Capitolo 43 Allyson

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Picchietto l'indice contro il vetro.

«Sei qui da venti minuti e ancora non mi hai detto cosa è successo», guardo il pesciolino nero gironzolare indisturbato attorno al piccolo branco.

«Ha mai perso?», mormoro dandogli volutamente le spalle, questa volta non mi sono sdraiata come al solito. Sono entrata, ho accennato un sorriso forzato e mi sono fiondata verso i pesci. Ricordo ancora le sue parole, "Andiamo a cercare cosa hai perso, cosa ti sei lasciata per strada". Quasi rido verso una forza che mi è stata rubata, una speranza che mi ha voltato le spalle, un coraggio che si è dimenticato di me... forse mi è rimasta solo la tenacia, giusto per tenere insieme qualche pezzo di me che ancora mi è rimasto. Magari è solo una mia illusione però.

«Cosa vuoi dire, Allyson?», chiede Ella, sento i suoi passi avvicinarsi dietro di me.

«Hai mai avuto un caso... perso, disperato e irrecuperabile?», non mi giro verso di lei.

«Sì, ho avuto il mio caso perso...», solo in quel momento decido di voltarmi, è poggiata alla scrivania e mi osserva con attenzione. So che sta studiando ogni mia mossa, aspetta il momento in cui crolli, urli e mi disperi per ciò che sento divorarmi dentro, ma sono già crollata, è questo il punto.

«Cos'ha fatto?», il suo sguardo in questo momento assume un'espressione materna, mi irrigidisco al pensiero di mia madre, di come le cose siano precipitate e del fatto che la causa di tutto questo è solo sua.

«Non mi sono arresa, Allyson, mai, nemmeno una volta. Ho lottato per quel caso perso», mi mordo il labbro e annuisco. «Ora vuoi dirmi perché hai voluto anticipare la seduta?», avrei molto da dire ma decido di non farlo, di non farmi aiutare. Voglio essere quel caso disperato, irrecuperabile che resta nell'ombra e non chiede aiuto.

«Non riesco a dormire, è un po' che mi succede», dico con noncuranza.

«Come mai?», chiede mettendosi a sedere dietro la scrivania mentre estrae un semplice blocco dove incomincia a scrivere.

«Credo di essere semplicemente sotto stress, si avvicina il primo quadrimestre e ho molto da studiare», mento. Non faccio altro che stare con la testa fra i libri, lo studio è l'ultimo dei miei problemi.

«Ti prescrivo delle pillole, ne prendi una prima di andare a letto. Ogni sera per una settimana e poi al prossimo controllo mi fai sapere», dice con uno strano sguardo impresso sul volto. Annuisco e continuo a fissare l'acquario. «Tieni», mi porge il foglio, lo prendo e mi alzo. «Non hai nient'altro da dirmi, Allyson?», scuoto la testa.

«No. Sto meglio, sto seguendo la dieta del nutrizionista e....», tamburella la penna contro la scrivania laccata.

«Vuoi davvero mentire a una psicologa? Credi che non riesca a riconoscere i movimenti del tuo corpo che parlano al tuo posto? Il tuo sguardo perso, il modo in cui ti torturi le mani, come ti mordi il labbro se ti faccio una domanda?», raddrizzo la schiena.

«Sto bene», ribatto a denti stretti.

«Come vuoi, il mio numero ce l'hai. Sai bene come funziona. Non posso aiutarti se non me lo permetti», lascio sul tavolo i soldi della seduta, cerca come al solito di rifiutare, perché Damon l'aveva avvisata di non lasciarmi mai pagare. Ma non sa che non esiste più nessun Damon nella mia vita e vorrei tanto che non fosse mai esistito. Esco lungo il corridoio e quasi mi trascino, credo di essere entrata in una sorta di trance. Dopo ciò che i miei occhi hanno visto, è come se qualcuno avesse spento un interruttore e quando l'avesse riacceso ero avvolta dal nulla. Sì, perché non riesco a sentire niente. Non ho versato una lacrima, sono tornata alla KAT, mi sono fatta una doccia e mi sono messa a dormire sotto lo sguardo incredulo di Jenna. Non ho proferito parola, la testa parlava da sola. La sua voce ripeteva le parole che mi avevano trafitto, fino a raggiungere come fossero una lama il cuore, aveva girato più volte la lama in quella ferita così fresca, nuova... l'ultima parte di me che Damon si era preso.

UN AMORE PROIBITO Cuori SpezzatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora