Capitolo 35 Damon

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Dopo lo scontro con quella stronza non avevo alcuna intenzione di sorbirmi le lezioni. Mi sono recato dritto al Masters. Il seminterrato è vuoto ed è l'ideale per svuotare la mente troppo affollata. Sfilo la felpa dalla testa e, senza neppure fasciarmi le mani, incomincio a sferrare pugni contro il sacco che oscilla a ogni colpo. Gli occhi delusi di lei sono impressi nella mente, non ho bisogno di chiudere i miei per vederli, sono qui di fronte che mi fissano. Merda. Impreco allo stesso tempo che colpisco con foga senza sosta.

Dovevo saperlo che le parole della madre si sarebbero insinuate in lei facendola vacillare nel dubbio. Certo, non che i miei comportamenti le abbiano dato la possibilità di potersi fidare. Cazzo. Un altro pugno, il respiro aumenta, i muscoli tirano mentre sento rivoli di sudore scendere lungo la schiena.

«Non doveva sapere di noi», dico a denti stretti, tiro un calcio con tutta la rabbia che sento montare. Fermo con le mani il sacco che dondola come se fosse una foglia al vento. Ci poggio la fronte contro, i pensieri corrono a lei, al suo sguardo, alla sua voce, al suo corpo che premeva contro il mio facendomi inebriare nel suo profumo. È un chiodo fisso, lì presente nella sua assenza che non riesco a colmare. Non mi sono mai trovato in balia di queste stronzate... come li chiamano?

Sentimenti?

Non ti ci mettere anche tu, nella vita me ne basta una di stronza che mi rompa i coglioni. Rifletto contro una coscienza che... che forse ha ragione. Ammetto con una punta di amaro. Credevo che certe emozioni fossero scomparse nel buio di quella notte dove per me il sole non era più sorto. Penso, mentre mi rendo conto che sono nascosti nel nero della mia anima dannata. Lei non potrà mai curare quella parte di me, continuerò a essere marcio, a fare cose per le quali si vergognerà e basta. Dovrei lasciarla andare. Scaccio dalla mente quest'ultimo pensiero che sento bruciare nel petto. Sì, sono un egoista ma lei è come una... una droga. Confesso a me stesso, una dipendenza dalla quale non posso e non voglio privarmi perché sarebbe la mia overdose dalla quale non ci sarebbe risveglio. Sfilo il telefono dalla tasca e le mando un messaggio. L'avviso della gara a Boston e che le lascio le chiavi sotto lo zerbino. L'invio, non ho nemmeno il tempo di rimetterlo in tasca che ricevo subito la sua risposta che mi strappa un sorriso. Raccolgo la felpa dal pavimento logoro e mi trovo di fronte Jack.

«Sei bello carico, a quanto vedo», commenta indicando lo stato del mio corpo che trasuda le ore che sono volate in uno schiocco di dita.

«Quanto basta», mi limito a rispondere con un ghigno d'intesa. Non gli ho mai fatto perdere un incontro. Devo molto all'uomo di fronte a me nel suo completo da mille dollari. Se non fosse per questo "lavoro" non potrei mai permettermi le costose cure di Arleen, è solo per lei che lo faccio. Mia madre lavora già troppe ore a casa di quella ricca famiglia che la tratta come una schiava per poter pagare le bollette. Tutto questo era iniziato per gioco, guardo la gabbia dove io stesso mi sono messo in trappola. Volevo avere una macchina di cui vantarmi, un iPhone appena uscito da sfoggiare con facilità agli amici, non avrei mai immaginato che sarebbe stato il mio biglietto di sola andata per l'inferno, dove un ritorno non mi sarebbe stato concesso. Nessun lavoro potrebbe mai permettermi di guadagnare tanto in così breve tempo e se lavorassi quaranta ore alla settimana, dovrei per forza abbandonare gli studi. Non so se l'arte potrà mai essere la strada di una nuova vita, ma per una volta non voglio rinunciare a darmi una possibilità.

«Il tuo nome continua a farsi strada», dice Jack sistemandosi il costoso Rolex al polso.

«Ah sì?», rispondo con noncuranza.

«Già, ti ricordi quel famoso giro?», gli occhi si sgranano increduli mentre nei suoi posso vedere il simbolo del dollaro rimpiazzare la pupilla. È come essere in un casinò ed entrare a giocare nella sala Vip: nuove regole, una posta in gioco più alta e altre persone dalle quali tenersi alla larga. Non tutti hanno accesso a quel giro, entrarci significa anche non poterne più uscire. «Non mi sembri entusiasta», aggiunge corrucciando la fronte. «Eppure, se non ricordo male hai bisogno di molti soldi», annuisco senza esitazione, sapendo bene che se mi tirassi indietro sarei fuori del tutto.

UN AMORE PROIBITO Cuori SpezzatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora