Libro 2: 17) Redenzione dall'inferno

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Ci vollero nove ore per far recuperare il sonno perduto, durante il viaggio, ad Andrea. Saltò il pranzo e buona parte del pomeriggio a causa della stanchezza ed i miei genitori faticarono non poco per mantenere il silenzio necessario per non svegliarla. Casa mia era sempre un baccano infernale. Urla, televisori, lavatrice, aspirapolvere, chiacchiere tra vicine e sciacquoni rumorosi erano i pericoli più grandi per i "ronfatori" della casa. In quasi vent'anni di vita, non ricordo nemmeno una volta di essermi svegliato dopo le otto del mattino, a causa di questi "pericoli". Un po' perché i miei genitori si dimenticavano dell'esistenza dei figli, quando dormivamo, quindi non si facevano scrupoli a parlare ad alta voce al telefono, ad invitare gli amici per un caffè, a sbattere rumorosamente le porte, a passare l'aspirapolvere ed ad accendere la lavatrice, un po' perché a mia madre serviva il balcone che si trovava al di fuori della mia stanza la mattina. Dovete sapere che la mia stanza si affaccia sul sole che sorge, perciò la mattina è il momento perfetto per stendere i panni e farli asciugare al sole fino alle dodici. Proprio per questo motivo, mia madre svegliava sia me che mio fratello solo per poter far passare lo stendino e non sprecare neanche un prezioso raggio di sole. Le migliori occhiaie ho avuto in quei anni...

« Alla buonora. »

Questo era il solito saluto che belzebù elargiva a chi si svegliava tardi. Sinceramente parlando, non poteva aspettarsi di trovare la rossa sveglia dopo un'ora o due, dato che sia era addormentata alle nove del mattino e si era svegliata alle sei del pomeriggio. Ma, questo "buongiorno", lo faceva anche se ti svegliavi alle nove, quindi nessuno ci fece caso. Tranne Andrea, che si sentì in imbarazzo a causa di tutto quel dormire.

« Porto Andrea a fare un giro per la città. Prendo la macchina. »

Dissi per evitare un crollo psicologico della mia ragazza. Non le avrebbe fatto male una visita turistica di Taranto e, in tal modo, avremmo potuto stare un paio d'ore da soli. Peccato, però, che non ci siano tante cose "belle" da far vedere in questa città. Oltre il ponte girevole, con i relativi mari, ponte vecchio, la parte vecchia e storica di Taranto, il lungomare, via di Palma, piazza della vittoria, via d'Acquino e la Concattedrale di Taranto, il resto non fa parte della zona "turistica". Avrei anche potuto farle vedere il museo di Taranto, ma era sempre chiuso o poco curato a causa di mancanza di fondi. Qualche tempo fa, l'Ilva si era offerta di finanziare il museo, così da dargli una nuova vita. Ma i tarantini hanno gridato allo scandalo. Non potevano permettere che una cosa "malvagia" come quell'industria potesse dare soldi al museo. Una volta tanto che cercavano di fare qualcosa di buono... Potevo anche portare Andrea sulla litoranea per farle vedere il tramonto sul mare. Ma siamo a Dicembre e non ci sarebbe stata un'anima viva, in questo periodo, in quella zona. In più si sarebbe crepato dal freddo, dato che a Taranto, oltre all'umidità perenne, dovevamo anche sopportare i venti freddi che ti spaccano le ossa e la lacca dei capelli. Non potevo mai portare i capelli lunghi in questa città, perché altrimenti se ne volavano per conto loro anche se coperti con un cappello. Poi, la litoranea tarantina, non stava proprio a Taranto, ma a venti minuti di distanza dalla città. E non valeva la pena muoversi solo per vedere una località che mostra il suo massimo splendore solo l'estate, sebbene sia sempre piena di ragazzi di sedici anni che si credono adulti.

« Non c'è altro da vedere? Non possiamo fare avanti ed indietro per la via del centro per tutta la serata. »

Ed aveva ragione, ma, sebbene le decorazioni natalizie fossero belle da vedere, la serata tipica del tarantino medio consisteva proprio nell'inesorabile passeggiata in centro, con annesso panzerotto e Raffo durante un tragitto e l'altro. La Raffo era la birra tipica tarantina. Venduta a Taranto e prodotta prima a Bari, fino a qualche anno fa, e poi a Roma. Peccato che solo in tre città si poteva trovare questo "pregiato" nettare degli dei... A Taranto, a Chieti ed a Pisa, ovvero nelle "colonie" tarantine d'Italia. E le chiamo colonie non perché sono state fondate da tarantini, ma perché l'80% dei maturandi tarantini vanno a studiare in queste tre città. Vi dico solo che ho una ventina di amici a Pisa, solo della mia età, ed un'altra decina a Chieti. Data l'affluenza pugliese, i bar e le pizzerie si sono attrezzate con la loro birra tipica per triplicare i guadagni. Manco fosse la birra migliore del mondo... Ma torniamo alla storia, che forse è meglio. Anche se potrei dilungarmi per capitoli interi sulle critiche da muovere contro la mia città natale, ma poi parlerei troppo ed i tarantini se la prenderebbero con me perché "deturpo l'immagine della città". Come se l'Ilva non facesse già abbastanza. Il "tour" del centro terminò con uno dei luoghi più traumatici per la mia psiche: il liceo scientifico Battaglini. Luogo in cui ho sputato sangue, anima ed inchiostro per ben cinque anni. Luogo infernale che premiava solo i migliori e dava calci nel culo a chi non si impegnava o chi si lamentava. Luogo in cui anche un banale sei ad un'interrogazione, poteva rivelarsi vitale. Sono molto orgoglioso del mio liceo, anche se per due anni di fila ho preso debiti su debiti in inglese ed in fisica. È uno dei pochi posti che ha temprato il mio carattere e mi ha fatto abituare al "combattimento" lavorativo ed universitario. Le scuole superiori sono fondamentali per la formazione futura. I professori stronzi ti insegnano che la vita è dura e che devi faticare per ottenere anche i più piccoli risultati, soprattutto se non hai raccomandazioni. I compiti infiniti ti serviranno per affrontare i pesanti carichi di studio dell'università o le interminabili ore lavorative. Un buon liceo ti formava e ti dava un'istruzione base che poi si sarebbe dovuta evolvere con l'università. Mentre un liceo facile ti rendeva molle e non ti dava stimoli per dimostrare ciò che tu eri o ciò che tu volevi diventare. Non farò nomi di licei che considero schifosi, ma vi dico soltanto che la maggior parte dei tarantini usciti da essi non ne escono al meglio. Se sono fortunati trovano dei lavoretti o si iscrivono all'università di Taranto. Solo in pochi hanno il coraggio di elevarsi dalla melma e di tentare una via molto più difficile e più complicata. Ma, per fortuna, quei pochi riescono a sopravvivere. Mi dispiace dirlo, ma la maggior parte dei ragazzi tarantini non hanno spina dorsale. Per anni si lamentano dello studio e della vita che fanno qua a Taranto e poi desiderano entrare in Marina o all'università di Taranto che, per me, è come se fosse un secondo liceo. Nulla da togliere all'università tarantina, ma mi sono arrivate delle voci poco rassicuranti da gente che la frequenta. Ma la vera morte di questa città non era l'università. E neanche l'Ilva. La morte di questa città era la Marina. Ogni anno ci sono migliaia di ragazzi che sognano di entrare nelle forze armate e che, pur di fare un anno di VFP1, si venderebbero la madre. Per migliaia di "sognatori", c'erano soltanto una centinaia di posti che ti garantivano un anno di lavoro, ma, alla fine, ti ritrovavi di nuovo al punto di partenza. Conoscevo ragazzi che continuavano a tentare i concorsi e che erano fermi da cinque anni senza fare nulla. Ma il loro "sogno" era quello di entrare in Marina. No... In pochi sognavano di entrare nelle forze armate. In molti sognavano il posto fisso, a cui solo una decina di reclute potevano ambire e che, di solito, era sempre occupato da qualche raccomandato. Non vi avevo detto che mi sarei fermato nel parlare male della mia città e che avrei continuato la storia? Mentivo! È stato più forte di me...

« Questa è una delle cause dei tuoi incubi? »

Mi chiese Andrea proprio quando mi persi nei miei pensieri.

« Si... Questo liceo, la mia famiglia, la Mondadori, Dragonball Super e Rosario Muniz... Tutti hanno contribuito, chi più e chi meno, alla creazione dei miei brutti sogni. »

Andrea rise di gusto e ciò mi fece uno strano piacere. Ero contento con lei ed ero felice di vivere a Roma. Lontano da tutto lo stress che Taranto mi aveva donato nei primi diciannove anni della mia vita. Lontano dalla morte che stava pian piano divorando la mia città. Lontano dalla chiusura mentale che vigeva ancora in alcune parti d'Italia, dove se ti piacevano i cosplay o i fumetti venivi deriso dalla società. E, soprattutto, lontano dall'ignoranza dei cozzari tarantini che minava profondamente la mente della società di Taranto. Vi ricordate la cosiddetta "Cacciata dal paradiso"? Forse l'avrei dovuto nominare in un'altro modo il primo capitolo di questa storia: "Redenzione dall'inferno".

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