Capitolo 46 Damon

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Sentire il suo corpo caldo contro il mio mi destabilizza. Guardo i suoi occhi azzurri che mi implorano di imprigionarli nei miei. Il suo respiro solletica il mio volto e faccio appello a tutto il mio autocontrollo, perché sento che lo sto perdendo. Dopo averla vista in quel fottuto letto di ospedale, sono rientrato a casa con la sola intenzione di chiuderla fuori dalla mia vita. Volevo spegnere il mondo, ma non ci sono riuscito, nessuna droga riusciva ad alleggerire il peso che sentivo soffocarmi.

«Dimmi che non provi niente per me e non ti cercherò mai più, Damon», speravo che questa domanda non arrivasse, illuso che non avrebbe veramente avuto il coraggio di presentarsi qui. Poggio la fronte contro la sua, la sento sussultare, chiudo gli occhi mentre la testa grida e non posso non ascoltare le voci, perché sono le sue che mi accusano per tutto ciò che le ho fatto, che mi sono preso un pezzo della sua vita. «D... Dam...», sospira, la mano sfiora la mia guancia, il suo tocco brucia e l'afferro stringendo forte il polso. Spalanco gli occhi incontrando i suoi sorpresi.

«Non ti amo, non ti ho mai amata e mai ti amerò!», inarco un sopracciglio abbozzando un sorrisetto sbieco. Le sue mani spingono contro il mio petto, indietreggio di qualche passo lasciandola correre verso la porta, fino a sentire il portone d'ingresso sbattere prepotentemente. «Cristo», colpisco il muro di fronte a me. Non mi importa se mi spacco qualcosa, sono già a pezzi. Confesso a me stesso non sentendo alcun dolore. Non può esistere dolore più grande quando ne hai già uno che ti inghiottisce giorno dopo giorno. Cerco il telefono e la chiamo. Attendo qualche squillo prima che risponda. «È stata qui, avevi ragione», le dico. «Le ho dato un motivo per odiarmi per sempre, ora è libera», aggiungo chiudendo di seguito la chiamata. Non voglio sentire altre stronzate uscire dalla sua bocca; questo pomeriggio, quando si è presentata alla mia porta, non avrei dovuto farla entrare, ma sapevo che non era qui per me ma per Allyson. È stato il solo motivo per cui le ho concesso due minuti per dirmi che cazzo voleva.

«Sei tu il problema, lei l'ha fatto per te, perché voleva dimenticarti. Deve voltare pagina, Damon, e devi essere tu a spingerla ad andare avanti, deve capire che tu non sei giusto per lei ed è così», le parole di Ella sono ancora fresche come nuove ferite. Già, io non sono giusto, non capisco cosa ci sia che non vada in me. Qualsiasi cosa tocco si rompe, si infetta come se fossi un batterio del cazzo che non puoi curare, ma nessuno sa che lei è la stessa cosa per me. Non posso essere curato, perché l'unica persona che potrebbe farlo l'ho lasciata libera di farsi una vita che non sia questa. Mi guardo attorno nel mio piccolo mondo sotto sopra. Dove non ci sono limiti, i confini sono barriere abbattute, le regole si dissolvono. Cosa posso darle? Altro dolore. Ammetto digrignando i denti. È stato tutto ciò che ho saputo fare finora.

«Hai una pessima cera», mi volto vedendo Joselyn sulla porta d'ingresso, che non avevo chiuso dopo che lei se ne era andata; forse la parte più malata di me credeva che sarebbe tornata indietro. Ma quante volte puoi saltare nel vuoto, precipitare nel buio che ti avvolge, con il terrore che ti mozza il fiato per poi volerlo rifare? Solo una, una volta sola puoi fare quel salto e noi l'abbiamo fatto insieme il giorno in cui le nostre strade si sono divise, sputandoci addosso parole di troppo. «Perché lei era qui?», chiede chiudendosi la porta alle spalle. «L'ho vista correre per strada», aggiunge lasciando scivolare il giubbotto di pelle a terra.

«E tu perché sei qui?», sollevo il mento mentre continuo a guardarla.

«Lo sai, hai bisogno di me...», prende l'orlo della maglia sollevandola verso l'alto fino a gettarla in una parte a caso della stanza, «...per dimenticarla», aggiunge ammiccando un sorriso. La raggiungo mordendomi il labbro, il sapore metallico si disperde nella bocca. Con le mani sui suoi fianchi nudi la sollevo da terra, le gambe in un gesto automatico si avvinghiano alla mia vita, stringendomi contro di lei che spingo verso la parete.

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