuto farlo? Mi ha solo chiesto come mi chiamo" Gli dissi seguendolo fuori nel cortile.
"Stagli lontana, okay? Sai benissimo che non mi piace." Il suo tono si era abbassato.
"Come potrei non saperlo? Lo ripetevi sempre quando eri più piccolo. Tra l'altro se devo dare retta a te nessun ragazzo, Mason o meno, che si avvicini a me non ti piace." Gli ricordai.
"Ah si? Forse hai ragione. Spero tu non abbia intenzione di trovarti un fidanzato presto allora" fece picchiettando le dita sul volante.
"Tranquillo, Trav. Quale ragazzo vorrebbe mai stare con una ragazza che usa come pigiama dei pantaloncini da basket? Di solito non si dovrebbero usare di quelle vestaglie trasparenti o..."
"Sinceramente preferisco che Cami usi dei pantaloncini da basket piuttosto che quella roba lì. Che poi, perché tu guardi il pigiama di mia sorella?" Gli chiese girandosi verso di lui con le sopracciglia inarcate.
"L'ho vista per caso..." rispose.
"Trovami una ragazza invece che vorrebbe stare con uno dal cervello così ristretto" Ribattei sporgendomi per poterlo vedere.
"Non ci credo che non hai visto la fila che ho dietro"
"Oh, ti riferisci a quelle ragazzette più nude che vestite che di cervello direttamente non ne hanno? Se fossero state intelligenti non avrebbero speso il loro tempo dietro ad un idiota come te" continuai.
"Stai forse dicendo che io non sono un ragazzo brillante?"
"Dimmi l'ultima volta che ti sei messo a fare qualche compito o che hai preso un libro fra le mani senza averlo chiuso dopo dieci minuti"
"Posso farlo se voglio, ma non ne ho bisogno" si vantò.
"Credi di riuscir a leggere questo romanzo? Se saprai dirmi di cosa parla il libro smetterò di mettere in discussione la tua intelligenza" Gli proposi porgendogli il libro che stavo leggendo poco fa. L'avevo già finito tre volte.
"Ci sto" accettò.
"Ne sei sicuro? Sai quali sono le consonanti e quali le vocali, vero?"
"Rimarrai a bocca asciutta, camomilla" mi
Promise.

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Come mi sembra questo primo capitolo? Fatemelo sapere, ci tengo 💕

The boy who stole my heart Where stories live. Discover now