Chapter 48.

71 6 2
                                    

Le cose fra di noi non erano mai andate lisce come poteva sembrare, a volte la diversità che vi era tra me e Louis diventava un muro altissimo e certi giorni non avevamo la voglia di abbattere o scavalcare quell'ostacolo; io e Louis eravamo così simili e diversi che a volte la cosa spaventava perfino noi. Più di una volta ci hanno chiesto come avessimo fatto a stare insieme per così tanto tempo, noi non rispondevamo mai a quella domanda, ci limitavamo ad alzare alle spalle e a sorridere, 'amore' pensavo io, che con l'amore poi ti viene il coraggio di fare tutte quelle cose che non avresti mai pensato di fare, di sopravvivere e superare tutti gli ostacoli. Credo che ci voglia un coraggio enorme per amare, visto e considerato tutto ciò che riesce a farti fare, e ciò non era mancato a nessuno dei due mai, quante volte ci eravamo gridati addosso insulti pesanti ed accuse, a volte, inesistenti? Tutto quello che all'inizio sembrava impossibile poi si era rivelato fattibile ad occhi chiusi, e forse non ringrazierò mai abbastanza Louis per tutto il supporto e la pazienza, mi è stato accanto quando anche io me ne sarei andato via da me, quando la mia realtà era a pezzi o era meravigliosa, sempre al mio fianco, mi chiedo come sia anche solo immaginabile. Con il tempo avevo imparato a parlare con lui, a parlare a cuore aperto, sapendo di avere davanti ai miei occhi qualcuno pronto ad aiutarmi e non a giudicarmi, ed avevo imparato quanto fosse importante a comunicazione, il dire 'ho paura', il confessare i propri sentimenti perché, a dire il vero, non mai stato troppo bravo a dimostrare ciò che sentivo. Eravamo cresciuti insieme e lui mi aveva fatto da padre, da amico, da fratello e da fidanzato e credo non ci sia cosa più strana e bella di trovare qualcuno che sappia accettarti così come sei, senza filtri o sotterfugi, ed era strano per me che non ero mai stato considerato più del necessario, che credevo di essere solo al mondo.

"A che pensi?" mi chiese Louis mentre io scoppiavo di pensieri.

"A troppe cose, fidati." Risposi io sorridendo flebilmente.

"Ti capita spesso, che succede?" mi domandò non volendo mollare il colpo.

"Non sono mai andato a trovare Stan." Dissi io.

"Perché?"

"Non lo so." Dissi io sincero.

"Però vorresti andarci" constatò Louis.

"Non lo so.." replicai nuovamente io.

"I tuoi 'non lo so' sono sempre dei 'no' secchi che hai paura di dire, stavolta però non ne sono certo." Disse lui alzandosi.

"Ehiii" -mi lamentai io- "Dove vai?" chiesi con il broncio.

"Andiamo a fare una passeggiata, ho voglia di uscire." Annunciò lui sorridente.

Sbuffai prima di aggiungere: "Eh va bene, ma mi devo sistemare i capelli!" dissi io in finto tono di sfida prima di chiudermi nel bagno per sistemare quel casino in testa.

"Non fa poi così freddo." Dissi io una volta usciti di casa e fatti due passi.

"Proprio per niente." -Mi assecondò lui sorridendo- "Sei ancora sovrappensiero" appurò in seguito.

Annuii "E' che mi sento in colpa e forse non dovrei..O forse si?" chiesi io nella confusione.

"Tu cosa senti di fare? Cosa ti sembra più giusto?" chiese lui calmo.

"Forse..Ecco, penso che dovrei andare." Risposi io dopo qualche istante di totale silenzio.

"Allora andiamo." Ribatté lui pronto ad attraversare.

"Ora?" chiesi io sbalordito. Ero davvero pronto?

"Se non ora, quando?" disse Louis retorico. Lo seguii senza più dire nulla.

Per tutto il tragitto ebbi la testa da tutt'altra parte e non capii nemmeno quando arrivammo all'ingresso del cimitero, mi ridestai nel momento cui mi trovai di fronte alla lapide di Stan.

"Vuoi restare da solo?" mi chiese Louis sottovoce.

"Se non ti dispiace.." dissi io non distogliendo lo sguardo nemmeno un secondo da quella lastra di marmo, Louis si allontanò.

Che strano, che strano tutto; avevo sempre ignorato il vero significato di morire, e non lo sapevo nemmeno in quel momento cosa volesse dire, non vedere una persona, non poterle più parlare..Nella mia vita ero stato fortunato, tutti i miei affetti erano come me, in senso fisico, eppure avevo quella strana sensazione che lui non avesse davvero lasciato, nemmeno quando sono andato via mi sentivo privo dell'assenza di Stan, e di certo non lo ero in quel momento. Non era tanto la lapide e la consapevolezza che il suo corpo fosse lì sotto a qualche metro di profondità, più che altro il fatto che avevamo sofferto insieme la stessa incomprensione, che eravamo simili a farmelo sentire vicino. Non ero triste, solo rammaricato del fatto che a pagare era sempre chi non c'entrava nulla. Avrei potuto cambiare qualcosa? Di certo no, e di certo non era la cosa più giusta colpevolizzarmi. Se fossi stato uno di quei cliché da film, avrei fatto un discorso ad alta voce in nome di quell'amicizia che in fondo non era nemmeno così tanta, mi limitai a sorridere, anche se fiaccamente, e mi alzai, le parole più belle non c'era bisogno che le dicessi, che le sperdessi ai quattro venti.

Mai avrei voluto riprovare la tristezza di quei giorni, giorni in cui l'unico mio appoggio ero stato io e nessun altro.

Trovai Louis all'entrata del cimitero e lo raggiunsi.

"Allora?" chiese lui afferrandomi per il bacino e cominciando a camminare, mi strinsi a lui e non dissi niente, in fondo non trovavo nulla di più adatto da dire.

"Hai fatto un gesto significativo, sono felice di ciò." provò a consolarmi Louis dandomi poi un leggero bacio sulla spalla.

Io restai in silenzio godendomi quegli attimi in cui la mia testa era ferma, spenta, dove il mondo era immobile, in cui ero con lui.

"Lo vuoi un caffè?" mi chiese Louis, io annuii nuovamente.

Camminammo pochissimo, giusto il tempo di girare a destra che arrivammo in un bar totalmente anonimo nel quale non ero mai stato; era accogliente, seppur piccolo, aveva quell'odore familiare di casa misto a dolce, che mi faceva sentire in paradiso. Mi sedetti in uno dei banchetti di legno ed aspettai Louis che si era offerto di prendere qualcosa, durante l'attesa mi persi alla vista del tramonto visibile dalla vetrata accanto al tavolo nel quale ero seduto; qualche minuto dopo sentii uno scatto e mi girai di getto.

"Che fai?" chiesi in tono sorpreso a Louis che teneva in mano il suo cellulare.

"Ti ho scattato una foto." Disse lui sollevando le spalle.

"Perché?" -chiesi prima di afferrare la tazzina di caffè e dire un "Grazie" veloce.

"Perché sei bello, ed il tramonto anche." Disse lui sedendosi di fronte a me e bevendo il suo caffè.

I miei occhi si inumidirono leggermente; odiavo essere così emotivo a volte, riuscivo a piangere per qualsiasi cosa, non riuscivo proprio a trattenermi, scoppiai a piangere anche quella volta in quel bar sperso nel nulla.

"Ehi, che succede?" chiese preoccupato Louis scattando in piedi e venendosi a sedere accanto a me, inutile dire che quella preoccupazione fece si che cominciai a singhiozzare più forte, mi portai le mani davanti la faccia. Louis mi abbracciò e restò in silenzio forse non capendo ciò che mi stava succedendo, a dire il vero non lo sapevo neanche io.

Quando smisi di piangere provai a dire un "Grazie" che uscì piuttosto soffocato.

Louis corrucciò la fronte: "Per cosa?"

"Per tutto credo." Risposi io.

"Ma..non ho fatto nulla." Provò a ribattere lui.

"Non fare domande." Dissi io ridacchiando leggermente, a volte sapeva essere tanto ingenuo quanto lo ero io.

"Andiamo a casa? Ho voglia di vedere un film." Dissi dopo un po'.

"Certo, però non piangere eh." Mi rimbeccò scherzando, lo spinsi leggermente con un colpo di spalla.

Una notte. (Larry Stylinson)Where stories live. Discover now