Capitolo 16 Damon

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«Sembri un pazzo», commenta alle mie spalle.

«Forse lo sono, non pensi?», rispondo con noncuranza rimettendomi sul materasso spoglio.

«È lei il problema, vero?», lo fulmino con lo sguardo.

«Sì, sì, è proprio lei il problema», faccio un sorriso sghembo, poggio il gomito sul letto mettendomi di lato per essergli di fronte e poso il volto sul palmo della mano. «È talmente un problema che mi sono appena scopato Ethel», rido beffandomi della mia stessa frase visto che non sono riuscito nemmeno ad avere un cazzo di orgasmo.

«Stai rischiando, Dam, lo dico per te», scoppio in una clamorosa risata.

«Io rischio? Sono loro che hanno giocato con me e ora la pagheranno tutti, uno per uno», ammetto con fermezza senza pentirmi un solo istante delle mie parole. «E poi, non è di certo colpa mia se Bret ha una ragazza che non si fa pregare più di tanto», continuo e sento quasi la bile salirmi in gola al ricordo del suo corpo sotto il mio.

«Posso capire che tu ce l'abbia con Alec ma...», scatto a sedere sul letto inchiodandolo con lo sguardo.

«Ma con Bret? È questo che vuoi dire? Mi hai chiesto tu di rientrare nel club», gli rinfaccio e incomincio a camminare avanti e indietro per la stanza, mentre gli effetti di ciò che mi avrebbe dovuto tenere lontano dalla realtà sono quasi svaniti e la vulnerabilità prende di nuovo possesso del mio cervello.

«Ti ho detto di tornare per riprendere il tuo posto, quello che è sempre appartenuto a te», dice Cody fermandomi affinché lo ascolti. «Ricordi com'eravamo un tempo?», aggiunge e io scuoto la testa, perché non ho lasciato spazio a queste stronzate che potessero rinfacciarmi quanto schifo faccia ora la mia vita.

«Io non sono più la stessa persona», gli faccio notare battendo l'indice contro la tempia, «ficcatelo bene in testa perché non ho intenzione di ripetertelo».

Un tuono, come richiamo alle mie minacce, fa tremare i vetri della stanza, seguito dallo scrosciare incessante della pioggia. Il telefono vibra sul comodino dove l'avevo appoggiato. Butto un occhio sul display.

«Povero coglione», esclamo e chiudo la chiamata che, però, riprende dopo solo pochi secondi così decido di spegnerlo del tutto. Chi si crede di essere? Solo perché non gli ho spaccato la faccia per quello che ci ha fatto non vuol dire che possa permettersi di chiamarmi.

«Pronto?», sento dire a Cody che inchioda il suo sguardo sul mio.

«Tieni, è per te», dice porgendomi il telefono che gli strappo dalle mani.

«Come cazzo ti permetti?», abbaio sapendo già chi possa essere dall'altro capo del telefono. «Non pensi che se avessi voluto parlarti ti avrei già risposto?», domando sarcastico. Resto stupito dal suo silenzio, ma ne resto ancora di più dalle parole che ne seguono. «Quando?», chiedo sorpreso e colpisco con un calcio la sedia. «Non puoi chiederlo proprio a me», dico ricordandogli come lui stesso mi avesse pregato solo poche ore prima di starle lontano. «Va bene cazzo!», sbraito chiudendo la chiamata.

Infilo al volo le Converse sotto lo sguardo perplesso di Cody che non proferisce parola. Afferro le chiavi della macchina, sollevo il cappuccio sulla testa ed esco di corsa. Dove può essere andata con questo tempo? Chiedo a me stesso. Forse da Alec. Salgo in macchina con gli indumenti ormai zuppi. I tergicristalli si muovono veloci sul vetro ma sembra non bastare, il rumore incessante della pioggia batte forte sulla cappotta.

È come se fossi stato io a risvegliare questa tempesta, ripensando a tutti i casini che sono riuscito a creare in mezza giornata. Rallento sulla Main Street sporgendo la testa verso le vetrate di Colleen's. Niente, non è nemmeno qui. Sbatto le mani sul volante e continuo a girare a vuoto per la città fino a fare inversione e dirigermi verso l'unico luogo dove non ho controllato.

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