12. Fiamma

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Lunedì 8 ottobre, 2018
12:16

Io e l'ansia eravamo state da sempre ottime amiche. Ci conoscemmo all'età di tre anni, il mio primo giorno di asilo quando, entrando nella piccola aula colma di banchi veramente troppo bassi e sedie striminzite, avvertii una sensazione di pesantezza sul cuore, come se un grosso macigno si fosse posizionato proprio lì, a schiacciarmi il petto.

In quello stesso momento arrivarono anche i tremori di braccia e gambe, a far compagnia al senso di oppressione che provavo. Vidi tanti piccoli folletti che giocavano animatamente tra di loro e mi sentii smarrita. Intanto ciò che percepivo dentro di me continuava a svilupparsi.

Ero ancora una bimba e non capivo. Non sapevo che quelli fossero i sintomi dell'ansia, ma imparai col tempo a conviverci.

Lo capii a tutti gli effetti, di cosa si trattava, circa sei anni dopo: era la sera precedente al primo giorno di scuola di quarta elementare e confessai a mio padre quanta agitazione avevo in circolo.

Mi spiegò che quelle sensazioni potevano essere raggruppate in un'unica parola: ansia.

Quella sera finalmente la mia compagna aveva un nome, ed io potevo accettarla con più facilità, potevo accoglierla nella mia vita nonostante non portasse nulla di buono.

Ma avevo capito anche, che le emozioni negative, diventavano meno dolorose se permettevo ad esse di abbracciarmi e di lasciarmi trasportare.

Così, quel lunedì mattina durante la lezione di filosofia, la mia amica di vita si era presentata per l'ennesima volta dentro di me, quando in tutta la scuola si era propagato il suono assordante dell'allarme del terremoto o antincendio.

Non potevo ancora distinguerli dato che avevo cominciato in quell'istituto da troppo poco tempo.

In ogni caso sobbalzai per la sorpresa ma anche per lo spavento che potesse succedere davvero qualcosa di brutto. In quel momento un insieme di vocii si levò in tutta la classe e un frastuono di sedie allontanate e banchi spostati mi perforò i timpani unendosi al trillo della campanella d'allerta.

Molti studenti si alzarono in piedi in preda all'agitazione. La confusione si riversò nella grande classe in pochi istanti, e il panico mi colpì, come una secchiata di acqua ghiacciata in pieno viso.

La professoressa si apprestò a ripristinare l'ordine con qualche gesto della mano e qualche parola sussurrata, o forse ero io che non riuscivo a sentirla a causa del frastuono.

Quando l'allarme cessò, la voce dell'insegnante risuonò chiara al mio udito.

«State calmi, ragazzi. È solo una prova di evacuazione. Il preside aveva già avvisato i docenti. La campanella che avete appena sentito è l'avviso antincendio e noi non dobbiamo far altro che metterci tutti in fila ed uscire sul cortile interno. Arrivati lì ci posizioneremo nella sezione riservata alle classi quarte. Tutto chiaro?» ci spiegò lei con assoluta pacatezza.

Dopodiché aprì la porta e notando altri studenti fuori dalle classe, ebbe la conferma che si stesse svolgendo sul serio una prova di evacuazione.

Ci fece uscire dalla classe in coppie ordinate per poi dirigerci in cortile. L'aria mite d'autunno mi invase le ossa. In quelle due settimane non ero mai stata lì, ero a conoscenza solo della parte esterna.

Lo spazio interno si suddivideva in due zone: quella in cui eravamo radunati tutti durante la prova, ed una parte non totalmente visibile ai miei occhi da dove mi trovavo, nella quale si estendeva un grande -supposi- campo da calcio.

Riuscii ad intravedere anche una fila di spalti: magari avrebbero avuto luogo delle partite e la gente doveva pur avere una postazione da cui assistere.

Non giocare con il fuoco Où les histoires vivent. Découvrez maintenant