La Forma del Destino

Marikaapoliti

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*Completa* Un carattere introverso, una realtà che non le appartiene e un nuovo inizio. Federica ha vissuto d... Еще

PROLOGO
Capitolo 1
Capitolo 2
Capitolo 3
Capitolo 4
Capitolo 5
Capitolo 6
Capitolo 7
Capitolo 8
Capitolo 9
Capitolo 10
Capitolo 11
Capitolo 12
Capitolo 13
Capitolo 14
Capitolo 15
Capitolo 16
Capitolo 17
Capitolo 18
Capitolo 19
Capitolo 20
Capitolo 21
Capitolo 22
Capitolo 23
Capitolo 24
Capitolo 25
Capitolo 26
Capitolo 27
Capitolo 28
Capitolo 29
Capitolo 30
Capitolo 31
Capitolo 32
Capitolo 33
Capitolo 34
Capitolo 35
Capitolo 36
Capitolo 37
Capitolo 38
Capitolo 39
Capitolo 40
Capitolo 41
Capitolo 42
Capitolo 43
Capitolo 44
Capitolo 45
Capitolo 46
Capitolo 47
Capitolo 48
Capitolo 49
Capitolo 50
Capitolo 51
Capitolo 52
Capitolo 53
Capitolo 54
Capitolo 55
Capitolo 56
Capitolo 58
Capitolo 59
Capitolo 60
Capitolo 61
Capitolo 62
Capitolo 63
Capitolo 64
Capitolo 65
Capitolo 66
Capitolo 67
Ringraziamenti

Capitolo 57

211 11 6
Marikaapoliti

CHRISTIAN

Durante il nostro litigio a scuola sapevo di averla delusa, sapevo che dentro di lei stavo rompendo la speranza che riponeva in questo noi. Eppure, credevo che quando avessi udito dalle sue labbra esclamare di aver compreso che non sono capace ad amare, che vivo in un mondo marcio e che deve starmi lontana, mi sarei sentito meglio e invece mi sento vuoto, terribilmente spento e vorrei solo tornare indietro e perdermi in uno di quei giorni in cui c'era la pace attorno e tutto era silenzioso e placido. Vorrei poterla guardare dormire ancora un po', osservare quel bellissimo viso assonnato e concedermi di accarezzare quella pelle color latte, così candida e punteggiata da una costellazione che farebbe invidia ad ogni cielo. E invece, mi trovo a vagare nei nostri posti, da solo con la testa che mi esplode e il sangue che ribolle nelle vene. Vorrei amarla come merita, vorrei capire come renderla felice, e vorrei che smettesse di piangere per causa mia. Perché ha continuato a provocarmi? Sapeva che non avrei resistito. Voleva che lei mi odiasse, voleva ottenere l'effetto di portarmela via e forse ci è riuscito, anche se ero stato capace ad allontanarla da solo. Voleva essere quello che le svelava nel peggiore dei modi tutta la storia e se non avessi reagito lo avrebbe fatto, conosco bene Flores. So di cosa è capace quando vuole ottenere qualcosa, mi avrebbe fatto passare per mostro e lui sarebbe stato quello ingannato del duo. Non sopporto di pensare che la piccola dea adesso si starà facendo mille domande e magari starà lasciando sfogo alla sua fragilità. Come posso migliorare questo? Come posso rimediare? Vorrei vederla, poterle spiegare. L'ha anche paragonata a Nicole, come se fossero uguali ma non è così, lei non c'entra con Nicole, e adesso so che si chiederà chi è, cosa è successo ma non so come parlargliene, come raccontarle tutto senza essere frainteso. Nessuno mi ha mai creduto, tranne i miei amici che hanno vissuto con me tutta la storia, ma lei non crederà mai ad uno come me, ad uno che la fa piangere e picchia la gente. Vorrei essere migliore per lei, e non cadere nel cliché dello stronzo che ottiene tutto con la forza. Io non sono così, non voglio essere così. Sono diverso da Tom, sono diverso da mio padre e da quegli uomini che cercano il consenso di altri uomini per sentirsi superiori screditando le persone più deboli. No, non sono così. Non voglio essere così ma delle volte la mia impulsività mi costringe a fare azioni che controllo poco, mi costringe a fare male per non farmi male. Come faccio a raccontarle tutto? Se mi dovesse odiare cosa farei? Forse mi odia già. Ho bisogno di vederla ma devo lasciarle il suo tempo, questa giornata l'avrà fatta stare male. Tuttavia, passo davanti casa sua, Elis è fuori nel suo cortile insieme a Brown e il fratellino di Federica. Alzo gli occhi sulla finestra della sua camera, sarà lì? Starà piangendo? Non può essere a casa, non tornerebbe a casa in quello stato e Elis non sarebbe in cortile a giocare col cane se Federica fosse rientrata in quelle condizioni. Sarà da Charlotte? Starà piangendo sulla sua spalla, starà urlando che non vuole più vedermi? Come potrei biasimarla...
Agguanto il telefono e scrivo un veloce messaggio alla mia amica bionda, che probabilmente prenderà ad insultarmi e urlarmi contro appena ne avrà modo.
Lei è con te?
Scrivo veloce e invio prima di potermene pentire.
Ho solo bisogno di sapere se sta bene, mi dico. Il suono del telefono inspiegabilmente mi crea un nodo alla bocca dello stomaco, e mi accorgo che non ho mai provato simili sensazioni.

Charlotte:
Non cercarla.

Aggrotto la fronte, sbuffo ancora e scrivo velocemente: voglio solo sapere se sta bene.
Mi sento uno psicopatico, sono in preda all'ansia, non riesco a controllare tutte le vibrazioni che il mio corpo sente. Mi sento in trappola, come la mia anima ormai da tempo. Non voglio altro che sapere se sta bene, ribadisco.
«E tu non aiuti cazzo», urlo al display del telefono, leggendo il messaggio inviato dalla protettiva amica della Dea.

Charlotte:
Secondo te sta bene dopo quello che ha visto? Christian fanculo, ti avevo avvertito. Ora le stai lontano.

Sto per lanciare il cellulare quando il suono mi blocca per qualche secondo. È ancora lei.

Charlotte:
E non è con me. Ha bisogno di stare da sola.

Sospiro con forza, sbatto un pugno sul volante e solo adesso mi accorgo del dolore che ho alle nocche, per i colpi sferrati a quel mezzo uomo. Senza rispondere alla mamma apprensiva, lancio il cellulare sull'altro sedile e mi chiedo dove si possa essere cacciata. E se le succedesse qualcosa? Potrebbe essere in pericolo, ma non posso scriverle, risulterei patetico. Così, faccio un giro della città e provo a calmarmi, provo a pensare che sia giusto lasciarla da sola ma il mio inconscio continua a lavorare e dilaniarsi, passando in rassegna tutti i posti che abbiamo visto insieme. Non può essere in libreria, è un posto pubblico e chi riuscirebbe a piangere in una libreria col rischio di essere guardata da chiunque? Non Federica.
Niente Joyce, o ristoranti o il centro commerciale. Niente luoghi dove ci sono altre persone. E mentre vago, avvisto degli alberi e la mente va lì, dove tutto è iniziato.
Faccio dietrofront, mettendomi in viaggio verso quella meta. È lì, so che è lì. Ma non dovrei andare, dovrei rimanere qui e aspettare che sia lei a calmarsi e volermi vedere.
"Il segreto dell'esistenza umana non è vivere per vivere, ma avere qualcosa per cui vivere." Mi balena in testa questa frase mentre in sottofondo mi accompagna Wait, dei M83. Ricordo quando la canticchiava seduta al mio fianco dopo averla portata da Lea. Mi sentivo un codardo perché le avevo dato della speranza per un noi che ho persino paura a pronunciare, e poi, come un vero codardo per colpa di mio padre l'ho mandata via e ho fatto vincere il mio controllo, il mio voler sistemare le cose a modo mio; ho fatto vincere la paura di sbilanciarmi troppo perché se tentassi di fidarmi e mi abbandonasse anche lei? Se mi facesse del male dopo aver chiaramente ammesso di provare un sentimento come l'amore, io sarei perso. La mia anima imprigionata morirebbe, io morirei. E non riuscirei più a riportarmi nella via della vita, non riuscirei ad accettare più nessun compromesso, diventerei esattamente quello che non vorrei mai diventare, quello che combatto ogni giorno. Sarei il mostro da rinchiudere, o la vittima a cui è stato strappato il cuore e calpestato senza tregua, senza ripensamenti. Ho paura che quella piccola Dea, possa distruggere quel poco di controllo che mi è rimasto. Espiro, come se avessi trattenuto un lungo il respiro e mi accorgo solo adesso che sono arrivato a destinazione da qualche minuto e la mia mente continua a pensare, e forse ad ammettere che qualcosa tra me e lei c'è, qualcosa che ancora non riesco a definire, perché non so come si faccia a provare queste cose, perché non riesco a spegnere questo interruttore che mi obbliga a sentire così tante cose per lei? Perché? Cosa mi sta facendo? Adesso più che mai dovrei tornare indietro ma, invece di ascoltarmi come sempre, faccio l'opposto quando si tratta di lei. Così, scendo dalla macchina e percorro il vicolo pieno di erbacce, sento il cuore battere ad una velocità disumana, lo avverto attraverso le mani, la pancia, persino nei piedi sento il battito che pulsa e pompa troppo freneticamente. Arrivo dove la pace si intravede, e poi si percepisce. Gli alberi si muovono leggiadri per via del leggero vento e i fiori emanano questo odore così candido, da farmi capire quanto mi mancasse questo posto. Proseguo, udendo il cinguettio degli uccelli e lo scroscio dell'acqua. Alzo gli occhi sul cielo azzurro e poi sul verde degli alberi e del lago, mi accorgo che questi due colori richiamano me e lei. Una giusta combinazione che rende il quadro definito e autentico. Guardo ciò che mi circonda e mi sento in un dipinto realistico di William Turner, e noi ne facciamo parte, siamo i colori dipinti sulla tela, siamo quella giusta combinazione da rendere il paesaggio unico. Mi dirigo verso lo chalet, lentamente la pressione al petto aumenta avvertendo così un senso di nausea improvviso. Il suono della cascata mi riporta istanti vissuti qui, insieme ai fratelli Milani e poi insieme a lei, quel giorno che ha avuto inizio davvero questo travaglio di emozioni. Le sue e le mie paure, la passione, tutto quello che ci circondava mi ha fatto capire che tutto di lei rimarrà sempre dentro di me, sulla mia pelle come un disegno, un tatuaggio, un dipinto. Estraggo la pietra dal muro, so di essere a poca distanza da lei e in un baleno mi viene in mente la sua reazione, mi urlerà contro? Mi caccerà via? Andrà lei via da me?
Sbuffo, scrollo le spalle per mandare via la tensione e in uno scatto apro la porta. È tutto buio, altri due secondi e penso a dove possa essere, e poi noto la luce del terrazzo illuminare le scale. Lentamente faccio le quattro rampe, ho la testa che pulsa e mi rendo conto di non aver mai provato davvero queste emozioni, mi sento come estraneo a quello che il mio corpo sente. La testa e il corpo entrambi confusi, in lotta tra i pensieri e le azioni. Tuttavia, scosto di poco la porta già socchiusa, ed eccola lì, seduta davanti la ringhiera ad osservare probabilmente il lago. Si abbraccia le gambe stringendosi nel suo giacchetto troppo estivo per questo posto. I suoi capelli sciolti vengono mossi dal vento e illuminati dal sole, la rendono ancora più bella mentre con il viso rivolto verso l'alto cerca di scacciare tutto quello che ha vissuto. La porta alle mie spalle, sbatte col vento e lei trasalisce voltandosi improvvisamente verso di me, con gli occhi grandi e blu, sorpresi, stanchi e anche un po' impauriti. Mi ci perderei volentieri nell'abisso dei suoi occhi ma da come mi guarda, credo che lei non voglia più neanche avermi vicino. Sbatte le palpebre più volte, gli occhi sono rossi e gonfi così come il naso, piccolo e proporzionato per il suo viso. «Mi hai fatto spaventare» sussurra, il suono è davvero impercettibile riesco appena a comprendere le sue parole. «Non volevo spaventarti, la porta ha sbattuto per il vento», la informo facendo qualche passo verso di lei, ma rimanendo comunque distante per capire il suo livello emotivo. Annuisce ritornando nella stessa posizione di prima, dopodiché, mi avvio fino alla ringhiera e per qualche attimo osservo tutto il lago facendo dei lunghi sospiri profondi.
«Chi ti ha detto che sono qui?» mi chiede in tono calmo.
Abbasso gli occhi su di lei, ma lei non mi rivolge neanche la sua attenzione, piuttosto guarda gli alberi e inala il buon odore dei fiori. Si stringe le ginocchia al petto e le carezza, in un chiaro sintomo di freddo. Sfilo il mio chiodo abbastanza caldo e faccio per metterglielo sulle spalle, ma il suo modo così repentino di allontanarsi dal mio contatto, mi fanno raggelare. Non vuole che la tocchi neanche? Mi odia così tanto? Tuttavia, il suo sguardo ancora perplesso e spento si rivolge verso il mio chiodo tenuto a mezz'aria. «Puoi prenderlo se hai freddo, io sto bene» dico porgendoglielo.
Lei desiste e commenta con: «Non fare il carino con me», ma quando continuo a sostenerlo perché lei lo prenda, lo afferra portandolo sulle gambe. Si copre per bene poggiando poi il viso sulle ginocchia per sentire forse la morbidezza della pelle. Inala il mio profumo sul giubbotto, lo noto dal pentimento che ha coperto il suo sguardo dopo aver fatto il gesto e da buon egoista, la pressione al petto si rilassa un po'.
Forse non mi odia così tanto, penso.
Mi ribadisce chi sia stato a dirmi che lei era qui al lago e in un sibilo proruppo: «nessuno».
Lei abbozza un sorriso che però non arriva fino agli occhi, scuotendo la testa.
«Se è stata Charlotte d...» mi sta dicendo ma la blocco subito.
«No, le ho chiesto dove fossi ma non ha voluto dirmi niente. Anzi, mi ha detto che dovevo lasciarti sola ma non ci sono riuscito e pensandoci, sarei venuto anch'io qui se avessi voluto evadere dalla realtà».
Il suo sorriso si spegne del tutto, mi dedica una veloce occhiata e tira su col naso probabilmente perché ha smesso di piangere da poco.
Sospiro e mormoro: «Scusami» ma prima di poter proseguire, lei senza ricambiare il mio sguardo dice: «No! Non ho bisogno di scuse».
«So di essermi comportato com...» provo a dire ma mi interrompe ancora.
«No, non lo sai. Non sai come mi sento ogni volta che mi respingi e mi tratti come questa mattina. Non sai cosa mi provoca vederti picchiare qualcuno, anche se ne hai la ragione, non sai che cosa sento ogni volta che mi eviti e mi fai sentire piccola e inutile, mi fai sentire come se non contassi nulla e se invece lo sai, come sto ogni volta che mi tratti in questo modo, sei solo cattivo. Mi fai stare male, e dicendomi in continuazione di volermi stare lontano non risolvi un cazzo Christian, non starò meglio così, soprattutto se decidi l'attimo dopo di ritornare. A te questa cosa di farmi male non ti importa», balbetta tra le lacrime che riprendono a scorrere sulle sue guance morbide e rosse.
«Invece mi importa eccome, faccio tutto per provare a vederti felice» rispondo disperato perché non comprende mai quello che cerco di fare per lei.
Fa un risata amara. «Questo ti sembra volermi rendere felice, Christian? Che cazzo di concetto hai di felicità?» Urla muovendosi freneticamente sulla sedia.
«Non so cosa significa essere felici, non ho mai provato questo fottuto sentimento sulla mia pelle, ma l'unico pizzico di felicità che ho percepito nella mia vita è la tua presenza qui, cazzo!» ammetto senza volerlo, avvertendo poi una sensazione bagnata agli occhi.
Lei mi osserva attonita, poi abbassa lo sguardo e mormora pulendosi il viso.
«Perché ti comporti così? Ti ho chiesto di lasciarmi andare, ti ho detto che sei libero di vedere chi vuoi e ritorni ancora qui... perché?» Mi domanda ormai rassegnata.
Guardo il cielo, il sole e poi tutto quello che ci circonda. «Chiederesti ad un alcolizzato cosa prova quando beve? Cosa lo spinge a continuare pur sapendo che quello che ingerisce potrebbe distruggerlo? Lo fa comunque, anche se prova a smettere, ci ricadrà sempre».
«È una metafora un po' triste, non trovi? Paragonarmi ad una dipendenza, a qualcosa che distrugge, a qualcosa che fa male? Volevi migliorare la situazione... no perché credo che viaggiamo su pianeti differenti» mi dice lei furiosa.
«L'alcol può far male, molto male ma bevuto nelle quantità giuste, nei giorni giusti e in modo moderato, la dipendenza non si crea e rimane solo un bicchiere piacevole da bere magari in compagnia, con la persona giusta», continuo fissando ancora il cielo.
«Dipende dai punti di vita e dal controllo che dai alla vita» concludo.
«Tu vivi di eccessi Christian, è un discorso che non puoi fare a te stesso, come  ad esempio picchiare la gente» mi fa fissandomi seria.
«Io non picchio la gente» sbotto incrociando adesso il suo sguardo accusatorio.
«No?» Fa lei prendendosi quasi gioco delle mie parole.
«No Federica, perdo la testa solo quando un coglione si permette di provocarmi e cercare di umiliarti, ma tu questo non lo capisci. Perché Michael è buono, è un bravo ragazzo pronto ad aiutare il prossimo e invece io sono un bastardo, no? Un bastardo che picchia la gente» ringhio puntandogli il dito contro.
Aggrotta la fronte e si scosta indietro. «Perché l'hai fatto, e cosa c'entra Nicole, chi è soprattutto? E cosa c'entra con voi, perché ti scaldi tanto quando si tratta del passato?» Toglie così tante informazioni fuori che fatico a percepirle tutte.
«Non puoi capire» rispondo semplicemente. «Vedi, continui a tenermi fuori e pretendi che ti capisca e ti comprenda e ti dia ragione, mentre tu mi tieni all'oscuro di tutto, se non vuoi parlarmi rimani solo una persona che picchia la gente» sentenzia.
«Mi hai già fatto capire a chi crederesti dei due» mormoro adesso rassegnato dal fatto che, forse lei è un po' come tutti gli altri.
«Smettila di dare conclusioni e spiegami cavolo» urla spazientita alzandosi in piedi.
«Rispondimi ad una domanda» dico mentre lei continua a sbraitare.
«Voglio spiegazioni Christian, non starò qui ad ascoltare frasi sconnesse e mezze verità» continua ma la zittisco ribandendo la frase.
«Dimmi» grida. «È stato lui a dirti che frequento altre ragazze, no? È stato lui a dirti che sono uscito e chissà cos'altro ho fatto con loro, no?»
«Cosa c'entra adesso» farfuglia confusa.
«Rispondimi!» Esclamo con la voce colma di rabbia.
«Si!» Fa lei aprendo le braccia come se non capisse.
Scuoto la testa ed espiro strattonando il viso con le mani.
«E tu ci hai creduto senza chiedermi nulla, senza darmi il beneficio del dubbio»
«Quella mattina non mi hai rivolto neanche la parola, cosa potevo chiederti? E poi mi pare che anche Luana abbia detto qualcosa a riguardo e non hai negato» borbotta rabbiosa.
«Tu avevi già tratto le tue conclusioni, non mi avresti mai creduto e non avresti chiesto nulla tenendomi il muso, finché non avessi capito da solo che cosa ti aveva fatto soffrire. Sono io quello cattivo nella storia, che ti fa soffrire, giusto?» domando retorico e le volgo le spalle.
«Quando te l'ho chiesto questa mattina, mi hai fatto intendere che fossi solo una ragazzina speranzosa e la realtà è un'altra» mormora con voce tremante.
«È meglio farti credere che sia io il mostro» continuo poggiando le mani sulla ringhiera fredda.
«E allora dimmi, parlami... ti prego... non hai visto nessuno?» Chiede abbassando  improvvisamente i toni, come se avesse paura della risposta.
«Si», ammetto voltandomi verso di lei mentre con la fronte aggrottata cerca di comprendermi. «Tento da quando ti conosco di vedere altre ragazze, ci provo con tutto me stesso e mi ripeto che sei solo un'altra della fila e che quello che mi fai provare, passerà presto.» Comincio, col sangue nelle vene che scorre ad una tale velocità da riuscire a percepire quando e quanto pompa il cuore, che ha paura di ricevere un'altra coltellata.
«E invece no, perché mi fai sentire in bilico, mi trasmetti delle cose che non comprendo, e non riesco mai a capire cosa farai, e come mi farai sentire. Non so cosa mi fai quando mi guardi e ho paura, cazzo, mi fai paura Federica perché sfuggi da ogni mio controllo e non so come gestire quello che mi causi qui, cazzo» urlo toccandomi il petto con forza.
«Le ho viste quelle ragazze ma non ricordo il loro nome e la maggior parte delle volte non riuscivo neppur a concludere un discorso perché eri lì, che mi guardavi con questi maledetti occhi blu e non riuscivo e non riesco a baciarle, o semplicemente a ballarci o parlarci. Non ci riesco e non voglio. Domenica volevo venire da te ma Carlo aveva bisogno di me, e sono dovuto correre da lui ma poi sono arrivate la sua ragazza e questa sua amica, innamorata di me dal primo liceo. Ho provato a parlarci e quando mi sfiorava sentivo un fastidio, provavo quasi dolore e poi pensavo a te, che mi toccavi, mi guardavi e si placava per un po' quella tortura. Ha provato a baciarmi, e ho faticato davvero per non scostarla con troppa foga. Alla fine sono corso a casa, sono scappato, ho fatto una lunga doccia per levarmi quell'odore fastidioso e ho pensato di venire a trovarti ma era troppo tardi, così per sfogare tutta la frustrazione ho corso e la mattina mi sono allenato e il pomeriggio anche. Non volevo che sapessi niente perché ho pensato che non mi credessi, e avevo paura di ammettere quello che mi provochi, e quando ti ho vista parlare con Michael avevo capito tutto. Sapevo che gli avresti creduto, lo sapevo. Quindi ho solo accettato le conseguenze» ho la gola dolorante per lo sfogo.
Schiude le labbra per parlare, tuttavia, percorre lo spazio che ci divide ma non si avvicina. Torna invece a sedersi abbracciando il mio chiodo.
«Sei venuto a pranzo con Mattia, Stefano... perché?» Mi chiede come se non avesse sentito quello che le ho appena detto.
«Devo mantenere l'equilibrio, finché io farò quello che vogliono loro non daranno nessun fastidio a nessuno dei miei amici e a te» spiego.
«Non dovresti accettare nessun compromesso da persone come loro!» Dichiara come se fosse semplice.
«Per te è tutto così semplice, come se schioccando le dita si risolvessero le cose. Non è così, non per uno come me», dico come se non volesse davvero capirmi.
Lei si alza in piedi e vederla così piccola davanti al mio corpo, arrabbiata ma terribilmente adorabile vorrei prenderla con forza e baciarla, dando così tregua al mio tormento.
«Per me le cose sono semplici? La mia vita non è affatto semplice, sembra tutto andare a puttane. Ogni volta che trovo un equilibrio tutto viene spazzato via. Tutto. Vivo di una costante speranza illusoria, e cazzo, sono stanca di averti e poi perderti costantemente. Ti avvicini e poi ti allontani, ad ogni costo cerchi di mandarmi via. Perché? Perché non ci provi? Perché non provi a fidarti di me?» La sua domanda e la sua sofferenza mi colgono di sorpresa.
Ha ragione. Sono un egoista e ho sempre messo al primo posto la sua felicità senza di me, non tenendo conto, che forse in un modo che non so spiegarmi, la mia vicinanza la rende felice. Io la rendo felice. Questa mia costante paura di essere abbandonato e non accettato, a detta dalla terapeuta che cerca di comprendermi ormai da anni, mi porta ad allontanare chi riesce a fare breccia nel mio scudo. Tento in ogni modo di mandarla via, e se riuscissi a fidarmi cosa potrei provare? Un senso di pentimento di queste parole bussano alla mia porta e i demoni si svegliano, sentendo il richiamo della salvezza. Le sbarre della mia gabbia fanno rumore, sbattono, vorrebbero rompersi, ma ci sarà chi ha la chiave senza continuare a farmi male? Non voglio pensarci adesso. Voglio solo avere un po' di lei, ho voglia di baciarla e stringerla a me.
«Adesso ho bisogno di te» mormoro e senza farmi troppe domande le prendo il viso tra le mani e la bacio, la assaporo, la divoro. Necessito di stringerla a me e di sentire la sua essenza sulla mia pelle. «Chris» le sento dire tra i baci. Le escono dei flebili gemiti dalle labbra ma quando in un sospiro mi chiede mi fermarmi, mi blocco e faccio un immediato passo indietro. Barcolla mettendo le mani in avanti per rimanere in piedi, dopodiché, mi guarda sfatta e bellissima mentre io rimango inerme e perplesso con il fiato corto e gli occhi persi. «Non così», mi dice arresa.
«Devi promettermi che domani e dopodomani, e tra una settimana e mai cercherai di allontanarmi! Dovrai essere sincero con me e imparare a non aver paura di me. Non dubitare, perché Chris sai quello che provo per te. Io ti crederò sempre, ma tu devi essere sincero con me», ribadisce.
«Non proverò a venirti dietro, non dopo oggi. Ho bisogno di sapere che anche tu vuoi quello che voglio io. E non sarà facile, nulla è facile ma devi promettermi che le cose saranno diverse, ti prego! Questa è davvero l'ultima volta», brontola sfinita.
«E non ti forzerò a raccontarmi di questa Nicole, di tuo padre, della tua famiglia e del tuo passato... anche se vorrei tanto capire cosa sia appena successo e chi sono tutte queste persone, e perché Michael conosce questi punti deboli. Non ti forzerò a dirmi tutto ora, perché so cosa significa aver paura di ammettere o di accettare un dolore, ma devi provare a fidarti di me. Devi promettermi che tenterai di parlarmi di te, parlarmi della tua vita... perché Chris non ti giudicherei mai, non cercherei mai di farti del male. Ho bisogno di sapere chi e cosa ti ha fatto diventare così, ma non oggi, accetterò di conoscere la storia quando sarai pronto ma, non farmi male, non allontanarmi. È l'ultima volta che ci provo, poi, mi avrai persa per sempre. Non tornerò più indietro», parla con gocce di cristallo rigargli il viso, e mi chiedo perché questa Dea sia nel mio destino. Perché ha questa forma, chi è lei? Perché vuole salvarmi? Perché i suoi occhi mi creano timore e desiderio? Perché sento la necessità di averla vicina? Di scoprire la sua anima, e come fa a placare la mia di anima, che urla e piange da sempre?
Credo che anche lei abbia paura delle emozioni che prova nei miei confronti, anche per lei è tutto nuovo. Quindi, la guardo per un secondo e sinceramente dico: «Mi hai chiesto di essere sincero e lo sarò. Non lo prometto perché ho paura di non riuscire a mantenere e non voglio deluderti ancora, ma cercherò con tutte le forze e le viscere  che ho in corpo di non deludere ogni tuo desiderio. Io non so cosa siamo Fede, non so ancora comprendere quello che mi fai sentire, non riesco a dargli un nome ma vorrei tanto che mi insegnassi a fare chiarezza dentro di me. Vorrei che mi facessi capire cosa significano tutti quei sentimenti che non sono mai riuscito a provare. Insegnami ad amare, ti prego», mormoro, e solo dopo averle dette queste parole riesco a comprenderne il significato. Mi sto davvero lasciando andare a lei?
Abbozza un sorriso che adesso comprende anche quel blu, che mi fa impazzire e in mormorio cinguetta: «Dove eravamo rimasti?».
Mi mordo il labbro inferiore, la prendo di peso e la bacio con tutta la passione e il bisogno che mi circola in corpo. «Andiamo di sotto?» Le chiedo tra i mugolii.
Lei annuisce continuando a incassare tutti i miei baci forti e desiderosi. Scendiamo di sotto ancora avvinghiati, ci perdiamo nella passione facendo incontrare finalmente le nostre anime, dando la pace che tanto bramavano. Ci culliamo le pene e curiamo le ferite. Non ho mai sentito tutte queste emozioni in vita mia e spero di poterle provare in eterno, con lei.

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