Capitolo 17 Allyson

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«Sai, Damon, qual è la differenza fra me e te?», e senza aspettare una risposta che non arriverà, aggiungo: «Sei tu che fai la vittima, prendendotela con chiunque abbia la sfortuna di imbattersi sulla tua strada», sbatto la portiera e vedo il cofano aprirsi. Afferro il borsone e mi incammino, con la speranza che la pioggia possa lavare via la sua voce e i suoi occhi, insieme al sapore di menta e liquirizia che riesco ancora a percepire quasi come se fosse il mio.

La macchina sgomma sulla fanghiglia, chiudo gli occhi quando sfreccia accanto a me e sento l'aria smuoversi al suo passaggio. La vedo sbandare sull'asfalto mentre lui mi scocca un'occhiata, che cerco di ricambiare con la stessa intensità di rammarico prima che scompaia nel buio della notte.

Cammino fino al B&B da Rose, sulla George Street, una traversa della Main. Il corpo è intorpidito dal freddo quando entro nella piccola Hall, dove il campanello situato sulla porta suona avvisando della mia presenza.

«Santo Cielo», esclama la signora comparendo di fronte a me. «Sei zuppa, vieni», dice indicandomi una porta che conduce a un salone modesto con arredamenti classici. «Siedi qui», mi indica una poltrona di fronte al fuoco.

«Grazie», le dico mostrando a fatica un sorriso.

«Preparo la registrazione se mi dai un documento», lo prendo dalla tasca della borsa e glielo porgo. Guardo le fiamme avvolgere il ceppo di legna, impossessandosi della corteccia fino ad arrivare al cuore del tronco e ridurlo in cenere. È questo che ho sentito quando la sua bocca ha toccato la mia, non sono riuscita a fermarlo. La sua lingua era quasi un richiamo che cercava la mia, avida di possedermi. Non ho mai fatto certi pensieri ed è questo che mi spaventa. Quello che mi è passato nella testa mentre gli permettevo di farlo.

«Tieni», dice la gentile signora porgendomi le chiavi.

«La colazione la serviamo alle sette, signorina Evans», annuisco e percorro una rampa di scale; guardo le poche porte nel corridoio fino a trovare la 2B, l'apro e vado subito in bagno, dove mi privo degli indumenti fradici e mi affretto a buttarmi sotto il getto caldo della doccia. Devo trovare al più presto una sistemazione, dico a me stessa rendendomi conto che non posso più tornare in quella casa. Ora capisco le parole del signor Parker e di quel figlio che non gli avrebbe mai concesso il perdono. Cosa hai fatto mamma? Non ti bastava aver rovinato la nostra famiglia? Urlo dentro di me con la rabbia che avvampa sul volto; inizio a sfregare con forza la pelle che diventa subito rossa e senza fiato mi fermo. Non posso cancellare le parole, il suo sguardo e la sua rabbia.

Sprofondo ancora avvolta nell'asciugamano sul letto, prendo il telefono e guardo le chiamate; scorro, leggendo che sono tutte di mia madre. Imposto la sveglia alle sei del mattino e quando sto per mettere il telefono a posto lo sento vibrare.

«Alec», rispondo agguerrita.

«Ally», prova a dire, ma una risata sfugge al mio controllo. Rido di me stessa per non aver riconosciuto l'inganno che si camuffava dietro a parole gentili.

«Sapevi del mio fratellastro?», domando e sento il suo respiro farsi pesante dall'altro capo del telefono.

«Dove sei?», chiede allarmato.

«Non ti riguarda. Anzi, fammi un favore, stammi lontano tu e tutti gli altri», chiudo la chiamata e spengo il cellulare. Stringo forte il cuscino contro il petto sperando che un sonno profondo mi rapisca dalla realtà.

Sola, ma con la forza di me stessa attraverso il Campus e vado alla caffetteria; incontro i loro sguardi e Alec scatta in piedi per venire verso di me. Il ragazzo dietro il bancone mi porge il caffè con un sorriso di cortesia che ricambio e prendo la tazza di cartone tra le mani.

UN AMORE PROIBITO Cuori SpezzatiWhere stories live. Discover now