Capitolo 11 Allyson

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Resta quasi impassibile, come se lo fosse già immaginato.

«Alec non ha mai toccato in questo modo una ragazza. Non voglio giustificarlo, ma il problema non sei tu...», lascia la frase sospesa a mezz'aria in un abitacolo troppo piccolo, dove sento il peso di ogni singola parola.

«Damon, il problema è Damon?», domando sorridendo amaramente a questa sfida che sembra esistere tra loro e sono io a doverne pagare il prezzo senza conoscerne il motivo.

«Sono successe delle cose che non spetta a me raccontare», spiega. Chissà perché la sua risposta non mi è nuova, la stessa che mi ha detto anche Joselyn. Mi domando come possano frequentarsi tutti come migliori amici e odiarsi allo stesso modo. Perché è questo che fanno da quando è tornato Damon: si stuzzicano, si sfidano ma continuano comunque a frequentarsi.

«Perché?», domando come se avessi dato ascolto ai miei pensieri.

«Cosa?», Cody sembra confuso. Vorrei chiedergli chi è veramente Damon e cosa ha reso il suo sguardo così triste e cupo, perché anche quando sorride i suoi occhi non lo fanno mai, come se fossero aggrappati a qualcosa, ma non riesco a capire cosa.

«Niente, lascia stare». Arriviamo al Campus e lo seguo verso i dormitori maschili, non ha importanza cosa potrebbero pensare se mi vedessero, credo che peggio di così non potrebbe andare.

«Sicuro che non disturbo?», domando mentre percorriamo il corridoio verso quella che presumo sia la sua stanza.

«Vieni, ti ho detto che non c'è problema», si ferma di fronte alla porta che è socchiusa ed entra. Lo seguo e resto quasi pietrificata quando i miei occhi cadono sul letto, dove Joselyn è seduta con il solo lenzuolo a coprirla.

«Sei un bastardo. È più di un'ora che ti chiamo», sbraita Cody. Basta urla, basta litigi, basta tutto. I piedi che calpestano il pavimento mentre raggiungo le scale sono il solo rumore che voglio sentire.

«Allyson».

No, la sua voce no.

Corro più veloce che posso e vorrei quasi fuggire da me stessa.

«Fermati». Damon è sempre più vicino, fino a sentire la mano stringersi attorno al mio braccio con la quale, in uno scatto, mi ritrovo contro il suo petto ancora nudo.

«Lasciami», capisco solo quando pronuncio quelle parole che le lacrime hanno avuto la meglio percependole scivolare lungo il volto.

«Cos'è successo?», ringhia e il suo sguardo è come inchiodato sulla parte dove porto il segno della risposta alla sua domanda. «Chi ti ha toccata?», le sue mani sorreggono il mio volto; cerco di scostarmi, non mi piace l'effetto che il suo tocco riesce ad avere su di me.

Pericoloso.

Magnetico.

Estenuante.

Lascio che il corpo che sento tremare scivoli sulla parete, rannicchio le gambe al petto avvolgendole con le braccia. Era dai tempi del mio primo anno di liceo che non lo facevo, che non sentivo più questa sensazione di essere sempre la persona sbagliata che sentiva l'incessante bisogno di proteggersi da tutto e tutti.

Il bersaglio facile da deridere solo perché il mio corpo non rispecchiava la perfezione di fronte agli occhi delle mie compagne.

«Non potevo tornare a casa e non sapevo dove andare», confesso e allo stesso tempo vedo che oltre a questa piccola cerchia di amici non ho nessuno in questa città. Sento un tonfo sulla parete che mi fa sobbalzare, solo quando abbassa il braccio, le nocche sbucciate sono la risposta all'ennesimo pugno che gli è sfuggito dalle mani.

UN AMORE PROIBITO Cuori SpezzatiWhere stories live. Discover now