Capitolo 47 Allyson

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«Ho solo chiuso un capitolo della mia vita» una fitta al petto, il fiato si mozza mentre realizzo che forse quel libro non lo riaprirò più.

«Non potrai mai chiudere con lui, Allyson, e per quanto mi faccia male dirtelo è la verità», mi volto corrucciando la fronte, non riesco a capire cosa voglia intendere. Nelle poche volte che le ho parlato di lui, non ha mai fatto allusioni, preso le mie difese o sparato a zero su quanto fosse stronzo Damon. «Vuoi darti del tempo, vuoi darlo anche a lui? Va bene, ma non dirmi che hai chiuso con lui perché non ci credi nemmeno tu», si alza in piedi dal suo letto per raggiungermi, le sue mani fredde di posano sulle spalle.

«È così evidente?», confesso colpevole.

«Non è evidente, Allyson, ma tutto ciò che mi hai raccontato di lui ha dell'irreale. Siete passati da odiarvi ad amarvi, per poi odiarvi e amarvi nello stesso modo, come se i due sentimenti si fossero ormai fusi come oro, creando l'impossibile... voi», resto senza fiato, sapendo bene che ogni cosa che è uscita dalla sua bocca è vera come il sole che in questo momento sorge aprendo un nuovo giorno ai nostri occhi. Sprofondo nel letto, le mura attorno le sento avvicinarsi sempre di più al mio corpo, la voglia di scappare è tanta, l'ansia invade ogni mia cellula dando il via alla confusione più totale che porta il nome di Damon Sanders.

«Non puoi salvare chi non vuole essere salvato», ammetto a denti stretti.

«No, infatti, ma puoi aspettare che lui si salvi da solo. Non lasciarlo andare, Allyson, un giorno te ne pentirai», scuoto la testa ricacciando indietro le lacrime.

«Non hai capito. È lui che mi ha lasciata andare... un'altra volta. Mi sono quasi umiliata, come sempre quando si tratta di lui che riesce a stravolgere ogni cosa. Passa da zero a cento in un secondo, per poi portarti a toccare un fondo dal quale pensi di non poter più venire fuori, eppure la mia anima perfetta cerca la sua metà imperfetta, perché è questo che siamo. Due persone troppo incasinate ma che si incastrano alla perfezione, creando qualcosa che resta sospeso fra inferno e paradiso», non aspetto che possa aggiungere altro, prendo il pullover, della biancheria pulita e i jeans, poi mi chiudo in bagno. Guardo la mia immagine riflessa nello specchio come se aspettassi una qualche risposta che non arriverà mai. «Perché?», sussurro stringendo forte la ceramica del lavabo tra le mani. Deve passare questa angoscia, questo dolore che mi lacera, deve andarsene. Supplico come una preghiera che possa venire ascoltata.

Arriviamo al Campus con qualche minuto di ritardo. Cristal, in macchina, per tutto il tempo, mi ha tenuta distratta raccontandoci della sua relazione con Trevis, un ragazzo che frequenta l'ultimo anno di studi. Hanno pianificato ogni cosa. Lui andrà a lavorare a New York a sole quattro ore di macchina da qui e si vedranno ogni week end, in attesa che lei termini i suoi studi. Mi chiedo come sia basare un rapporto su delle fondamenta stabili, avere fiducia reciproca senza essere circondati da loschi casini che pensi di osservare come spettatrice di fronte alle immagini di un film che non potrebbe essere mai la tua vita.

«Oggi ci sono quelli della Columbia al Campus», commenta Jenna facendomi trasalire dai pensieri. Indica un gruppo di circa trenta studenti che si avviano verso i nostri corridoi.

«Sì, è vero, me l'aveva detto Trevis che stanno portando avanti un progetto con i due college», risponde Cristal mentre i miei occhi sono puntati su chi sembra mi stia aspettando ed è esattamente così, dato che inizia a incamminarsi verso di me.

«Ci vediamo dopo», dico quasi balbettando e aumentando il passo.

«Sei già in ritardo», mi rimprovera Cristal in modo scherzoso. Sorrido e raggiungo Cody. Non ha una bella cera, le spalle ricurve, le mani cacciate in tasca e l'espressione cupa.

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