Capitolo 14 Damon

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Stringo talmente forte i pugni da non sentire più il sangue circolare nelle mani. Sento quegli occhi ed è bizzarro, ma per qualche strano scherzo del destino li sento quasi cuciti addosso ogni qualvolta li posa su di me. Sollevo lo sguardo dal prato dove ho lasciato la testa vagare mentre ascoltavo quelle bugie uscire dalla sua bocca. La guardo, le braccia incrociate al petto quasi a volersi proteggere, le lacrime che continuano a rigare il suo volto. Sono più le volte in cui l'ho vista piangere che sorridere in soli quattro giorni, provo a ricordare.

«Che cosa fai qui?», chiede mentre tira su col naso come se fosse una bambina.

«Perché hai mentito?», ribatto avanzando verso di lei.

«Da quanto stavi ascoltando?», chiede sgranando gli occhi, lasciando la pupilla a nascondere l'azzurro dei suoi occhi che si stringono in due fessure.

«Il tanto che basta per aver sentito un mucchio di stronzate», puntualizzo fino a ritrovarmi a un millimetro da lei.

«Vuoi ridere, Damon? Vuoi prenderti gioco anche di questo?», sbraita. Solleva le braccia al cielo indicando il nulla che ci circonda, sì, perché non vedo più nulla attorno se non lei, rapita dalla sua stessa collera. «Tanto è questo che sai fare, vero?», urla esasperata contro il mio volto. Vedo le narici dilatarsi sempre di più, annaspando fra le parole che esplodono sulla sua bocca.

«Non sai niente di me», rispondo con sufficienza.

«Questo è poco ma sicuro e non ci tengo a sapere nient'altro». Un sorriso sbieco appare sul mio volto mentre scrollo le spalle mostrandomi indifferente.

«Ne sei davvero sicura? Eppure, pensavo che la mia lingua nella tua bocca ti piacesse», le ricordo. Solleva il braccio in aria pronta a colpirmi, ma l'afferro per il polso tirandola a me. «Non ci provare», la minaccio e sento il suo respiro contro il mio accelerare.

«Lasciami andare», sussurra con un fil di voce appena udibile.

«Altrimenti?», la sfido ed ecco che, come una partita mai chiusa, riprendo a giocare contro di lei, la sua innocenza, il suo essere fragile; è tutto qui davanti a me e sembra quasi che non riesca a farne a meno.

«Devo andare da Alec», dichiara e d'istinto stringo ancora più forte la presa.

«Davvero hai intenzione di tornare da lui dopo quello che ti ha fatto?», serro la mascella facendola schioccare dal nervoso.

«Non sono affari che ti riguardano», con la mano libera mi spintona prendendomi alla sprovvista, indietreggio. Chino lo sguardo sul petto che ha appena colpito come se avesse marchiato qualcosa dentro di me.

«Già», sollevo le mani in segno di resa, «non sono affari miei», continuo a indietreggiare e l'addito. «Ma non tornare in lacrime quando lo rifarà», l'avverto, mordendo l'interno della guancia fino a sentire il sapore del sangue disperdersi in bocca.

«Non ce ne sarà bisogno», puntualizza piccata voltandomi le spalle.

Resto ancora lì a guardarla andare via. Cazzi suoi, io l'ho avvertita, dico a me stesso come per alleggerire questa sensazione che sembra soffocarmi. Merda. Sbatto le mani sulle gambe mentre vado dritto alla macchina. Ancora non ci credo. Continuo a parlare da solo.

«Dam. Dove vai?», la voce di Joselyn nel cortile mi obbliga a voltarmi. Passo una mano dietro alla nuca e mi guardo un attimo attorno.

«Ho da fare», dico semplicemente.

«Non vai a lezione?», rido.

«Chi sei, mia madre? Senti», faccio un passo verso di lei, «non ti devo spiegazioni, intesi?», annuisce come una piccola cucciola che obbedisce al padrone. Le accarezzo la guancia con il dorso della mano e sporgo il volto verso l'orecchio. «Non metterti quelle stronzate di coppia nella testa se vuoi che», indico me e successivamente lei, «continui. Altrimenti la chiudiamo qui». Impallidisce.

UN AMORE PROIBITO Cuori SpezzatiWhere stories live. Discover now