Primi capitoli revisionati!

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Come avrei potuto arrecarle un dolore così grande? Sarebbe stata in pensiero per me per il resto dell'anno, dondolando sulla sua sedia nella veranda con una tazza in mano di tè ormai freddo a farsi consumare da ricordi disturbanti e che tuttora la terrorizzano nel sonno. Mai è riuscita a parlare di quei momenti, tanto più da quando mio padre ha deciso di scordarsi di noi e voltare pagina. Eppure ricordo uno dei suoi incubi riguardo quel famigerato viaggio in Romania. La città  natale di mio padre era Brașov , a quanto ricordassi, ed era la sede dell'Università che avrei frequentato.
Non sarebbe stato un bene per una madre dalla salute già di per sé fragile scoprire che la propria unica figlia avrebbe conosciuto ciò che sapeva lei.
Decisi di mentire, le avrei fornito l'indirizzo di un'università sul confine rassicurandola sulle mie condizioni e poi sarei partita per la Transilvania indisturbata.
Non avevo memoria di quel breve periodo in cui, anche io che ero in fasce, mi imbarcai alla scoperta della vecchia casetta in cui nacque mio padre e ne esplorai ogni angolo nel disperato tentativo di percepire una sensazione che mi rassicurasse.
Talvolta persino un luogo sconosciuto può scaturire in un animo tormentato un po' di sollievo dato dall'apparente visione di una fiamma di flebile luce nel buio.
Buia era quella gelida stanza e flebile il mio respiro, apparente la fiamma che ardeva nel suo petto.

Guardai il suo volto più volte, perdendomi nei suoi occhi vitrei. Non percepivo più calore nel guardarli, era palese che la sua anima avesse abbandonato il corpo da tempo. Un brivido sinistro si insinuò dentro di me come invadenti radici di un albero avido di terra.
Non era il freddo austero della stanza,necessario per la conservazione delle salme, a disturbarmi,ma, quanto più l'aspetto della stanza dove si trovava il cadavere mio padre; le pareti di un verde sbiadito scrostato dal tempo, le luci fioche che lampeggiavamo deboli lasciando l'obitorio nella penombra. Non osavo smettere di far roteare le chiavi pesanti con le dita per paura di udire un qualunque  suono proveniente da quel luogo.
Poco prima un'infermiera aveva attirato la mia attenzione entrando furtivamente nella stanza:

"Dottore non sarà il caso di richiedere un'autopsia per quell'uomo?"

Aveva sussurrato tenendo gli occhi fissi sulla barella dove giaceva mio padre con le mani giunte, quasi stesse pregando.
La donna era matura, questo era chiaro viste le rughe profonde che solcavano il suo volto sciupato dai turni notturni e dai dispiaceri. Mia madre la conosceva molto bene, Eleonor si chiamava.
In paese spesso emergevano pettegolezzi riguardo le sventure che le hanno sottratto l'amato marito e il figlio ancora lattante.
Ricordo, di aver domando a mia madre di lei dopo averla incontrata al cimitero dove giaceva la mia famiglia materna.
Sembra ieri, se ci penso, quando ho attraversato il sentiero correndo e sghignazzando con la mia bambola di pezza stretta al petto. Era un cimitero sì, ma le lapidi era contornate da un quadretto naturale veramente piacevole: un lago cristallino, salici piangenti che vi si gettavano all'interno e distese di fiori dai colori pastello.
Nonostante la funzione che quel luogo effettivamente aveva, nonché quella di ospitare i defunti, ogni volta lì per me era come un regalo, pareva un bosco fatato.
D'improvviso però  percepii il tocco delicato di mia madre sulle spalle nude e mi bloccai di scatto, come paralizzata, dal momento che le sue dita premevano sulle mie ossa. Sembrava essere nervosa. Stavo per dimenarmi con  violenza selvaggia con l'intento di liberarmi dalla sua presa, quando vidi una donna, accasciata su un tumulo di pietre.
Mia madre non commentò la scena, mi strinse a sé coprendomi con il suo lungo cappotto usurato, si portò il fazzoletto al viso e si asciugò una lacrima voltandosi.

"Il suo bambino e suo marito sono in cielo Elvira. Andiamo a salutare la nonna piuttosto che disturbarla con la nostra presenza."

Mi sussurrò prendendomi per mano. Ancora oggi percepisco una tristezza tanto profonda quando la penso inerte sulla tomba del suo piccolo. Piangeva così forte da non aver più fiato. Non dimenticherò mai quella scena sconcertante, nessuno, a meno che non sia privo di cuore, sarebbe capace di farlo.
Se ne stava sullo stipite della porta accanto al medico legale ignorando con discrezione la mia presenza, si trattava di pratiche di routine per lei, eppure la sua freddezza mi feriva. Ero così giovane per affrontare la perdita di un genitore, perlopiù in queste circostanze.
Il dottore si avvicinò a me con passo pesante, facendo schioccare la suola delle sue scarpe sul pavimento in linoleum. Appariva molto professionale con il camice verde e gli occhiali scivolati sulla punta del naso aquilino. Parlava con estrema calma, non aveva compassione nel suo volto, solo comprensione. Poggiò delicatamente la mano sulla mia spalla come farebbe uno zio premuroso:

If I Was Your VampireWhere stories live. Discover now