Capitolo 36 Damon

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La seguo nella penombra della mia stanza, le butto un occhio mentre cammina titubante avvolta dall'asciugamano. Vado al borsone che ho lasciato nell'angolo della camera, non l'ho ancora disfatto come se mi fossi illuso che sarebbe stata una sistemazione temporanea; accantono un attimo quell'idea. Frugo e tiro fuori un pantalone della tuta e una maglia.

«Tieni, metti questi», le dico senza guardarla.

«Grazie», sibila appena. Sto per esplodere me lo sento. La sua voce così carica di dolore è un coltello a doppia lama che non smette di girare nella ferita aperta. Porca puttana, impreco mentalmente.

«Ti preparo... un caffè, okay?», non proferisce parola e lo prendo per un sì. Raggiungo la cucina passandomi una mano fra i capelli, allo stesso tempo che inspiro ed espiro pesantemente. Scuoto il capo all'idea di quello che le sarebbe potuto succedere se non fossi arrivato. Apro i pensili ancora vuoti, non ho nemmeno fatto la spesa... Quale caffè voglio farle? Domando quasi ironico. Sbatto le ante del mobile e nel chiuderle, con la coda dell'occhio, la vedo al mio fianco. I pantaloni le stanno quasi appesi e la maglia la copre fino a metà coscia. Eppure, il fiato si mozza lo stesso nei polmoni. Mi mordo il labbro in cerca di qualcosa da dire.

«Va bene... va bene anche un bicchier d'acqua», dice con un fil di voce per rompere il silenzio.

«Sì, l'acqua dovrebbe esserci, se non me l'hanno staccata», rispondo ironico, abbozzando un sorriso mentre apro il rubinetto e le riempio il bicchiere. Le mani si sfiorano appena quando lo prende, ci scambiamo uno sguardo... nuovo. Cosa sta succedendo? Chiedo a me stesso confuso. «Dovresti dormire, ora», annuisce, ma rimane in silenzio a fissarmi e i miei occhi non possono fare a meno di guardare ogni centimetro della sua persona: i capelli più ribelli del solito, le occhiaie che incorniciano l'azzurro di due occhi persi chissà dove, il modo in cui continua a piccoli gesti a torturarsi il labbro inferiore. Faccio un passo verso di lei, prendo le mani che, forse, senza rendersene conto stringono il tessuto del pantalone che indossa. «Andiamo a dormire, vengo anch'io». Torniamo in camera, sfilo la maglia dalla testa mentre lei resta di spalle, seduta sul letto. Cerco un pantalone comodo da indossare, anche se solitamente non ne uso e mentre mi chino, mi blocco attirato dal suono soffocato dei suoi singhiozzi. Mi volto lentamente, la schiena ricurva si muove appena dal basso verso l'alto. Serro le mani in due pugni quasi a farmi male, per come le nocche siano sbiancate all'istante. Salgo a carponi sul letto, lentamente l'avvolgo con le braccia facendole poggiare la testa al petto. «Va tutto bene, Al», provo a dire, non trovo parole migliori. Cazzo, possibile che non riesco a dire qualcosa di meno patetico?

«No, non va bene per niente...», singhiozza, «sta cadendo tutto in frantumi», aggiunge e la stringo ancora più forte, come se volessi tenerla insieme, come se volessi che nessun pezzo di lei mi possa sfuggire.

«Sono qui», scuote la testa velocemente, le sue mani mi artigliano il braccio.

«Te ne andrai anche tu... se ne vanno tutti», confessa in un flebile sospiro che mi attraversa lasciandomi una strana sensazione.

«Non vado da nessuna parte, Al», bacio i suoi capelli ed è come se in quel momento avessi trovato il mio posto... accanto a lei.

«Dici sul serio, Dam?», si alza di scatto e resto con l'amaro in bocca mentre si allontana dal mio abbraccio. Si avvicina alla finestra che si affaccia su quella casa, dove ora non sono rinchiusi solo i miei brutti ricordi ma anche i suoi. «Lascerai le lotte? Sarai sempre sincero con me? Oppure continueremo a nasconderci dal mondo intero?», ogni domanda arriva come un pugno che non posso, che non riesco a evitare, a parare. Deglutisco a fatica sedendomi sul letto. Gli occhi non guardano più lei, ma fissano il pavimento, come se dallo stesso potessi ricevere una qualche risposta.

UN AMORE PROIBITO Cuori SpezzatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora