Libro 1: 08) Crollo ipertermico

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Avevo visto un angelo e non potevo farmelo sfuggire. Parlo della ragazza dai capelli corti che era entrata in casa mia, Mary. Dopo averla incontrata per la prima volta, mangiai in fretta e furia e ritornai a casa per poterci parlare. Ma il destino non è mai stato a mio favore, figuriamoci. Quando ritornai, con la faccia ancora piena di pomodoro, vidi la luce della sua camera spenta.

"Possibile che sia già andata a letto? Sono solo le dieci!", mi chiesi poggiando l'orecchio sulla porta della sua stanza per poter sentire qualche rumore. Ma tutto taceva. Non mi sono dato per vinto. Il giorno dopo, verso le undici del mattino, mi svegliai, presi una sedia e la misi di fronte il portone. Avrei aspettato il suo ritorno così da conoscerla di persona. Linda non era in casa e Andrea era in camera sua; mi trovavo solo con quell'angosciante attesa. Volevo rivedere il suo bel visino e poter ammirare i suoi stupendi occhi. Tralasciamo il fatto che la sto aspettando come uno stalker. In fondo sono romantico. Di fronte alla porta mi ero portato anche il computer, giusto per ammazzare il tempo e per potermi finire di vedere la nuova stagione di "Once upon a time". Quella maratona di fronte alla porta durò quasi sette ore. Finché Satana non mi chiamò.

«Ciao, mamma...», dissi con occhi spenti e stanchi per la giornata passata di fronte lo schermo del computer. Avevo le occhiaie e mi ero nutrito solo di caramelle. Anche una doccia non mi avrebbe fatto male.

«Che mi dici, stai cercando?»

Lì per lì non capivo cosa mia madre volesse domandarmi. Ero assorto nel telefilm e stavo quasi per appisolarmi.

«Stai cercando cosa?», mi pentii subito di quella risposta. Sono un tipo furbo, dovevo capire al volo che cosa voleva da me. Tremotino mi aveva distratto dal vero male che stava dall'altro lato della cornetta. E usò le mie parole come pretesto per potermi dire che sono un incapace. Ovvio.

«Lo sapevo... Stai a Roma da giorni e ancora non ti sei scomodarti dal letto e a cercare un lavoro!», le urla di mia madre erano così forti che non mi serviva più il telefono per sentirla. La sua voce arrivava altisonante direttamente da Taranto. "Scomodarmi dal letto? Ma se sono in corridoio ora...", pensai. Però, non aveva tutti i torti. Il mio obiettivo principale della mia "nuova" vita a Roma doveva essere quello di trovarmi un lavoro o di cercare un corso di studi. Non avevo fatto molto in quei giorni in cui ero stato autosufficiente. Mangiare, dormire e sbavare non mi avrebbero mantenuto a vita.

«Stai calma. Domani devo andare a fare un colloquio per lavorare al centro commerciale.», mentii spudoratamente sperando che il telefono riuscisse a coprire l'allungamento del naso.

«Ok. È un inizio...»

La telefonata non durò molto per mia fortuna, e gli urli calarono verso la fine. Le mie orecchie mi erano grate quando attaccai. Non riuscivano più a sopportare i decibel provocati da Satana. Passarono altre quattro ore di attesa di fronte l'ingresso, quando, esausto, ero in procinto di crollare. La pancia brontolava a causa delle caramelle e gli occhi piangevano a causa della stanchezza. Dovevo andare a dormire a tutti i costi, ma se mi fossi mosso avrei buttato tutta quella giornata nel cesso. Cosa dovevo fare? Rimasi lì finché non stramazzai sul pavimento...

Ero sul mio letto quando mi risvegliai, non sapevo come fossi finito sotto le coperte e avevo la testa che scoppiava. Ogni mio dubbio, però, fu cancellato da un foglio scritto a mano e da una Psp posta sulla sedia al fianco del letto.

"Hai la febbre a 38. Dormi, mangia e prendi la tachipirina. Non cancellarmi i salvataggi. Andrea."

A quanto pare Andrea mi aveva preso di peso e, messo sotto le coperte, mi aveva lasciato una bottiglia d'acqua e un panino con il petto di pollo ben confezionato sotto la sedia. Senza dimenticare la confezione di pillole di tachipirina e un termometro ascellare. Aveva pensato proprio a tutto. Anche il fatto che mi aveva preso di peso, voleva dire che era abbastanza forzuto e ben piazzato. Avevo già accennato al mio fisico da finto anoressico, ma comunque non era semplice sollevare un giovane di settanta chili, alto un metro e settantotto e imbottito di caramelle.

"Sembra quasi mia madre", pensai sorridendo al bel gesto del mio coinquilino e addentai il panino che mi aveva preparato. Almeno qualcuno sapeva cucinare in quella casa, a differenza mia. La stanchezza e il mal di pancia non erano causate dallo schermo del computer, bensì dalla febbre. Ecco perché mi sentivo male. Di certo mangiare schifezze non ha aiutato in quel momento.

«Quel che è fatto è fatto...», dissi notando il disegnino di una linguaccia sul retro del foglio di Andrea. A quanto pare gli piaceva prendermi un po' in giro. Ma dovevo ringraziarlo. L'avrei fatto, prima o poi. Ora come ora, non avevo la forza per alzarmi dal letto. Perciò accesi la console e presi a giocare a "Kingdom Hearts: Birth by sleep", il gioco che Andrea mi aveva lasciato.

«Molto divertente. È fortunato solo che io adori questo gioco...»

Il titolo del gioco calzava a pennello con lo stato soporoso in cui mi aveva trovato. Il suo senso dell'umorismo calzava a pennello con il mio. Mi sarei trovato bene con lui. Anche se il suo fare da asociale contrastava troppo con uno spirito libero come il mio. Certo... Non esco mai la sera di casa con altra gente, vedo un sacco di serie TV, non ho molte amicizie e non ho una ragazza. Ma ciò non fa di me un ragazzo asociale...

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