Capitolo 22 Damon

81.8K 3.1K 116
                                    

È stata una settimana di merda, nella quale sono state più le giornate in cui ero fatto e sono rimasto a letto a dormire, che quelle in cui trovavo la forza di alzarmi. Tutto per colpa di un paio di occhi azzurri che mi bucavano il sonno. Il suo sguardo è il solo che riesce a mettermi di fronte alla realtà.

Nessuna mi aveva mai guardato in quel modo e non mi fotteva un cazzo di quello che potevano pensare gli altri, ma le sue lacrime, le sue urla, quei piccoli pugni delusi che mi colpivano, mi hanno fatto più male di tutti quelli che ho incassato in passato. Quando l'ho vista correre in quel modo nel corridoio del Campus, non sono riuscito a stare fermo, a voltarmi e andarmene in classe, come avevo promesso a me stesso di fare, di ignorarla. Non riesco ancora a credere a quello che ho sentito dietro la porta del bagno.

Non stava male, non può prendermi per il culo, ripenso mentre raggiungo l'ufficio del signor Liry che trovo già sulla porta pronto a uscire per andare a lezione.

«Sanders, non dovrebbe già essere in classe?», mi ricorda.

«Volevo solo darle questo», gli porgo il modulo prestampato di cui tutti disponiamo, con all'interno poche righe che spiegano il mio ritiro dal corso. Legge con attenzione e mi scocca un'occhiata di tanto in tanto, scuotendo il capo con disapprovazione.

«Si rende conto di cosa sta facendo? Sta buttando il suo futuro».

Annuisco semplicemente, sapendo quanto sono vere le sue parole e mi allontano.

Non ho scelta.

Dirigendomi verso il dormitorio, intravedo Allyson entrare in aula, avvia una ciocca di capelli dietro l'orecchio e scompare dal mio campo visivo, oltre la porta. È stato un secondo che mi ha confermato di aver preso la decisione giusta. Una volta in camera ci impiego poco a radunare le mie cose, le infilo alla rinfusa nel borsone poggiato sul letto e do un'ultima occhiata per vedere se ho dimenticato qualcosa; sollevo il materasso e sfilo il raccoglitore di pelle dal quale prendo il foglio.

Erano i primi giorni che l'avevo vista, la matita si muoveva da sola contro la carta ruvida dando sfogo ai miei pensieri. Un tempo mi bastava solo questo: un foglio di carta bianca e una matita per dare voce alla parte interiore di me che implorava di uscire, adesso, però, non riesco più a rimetterla al suo posto.

Guardo il sorriso che sembra quasi essere rimasto intrappolato nel disegno e una strana sensazione mi percorre il corpo, la percepisco mettere radici in profondità, su un suolo che era impenetrabile.

Questo prima di lei.

Mi sento in colpa, è questo che sento realmente?

Dietro al suo gesto non possono che esserci le cazzate che ho combinato in questi giorni.

Sono solo condannato a rovinare tutto ciò che sfioro.

Lascio il ritratto sulla scrivania, metto il borsone in spalla ed esco. I corridoi sono vuoti, il Campus è così silenzioso mentre tutti sono intenti a fare lezione. I piedi calpestano a fatica il prato per raggiungere i parcheggi circostanti.

Non volevo venirci in questo luogo che volevo solo dimenticare e adesso... adesso è come se non volessi più andarmene.

Guardo la moto di Alec posteggiata poco distante, apro la portiera dell'auto e lancio il borsone sul sedile posteriore; getto un'altra occhiata verso la moto e senza rendermene conto, mi ritrovo già di fronte a essa.

Ho fatto promesse che non ho saputo mantenere.

Poggio il piede sulla carrozzeria e la spingo con tutta la rabbia che ho dentro, fino a udire il suono del metallo che si schianta sull'asfalto.

UN AMORE PROIBITO Cuori SpezzatiDove le storie prendono vita. Scoprilo ora