Capitolo 6 Damon

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Guardo tutta la gente attorno a noi, molti di loro chiamano il mio nome mentre agitano in aria delle banconote.

Non c'è profumo migliore nella vita di quello dei soldi.

«Pensi di essere ancora in forma come due anni fa?», domanda Alec stendendo i nervi del collo.

«La tua faccia dimostra di sì», gli ricordo sogghignando divertito. Avrei potuto fargli molto più male, se solo non fossero arrivati gli sbirri, ma per ora mi accontento.

«Non pensare di avermi in pugno come un tempo, Sanders», mi minaccia.

Lo guardo e con il sorriso sempre impresso sulla bocca mi avvicino a un palmo dal suo volto, prendendomi un attimo per scrutarlo da capo a piedi.

È una cosa che faccio sempre e lo ammetto, mi piace, perché so quanto possa renderti vulnerabile uno sguardo del genere; sembra quasi volerti penetrare fin sottopelle.

«Ti ho già in pugno», sibilo, voltandogli le spalle non appena i nostri nomi vengono chiamati per entrare nella gabbia; lui mi segue a poca distanza.

Tre minuti possono sembrare pochi, ma sono centottanta fottuti secondi nei quali devi essere dannatamente veloce, schivare più colpi possibili e allo scoccare del cento settantanovesimo secondo, se vuoi intascarti i soldi e far sì che il tuo nome sia quello vincente, devi scaraventare a terra il tuo avversario.

«Sei sempre il solito illuso», mi istiga Alec, che sputa di fianco a me sfiorandomi.

Mi volto alla mia destra e sorrido, godendomi tutta la scena, i suoi occhi color ghiaccio che si sgranano increduli di fronte a ciò che sta per succedere.

«Hai una fan, questa sera», lo informo divertito indicandogli la sua ragazza.

«Tre - due - uno... sangue», gridano al microfono.

Uno dei fratelli Summers sferra il primo gancio destro ad Alec, troppo distratto per rendersene conto, mentre io preparo i pugni all'altezza del volto saltellando intorno all'altro gemello. Schivo un gancio al fianco sinistro e riesco ad assestargliene uno in pieno addome, costringendolo a piegarsi in avanti e dandomi un vantaggio; il mio ginocchio raggiunge nuovamente il suo addome senza alcuna pietà.

L'adrenalina scorre al posto del sangue, le urla dei ragazzi che ci accerchiano a poco a poco svaniscono e mi ritrovo avvolto dal totale silenzio dei miei demoni.

Solo io e le mie ombre, che si materializzano di fronte ai miei occhi come fantasmi che mi infestano la mente. Non vedo e non sento più nulla, colpisco per cancellare, per dimenticare, per non udire quelle voci che vengono a farmi visita ogni notte quando il sonno incombe, catapultandomi in un vortice dal quale non riesco a sfuggire.

«Damon! Damon!», sento gridare, mentre due braccia possenti mi sollevano di peso e poco alla volta riacquisto lucidità, trovandomi di fronte uno dei gemelli; è a terra, piegato in due a causa dei troppi colpi subiti.

«Che diamine ti è preso?», urla Alec, lo spintono per scrollarmelo di dosso.

«Che cazzo vuoi?», gli ringhio contro, uscendo dalla gabbia per cercare di scacciare ogni frammento che ha occupato la mia mente per tutto l'incontro.

Raccolgo la maglia da terra e mi mischio alla folla; alcuni mi danno vigorose pacche sulle spalle per avergli fatto guadagnare un bel po' di grana e raggiungo gli altri.

«Fratello, eri una furia», commenta con entusiasmo Cody pestando un pugno leggero sul mio bicipite. Mi infilo la maglia sotto il suo sguardo, che percepisco quasi cucito addosso; è lì, al mio fianco, e se solo mi voltassi sono certo che vedrei quel ghiaccio, visto in precedenza, sciogliersi di fronte a tutto questo schifo.

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