Capitolo 29 Damon

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«Tu non stai scherzando, Dam, vero? Vuoi che io sia un segreto?». Cosa sto combinando? Domando a me stesso non riuscendo più a distogliere lo sguardo da lei. Accidenti.

«Ascolta, Al...», lei indietreggia di qualche passo finendo quasi per inciampare su una delle sedie capovolte sul pavimento.

«Non voglio ascoltare più nulla», dice con la voce rotta, anche se nessuna lacrima scivola lungo il suo volto incredulo. L'azzurro dei suoi occhi si incupisce sempre di più, allo stesso tempo che tiene la testa bassa rivolta a terra. Le braccia strette sotto il petto.

«Allyson...», sussurro avanzando verso di lei. L'aula per fortuna non prevede altre lezioni, dal momento che siamo qui ormai da venti minuti e nessuno è venuto a cacciarci.

«Sono stata solo una stupida», esclama gesticolando animatamente con l'indecisione di tagliare l'aria che ci circonda con i suoi stessi movimenti e quella di perdersi nella chioma di onde imperfette che le incorniciano il viso. «È ovvio che nessuno deve sapere di me...», indica sé stessa ed è come se avesse persino timore di toccarsi, le mani le tremano. «L'ingenua Allyson con Damon Sanders. È persino folle dirlo a voce alta», scuoto la testa di fronte alle sue stronzate. Come può avere così poca stima di sé stessa? Se mi guardassi attorno in questo Campus, non troverei nessuna che le somigli. Il suo sorriso radioso, la sua costante voglia di sapere, quello sguardo che sembra capirti pur non conoscendoti abbastanza.

«Non hai capito, Al, stai».

Merda.

Perché non sono bravo con le parole? È una lotta continua fra quello che sento e non riesco ancora a capire, fra la parte di me molto poco razionale e lei... cazzo, lei è lo scompiglio più totale di tutto.

«Sto cosa?», mi incalza. «Se tutti sapessero di me ti rovinerei la media, vero? Non potresti più, insomma, non potresti andare con...», arrossisce dalla vergogna.

«Non potrei più scoparmi le altre?», sobbalza e inchioda gli occhi ai miei. «È questo che pensi?», domando in un soffio.

Perché non dovrebbe?

Bentornata, ci mancavi solo tu in questo momento a rendermi tutto più semplice. Dico mentalmente a quella stronzetta che non perde di certo occasione a ricordarmi quanto io sia stato tremendo con lei.

Solo con lei? Dev'essere periodo di Saldi.

Ora mi hai veramente stancato.

«Cosa dovrei pensare? Insomma... non so nemmeno cosa siamo...», i suoi piedi camminano verso la grande finestra che si affaccia sul giardino del Campus. Osservo il suo volto smarrito cercare qualcosa fra i grandi alberi che si stagliano verso un cielo dove le prime nuvole incominciano a coprirne parte di un celeste quasi perfetto.

«Non servono nomi per definirsi», provo a dire e butto fuori l'aria per alleggerirmi. Non mi sono mai trovato a dover affrontare argomenti del genere con nessuna. Erano tutte di passaggio, compresa Ethel; stavamo insieme, è vero, ma forse era solo lei a vederla in quel modo.

Questo non mi limitava di certo ad andare con le altre, mentre ora, soprattutto dopo quello stupido bacio, dopo averla vista in lacrime per colpa di Alec, non sono più riuscito ad andare con nessuna. Persino quel giorno al Masters, dopo vari bicchieri di vodka e una Ethel svestita, i miei occhi vedevano solo i suoi non appena li socchiudevo. Ma la cosa peggiore era la sensazione che sentivo farla da padrona dentro di me. Era quella a confondermi.

«Due persone o stanno insieme oppure no è molto semplice, Dam», dice facendomi trasalire dai pensieri mentre osservo le sue spalle ricurve che portano il peso di risposte che non posso darle.

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