Chapter 33.

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Non ricordavo nulla, avevo come un vuoto nella mia mente che, tuttavia, da un lato mi allietava e dall'altro mi inquietava. Fondamentalmente ed inizialmente ero felice di aver accantonato quegli episodi drammatici e critici della mia vita, ma come poteva rimanere il mio sorriso se quelle sventure mi avevano portato a Louis? Allora, appena mi ricordavo di ciò, mi preoccupavo perché io volevo ricordare, volevo avere la certezza del passato e delle mie azioni, anche se le azioni che mi avevano segnato di più la vita erano state compiute da qualcun altro e non da me. Ero sicuro che avrei ripreso a ricordare tutti i minimi dettagli delle ultime vicissitudini, solo che mi ci voleva giusto un po' di tempo. Il mio piccolo riposino aveva dovuto spaventare Caleb che, seduto sulla sedia di fronte a me, non faceva che controllare i miei battiti ed il mio respiro. Sorrisi, quasi di cuore, pensava che potessi morire? Ma la mia curiosità, anzi, il mio bisogno di risposte, aveva prevalso su tutto, perfino su colui che vegliava su di me.

"Non capisco perché continui a guardare quell'aggeggio? Cosa è successo?" chiesi allora con un mezzo ghigno stampato in volto.

"Avevo paura che non ti saresti più svegliato, dopo l'ultima volta preferirei evitare.." disse lui per niente divertito.

"Cosa mi è successo?" chiesi curioso, un cipiglio si venne a formare sopra la mia fronte.

"Ti ricordi la sera in cui sei andato all'appartamento di Zayn?" chiese lui con fare allusivo.

"Si, stavo cercando Niall.." dissi io, finalmente i ricordi cominciavano,anche dolorosamente, a prender forma nella mia mente.

"Hai visto del sangue sul pavimento e sei svenuto sbattendo rovinosamente contro il tavolo, sei rimasto sei mesi in coma." Rispose Caleb fissando il suo sguardo nero nel mio, strano, una volta sarei scappato da quello sguardo, adesso invece lo reggevo senza alcuna fatica. Che strana la vita, ciò che prima non riuscivi a fare adesso era come respirare, forse non scontato, ma naturale di sicuro.

"Sei mesi di coma per una stupida testata ad un tavolino?" chiesi io sarcastico.

Caleb annuì spostando lo sguardo sulle sue scarpe, era evidentemente in pensiero, quale fosse il contenuto di essi non mi era dato saperlo, non più almeno. Non sarei mai riuscito a classificare il rapporto che avevo, o avevo avuto, con Caleb.

"Qualcuno devi volermi davvero male lassù." Dissi io aggiungendo una risatina amara a fine frase.

"Evidentemente non così tanto da farti ritornare in vita." Controbatté lui in tono di sfida.

Probabilmente aveva ragione.

"Non avrà finito di torturarmi." Risposi io altamente sarcastico, chissà cosa avrebbe risposto adesso Caleb, non si poteva ribattere in maniera persuasiva a quella specie di provocazione velata a tratti.

"Beh, che sia vero o no, intanto sei vivo. Non conta questo?" rispose risoluto.

Anche quello era vero, suppongo.

"Come sei arrivato qui?" chiesi io sinceramente curioso, non ci sentivamo dalla mia improvvisa partenza.

"Non ti ho mai perso di vista, ho sempre tenuto gli occhi ben saldi su di te. Ti conosco troppo bene, Harry, per non prevedere alcune delle tue mosse." Disse lui noncurante.

Mi aveva sempre un po' inquietato quel suo lato del carattere, riusciva a sapere tutto di tutti pur restando ben saldo nella sue, nostra, piccola città anonima ed isolata, a modo suo, dal resto del mondo. Non feci poi molte domande sulla sua venuta, per quanto strana fosse.

"Louis sa di te?" chiesi io tranquillo. Mi fidavo di Louis e lui si fidava di me, ed andava bene così, avrebbe capito se già non lo aveva fatto.

"Uhm..Si, direi di si date le circostanze. Cosa c'è, hai dubbi su di lui?" chiese lui. Il suo tono ed il suo sguardo mi davano sui nervi, conosceva i miei punti deboli e li colpiva appena ne aveva la possibilità. Ma io contavo su di me, non mi sarei innervosito di fronte a quella provocazione sfacciata. Che deficiente, pensai, non sapeva che anche io, con il tempo, avevo imparato a conoscermi e a controllarmi. Rompere il mio equilibrio era difficile, visti anche gli ultimi episodi sarei dovuto impazzire, ed invece eccomi lì, tranquillo su di un lettino.

Preferii lasciare a mezz'aria quella insulsa domanda, che a me suonava più come un'affermazione, e ricambiai uno sguardo sdegnato rivolto a Caleb.

"Voglio vedere Louis." Dissi io incrociando leggermente le braccia sul mio petto.

"Sta arrivando, anzi, ti lascio da solo e vado a prendermi un caffè. Sarà qui a momenti." Disse lui mentre raccattava le sue cose precedentemente lasciate su di un tavolino.

Non dissi nulla, restai immobile in una trepida attesa che mi fece dimenticare di Caleb, facendomi dimenticare che avrei dovuto occuparmi anche di lui e di Niall. Avrei chiesto tutto a Louis, potevo e mi fidavo soltanto di lui in quel momento.

Attesi pazientemente con lo sguardo fisso all'orologio posto sull'asettica parete bianca posta di fronte a me. Poi arrivò, lo vidi entrare insicuro nella stanza, guardandosi continuamente attorno, quasi piangevo dalla gioia. Poi ci guardammo e lui corse quel breve tratto che divideva la porta dal mio letto e si lanciò tra le mie braccia. Ed io allora non pensai più alla mia quasi morte, a Niall, a Stan, a Zayn o a Caleb. Tutto il mio pensiero e, soprattutto, tutta la mia vita, erano concentrati su di Louis. E lo sapevo, o forse non me ne rendevo realmente conto, di quanto fosse pericoloso quel legame, ma forse non mi importava. Chi ero dunque io per potermi privare del piacere di soffrire se avevo tutto questo amore in cambio? Una sofferenza più che giustificata e sentita, a parer mio. Non potevo, non riuscivo, a contenere quell'affetto sincero che provavo per lui, tra di noi vi era una sorta di legame che rasentava l'etereo, non si parlava solo di attrazione fisica e mentale, c'era qualcosa di più grande, di più sovrannaturale che ci univa.

Ci staccammo molto tempo dopo, mi dimenticai di tutte quelle domande e di tutte quelle cose che mi ero prefisso di fare una volta incontrato. Lo vidi vulnerabile come non mai di fronte a me, i suoi occhi annacquati mi davano l'ennesima conferma che con lui non mi ero sbagliato, ne fui sinceramente felice, anche se in fondo lo avevo sempre saputo.

"Mi hai aspettato?" chiesi io quasi come a voler confermati quei miei pensieri che, nella mia mente, si erano fatti spazio più degli altri senza che io li abbia costretti a venir fuori.

"Ti ho aspettato." Volle confermare lui.

"Dopo tutto questo tempo?" chiesi io sollevandomi leggermente dal lettino.

"Sempre." Disse lui completando quella frase di quel libro che avevo sempre amato. Si avvicinò ancora una volta a me, mi accarezzò la guancia e mi spostò qualche ciocca oramai troppo lunga che, capricciosa, si poggiava sul mio naso.

Vedete, neanche la morte è riuscita a separarci.

Ok Signore, diciamo pure che esisti. Sei stato Tu a mettermi in questa situazione. Vuoi mettermi alla prova.

E se io mettessi Te, alla prova? E se io decidessi che non esisti? Mi hai messo in un bel guaio, tra i miei genitori e questi foruncoli. Io credo proprio di averlo passato, l'esame. Sono più forte di Te.

(Charles Bukowski.)

E non lo sapevo per certo se avevo vinto nella vita oppure in quel momento tanto perfetto ai miei occhi quanto agli occhi di estranei. Forse quella era una prova istituita da chissà chi, forse questa era la sfida che avrebbe segnato l'inizio di altre sfide che, ne ero certo, mi avrebbero fatto quasi cedere, ma, ero anche certo che, non sarei stato solo ad affrontarle.

Mentre formulavo pensieri tanto profondi quanto contorti, Louis appoggiò la sua fronte contro la mia ed unì le nostre mani ai lati delle nostre teste. Andava bene così.

Una notte. (Larry Stylinson)Where stories live. Discover now