Chapter 1.

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Avevo diciotto anni e pensavo che fosse una buona idea, un'ottima idea, scappare via da quella città che mi aveva cresciuto, ma che mi stava soffocando. Da un lato sentivo di amare quella città fatta di poca gente, di mare e di colori, dall'altro lato non la sentivo adatta a me. Sin da piccolo adoravo andare al mare e restarci per tutto il giorno, guardare il tramonto seduto sulla sabbia, tornare a casa e lavarsi di corsa per poi andare dalla nonna per mangiare. Durante l'estate io e la mia famiglia mangiavamo sempre sulla terrazza, aveva una moltitudine di vasi sparsi in cui crescevano rose, tulipani, fragole, prezzemolo, menta e basilico. Stare in quel posto era magico, l'aria fresca, i colori e il cielo pieno di stelle erano elementi degni di un film. La sera era ancora più bello andare nella piazza del paese e mangiare un gelato seduti sulla panchina che si affacciava sul mare mentre si è in compagnia di qualche amico. La chiamavano 'città del mare', perché, da ogni punto della città, perfino dal più alto, era possibile vedere il mare. E lo giuro, in giorni come quelli mi sentivo in pace con il mondo e con me stesso. Ma la medaglia ha sempre due facce, e, per quanto mi dispiaccia ammetterlo, anche la 'città del mare' aveva i suoi lati negativi. Le poche persone che popolavano i vari quartieri della zona, per lo più le donne anziane, erano considerate gli occhi della città. Non importa dove tu fossi o cosa tu facessi, loro lo sapevano, in un modo o nell'altro,e giudicavano ogni tua azione. Era come vivere in una sorta di 'Grande Fratello', e per le persone come me non era davvero un bell'affare, non potevo permettere che i miei segreti, i miei sporchi segreti, venissero sbandierati ai quattro venti e giudicati come se loro sapessero la ragione che mi aveva spinto a compiere determinate scelte, come se mi conoscessero davvero. Passavo la maggior parte del mio tempo a nascondermi e a fingere per non essere scoperto, anche se sapevo che la mia copertura sarebbe saltata, era solo questione di tempo. All'inizio trovavo eccitante il fatto di nascondermi, di condurre una sorta di doppia vita di cui nessuno sapeva l'esistenza, ma la situazione diventò via via più pesante ed io , in quella città, non potevo più restarci, non solo per quello che nascondevo, ma anche perché, assieme ai miei anni, crescevano anche le mie aspettative, le mie pretese ed i miei sogni. Per quanto amassi quella città, dovevo andarmene, dovevo andare in un posto in cui potevo realizzarmi e ricominciare da dove la mia vita si era interrotta qualche anno prima. Con i miei genitori i rapporti si erano fatto un pò più tesi e le liti non mancavano mai, neanche loro, come me, riuscivano a capirmi del tutto. Quando, dopo l'ennesima lite che mi aveva portato al lastrico, avevo annunciato loro la mia voglia (o esigenza) di andarmene e di lasciare tutto a metà, come ad esempio la scuola, successe l'ennesimo finimondo. Non importa quanto stetti male e quanto fossi taciturno e scontroso quella settimana, io avevo fatto la mia scelta, che a loro piacesse o no, io avevo scelto. In quella strana settimana, di notte, preparavo le valigie ed i borsoni per la mia partenza, andai in tutti i posti della città come per dire addio (o arrivederci) ad ognuno di loro. Andai nel locale dove avevo incontrato un ragazzo che mi somigliava tanto per carattere, andai a casa delle mie amiche per stare un'ultima volta con loro, passai di fronte quella che sarebbe diventata la mia vecchia scuola e pensai a come stessi buttando all'aria tanti sacrifici, andai nella gelateria che tanto amavo, infine andai a casa. Non ammetterò mai del tutto come mi sono sentito a vedere tutta la mia famiglia riunita attorno che parlava serena, ignara di quello che sarebbe successo, consapevole del fatto che non li avrei mai più visti. Non li stavo abbandonando, anche se poteva sembrare così, io stavo solo cercando di fare la cosa giusta per me, forse un giorno sarei tornata quando le acque si sarebbero calmate. Quella settimana era stata il mio addio silenzioso a quella che sarebbe stata la mia vecchia vita, era tutto pronto e, in cuor mio, lo ero anche io. Erano le quattro e dodici quando raccolsi in silenzio i borsoni nascosti nell'armadio e lascia la mia casa, il taxi mi aspettava di fronte il portone del mio palazzo. Avevo scritto una lettera da lasciare ai miei genitori ma, indeciso sul da farsi, la portai con me, forse li avrei chiamati e gli avrei spiegato tutto una volta arrivato. All'aeroporto c'erano poche persone e un gran silenzio a far da padrone, cercai di non pensare a nulla e mi diressi al check-in. Dopo circa un'ora, mi recai al gate di partenza e mi imbarcai, mi continuavo a ripetere in testa che era giusto così ma che forse, sotto sotto, avevo sbagliato. Durante l'interminabile volo cercai di non pensare a come si sarebbe sentita mia madre quando, una volta sveglia, sarebbe andata nella mia stanza e avrebbe trovato il letto ordinato e gli armadi e la scrivania vuoti, non osai pensare al fatto che mi avrebbero cercato e che, probabilmente, i miei nonni non avrebbero retto ad una notizia del genere. Con il cuore pesante, così come le gambe, scesi dall'aereo una volta giunti a destinazione, finalmente ero arrivato, da li sarebbe cominciata la mia nuova vita. Il mio cuore cominciò a battere più forte quando, ancora sul taxi, lessi la scritta "benvenuti a Londra".

Una notte. (Larry Stylinson)Where stories live. Discover now