L'inizio della fine

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Che cosa si può, che cosa si deve fare di tutto il tempo che ci sta davanti, aperto e informe, lieve come una piuma nella sua libertà e pesante come il piombo nella sua incertezza?
[Pascal Mercier]

Guardava fuori dal finestrino in totale silenzio, senza dire una parola, gli occhi fissi sulla moltitudine di immagini che, metro dopo metro, poteva scorgere, senza impegno, senza volerlo realmente. Nel cuore, in un angolo remoto che si asteneva dal mostrare al mondo, era insidiata la speranza di poter vedere ancora un pizzico di paesaggio famigliare: un palazzo malandato, dei graffiti, un vicolo che di notte non avrebbe mai percorso da sola, qualcosa che le ricordasse la città, la sua città. Eppure niente.

Davanti a lei solo la strada, talmente dritta da darle ai nervi. La sua famiglia non era mai stata silenziosa, non si era mai distinta per la sua quiete, ma, in quel momento, nell'abitacolo della macchina risuonavano solo lievi respiri, quali di rammarico e quali colmi di sensi di colpa, tutti egualmente determinati da un profondo malessere inespresso.

Chissà per quanto ancora sarebbe andata avanti così.

Erano in viaggio da ormai tre ore, e nessuno aveva ancora proferito parola. Più volte Jake aveva cercato di iniziare una conversazione come se niente fosse per smorzare la tensione, o forse per mettere tacere almeno temporaneamente il tarlo che non concedeva pace alla sua coscienza.

Proprio non riusciva a reggerla, quella tensione, quel senso di vuoto che continuava ad espandersi all'interno della vettura, ma, con tutte le buone intenzioni di colmarlo, era riuscito ad ottenere solo qualche gomitata da Tom, che molto probabilmente aveva notato i molteplici sguardi contrariati della ragazza.

Ad essere sinceri, l'unica cosa che lei avrebbe potuto dire in quel momento erano insulti, parole cariche di rancore e di un odio che, in ogni altra circostanza, avrebbe affermato con irremovibile certezza di non provare. E non perché fosse particolarmente aggressiva o bellicosa, non con i suoi fratelli, almeno, ma, come ormai tutti avevano potuto constatare, non era lucida. La sua razionalità era completamente offuscata da una rabbia tale da farle ribollire il sangue. E, con tutta probabilità, qualunque frase fosse uscita dalla sua bocca l'avrebbero solo fatta sentire peggio, lasciandole conti in sospeso da risolvere e sensi di colpa con cui avere a che fare in futuro.

Così si teneva tutto dentro, ogni cosa, ogni pensiero, come ormai era abituata a fare, ma non tentava di nascondere il suo malessere. Dopotutto, viste le circostanze, il suo non le pareva un comportamento così ingiustificato. Come diavolo gli era venuto in mente di dirle del trasferimento con una sola settimana di anticipo?

*Inizio flashback*

Liria era sdraiata sul letto, come era suo solito nelle ore più calde delle giornate estive, quando il sole rendeva incandescente l'asfalto dissestato della città, e lo smog della metropoli appesantiva l'aria tanto da farla sembrare piombo nei polmoni di chi era abbastanza coraggioso da mettere il naso fuori casa.

Effetto serra a parte, la verità era che, talvolta, tutto ciò di cui la ragazza aveva bisogno era un po' di sana solitudine, qualche istante lontana dal caos, immersa completamente in un silenzio che molti, probabilmente, non avrebbero retto a lungo, ma che lei trovava indescrivibilmente perfetto.

New York, dopotutto, era irrimediabilmente vorticosa, frenetica, e non sempre l'epiteto《la città che non dorme mai》poteva avere un'accezione positiva. Non per un animo solitario fino al midollo, almeno. Non per chi a mala pena è in grado di reggere la confusione nella propria testa, e necessita di riflettere quanto di respirare, per non perdere il senno.

Rebel [Jughead Jones]Där berättelser lever. Upptäck nu