Capitolo 42 Allyson

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Arriva un momento nella vita che non ti aspetti, ti lasci travolgere pensando di poter restare a galla, di poter essere più forte semplicemente perché nella tua testa continui a ripeterti che sarà così. Il viaggio in treno da Indianapolis a Medford è stato il più lungo della mia vita, dove ogni ora a disposizione era un punto su me stessa da sistemare, al quale dare risposte. Ero venuta in questa cittadina solo per studiare ciò che amo più di ogni altra cosa... l'arte. I colori possono scaldarti il cuore o raggelartelo, dipende solo da te, da quale tonalità scegli per dipingere le tue giornate. Le mie, ultimamente, erano diventate un turbinio di colori indecifrabili, i colori caldi si mescolavano a quelli freddi e ciò che ne veniva fuori erano sorrisi e lacrime che si davano battaglia, non sapendo che però avevo già perso. Già, ho perso nel momento in cui gli ho permesso di varcare la soglia del mio cuore, al quale non avevo dato accesso a nessuno. Il suo respiro contro la mia pelle mi riscuoteva da un torpore da cui credevo non sarei mai riuscita a liberarmi, ma le sue parole mi trafiggevano come lame dove la mia anima già segnata sanguinava silenziosa. Dicevo che quelle ferite si sarebbero rimarginate, che le sue scuse avrebbero cambiato ogni cosa, ma nel mentre ero io a cambiare. Non mi sono accorta dei passi indietro che ho fatto finché non mi sono trovata fuori dal cerchio perfetto nel quale io mi ero imposta di restare insieme a lui. Solo quando ho valicato quella linea, solo quando per l'ennesima volta il suo veleno ha infettato il mio sangue, ho aperto gli occhi e la nebbia si è diradata così in fretta che con il nodo in gola e le lacrime che mi rifiutavo di far solcare il mio volto, ho gridato basta a me stessa. Arrivata alla KAT, ho aperto la porta della mia nuova camera, ho respirato a pieni polmoni come se dovessi disintossicarmi dall'aria tossica che mi aveva circondato fino a qualche ora prima. Ho riordinato con cura ogni mio libro, ho appeso e piegato ogni indumento consapevole che mi stavo dando una seconda possibilità... quella di pensare unicamente a me stessa. Sono egoista? No, non lo sono. Ho paura? Sì, perché non riesco più a stare a galla e chi sta risucchiando ogni mia energia si ripresenterà nuovamente di fronte a me con una nuova scusa, con un nuovo dramma che avvolge la sua vita... e la mia di vita che importanza ha nella sua da uno a dieci? A questa domanda non ho trovato risposta, sono stata sempre un problema da evitare sin dall'inizio, una scommessa da giocare, un segreto da nascondere. Sono stata "tutto e niente". Ma sono più le volte che mi sono sentita niente, lasciata in un angolo ad ascoltare i suoi silenzi che il tutto che avrebbe potuto colmare quel vuoto che sento rioccupare il suo posto nel mio corpo.

Una festa non era di certo ciò che avevo in programma, ma quando fai parte di una sorellanza devi esserci, punto, non sono ammessi passi falsi e nemmeno passi indietro. Jenna, la mia nuova compagna di stanza, una ragazza dalla corporatura minuta, riccioli rossi a incominciare un viso dalla pelle olivastra e due occhi del color dell'oceano, si è dimostrata fin da subito gentile nei miei confronti. Mi ha dato la divisa da indossare per la serata, mi ha raccontato della sua vita, dei suoi quattro fratelli e credo di essermi persa nel discorso quando ha incominciato a elencarmi una lista dettagliata della sua vita. La testa ha incominciato a non trovare più la "mia di lista", quella che ognuno di noi fa perché i sogni possano diventare realtà. La musica incomincia a rimbombare nella casa, pompando a pieno ritmo, scendiamo al piano inferiore e cerco di confondermi fra la folla; mi concedo un bicchiere di vino bianco, le bollicine solleticano la gola mentre lo sento scivolare e trascinarsi insieme frammenti e ricordi che in questo momento riescono a mozzarmi il fiato. Ne prendo un altro e ancora uno, promettendomi che sarà l'ultimo. La mia gemella interiore non mi rimprovera, forse l'avrò già mandata in coma etilico e io inizio a vedere la sala girarmi attorno. Forte. Jenna mi tira per un braccio e mi trascina su per le scale, stento a starle appresso e a non stramazzare a terra per la perdita di equilibrio.

«Dobbiamo festeggiare», esclama fiondandosi nella nostra stanza. Credevo che lo stessimo già facendo, per lo meno io. «Forza, tutti devono conoscere il nuovo volto delle KAT», prende il suo smartphone, inizia a scattare foto e all'inizio mi copro il volto per non essere immortalata. «Andiamo non fare la guastafeste», mi rimprovera. Sorrido appena e lei scatta destinando già ogni foto ai diversi social network. Ride chiedendomi di mettermi le mani sui fianchi come se stessi sul punto di minacciare qualcuno.

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