Jo

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Il ventre di un miserabile ha più bisogno d’illusioni che di pane.》
[Georges Bernanos]

Quando Liria riprese conoscenza, tutt'intorno a lei pareva essere fuoco, una fiamma inestinguibile in grado di bruciare ogni cosa. No, non era l'inferno. Lei non era morta, anche se ci mise un po' a capirlo. Era stesa su un letto, girata su un fianco, e la stanza che la ospitava era totalmente dominata dal colore rosso. Le pareti, le lenzuola da cui era coperta, i quadri che ancora non riusciva a mettere a fuoco...

Cercò di alzarsi: non era certa che ce l'avrebbe fatta, ma sentiva che il corpo era tornato davvero suo, così come la sua testa. Fece per tirarsi su, ma avvertì una brusca stretta al polso. Spostò lo sguardo su di esso: manette. Era stata ammanettata alla testiera del letto, in modo che non potesse muoversi. Sbuffò. Avrebbe voluto piangere, gridare, lasciarsi prendere dal panico, ma non lo fece. Non in un primo momento, almeno. Fare la ragazzina isterica, si disse, avrebbe solo peggiorato la sua situazione.

Si girò sull'altro fianco, e il sangue le si gelò all'istante nelle vene. Iniziò a respirare sempre più velocemente, in modo irregolare, fino ad arrivare all'iperventilazione. Le sue orecchie fischiavano, il cuore pareva impazzito. La mora si mise a scalciare, a dimenarsi, tentò di liberarsi da quelle manette che la tenevano incatenata al letto, finendo per farsi davvero male. Dal suo polso scorrevano lungo tutto il braccio rivoli di sangue scuro, che andavano a macchiare il cuscino sotto la sua testa.  Non era lucida, non lo era per niente. Provava solo un enorme, sconfinato, maledetto terrore.

Raiden entrò nella stanza con un calice di Champagne in mano. Scosse la testa ridendo, poi posò il bicchiere su un tavolino.

"Piaciuta, la sorpresina?" Domandò, sedendosi sul bordo del letto. "Credevo che al tuo risveglio ti avrebbe fatto piacere trovare un volto famigliare..."

Vicino alla mora, il corpo esanime di Liam giaceva freddo, rigido come una lastra di marmo. Il buco che aveva in mezzo alla fronte faceva intendere l'intervento di un'arma da fuoco, probabilmente una pistola utilizzata da Raiden stesso. Gli occhi del ragazzo erano aperti, vitrei, fuori dalle orbite, ma ancora conservavano quel colore chiaro e ipnotico che lo caratterizzavano. La sua pelle era bianca come le notti che Liria avrebbe passato al ricordo di quell'immagine, e le labbra secche e livide. Con un movimento brusco del braccio, Raiden spinse il corpo giù del letto, e lo mosse con il piede, senza mostare un minimo di rispetto, un briciolo di compassione o di umanità, facendolo girare a pancia in su. Liria si voltò dall'altra parte, con le parole che le morivano in gola: non poteva più sopportare quello strazio.

"Guardalo." Le impose Jensen. "Guarda che fine fanno le persone che cercano di proteggerti! Sei tu l'assassina, qui! Tu semini morte ovunque vada!"

La mora tratteneva a stento le lacrime. Raiden le prese il viso con una mano, costringendola a guardare il cadavere sul pavimento.

"Ti senti impotente, ora? Lo sei. Lo sei sempre stata, troietta! Una stupida bambina presuntuosa che si illude di contare qualcosa, ma non è così. Mi hai sentito?! Non vali un cazzo, tu non vali un cazzo! Qui comando io, adesso. La tua inutile vita è sul palmo della mia mano, e se stringo anche solo un po', tu muori! Perché tu non sei nessuno, hai capito? Nessuno."

Prese il bicchiere di Champagne dal tavolino su cui l'aveva poggiato, e lo lanciò per terra con violenza. Liria tentò di proteggersi il volto con le mani, ma qualche scheggia di vetro le graffiò le braccia e le gote.

"Savannah!" Urlò l'uomo. "Vieni qui, cazzo!"

Nella stanza entrò una donna dai capelli come la pece e gli occhi scuri. Pareva avere una trentina d'anni, ma l'eccessivo trucco che aveva sul volto rendeva quasi impossibile stimare un'età certa. Indossava un vestito rosso vertiginosamente corto, perfettamente in tinta con il rossetto, e un paio di scarpe con il tacco che parevano trampoli.

Rebel [Jughead Jones]Where stories live. Discover now