6. Non è bellissimo?

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Martedì 25 settembre, 2018
7:12

Quella mattina il vento soffiava leggiadro, accarezzandomi la pelle delle braccia scoperte e provocandomi piccoli brividi.

Afferrai la mia felpa grigia dallo zaino e me la infilai in un attimo per scaldarmi.

Era un giorno come tutti gli altri ma al tempo stesso, percepivo una strana sensazione, come se la realtà intorno a me fosse diversa, distorta.

Quasi come se l'intero meccanismo che mette in funzione in mondo, fosse stato danneggiato.

Quel martedì avevo persino dimenticato l'orologio sulla consolle del salotto, poco prima di uscire, un gesto mai capitato in precedenza; adesso infatti, non avevo idea di quanto altro tempo avrei dovuto aspettare fuori dalla scuola, prima che la campanella ci desse il via ad entrare.

In ogni caso, dedussi fosse ancora troppo presto: nessuno a parte a me si trovava lì, in attesa del suono della campana, ciò che rappresentava per me, un'altra situazione inspiegabile.

Poco dopo, visto che avevo preso a tremare per il freddo, decisi di addentrarmi all'ingresso dell'Artemidis, le cui porte erano, ora, misteriosamente aperte.

M'incamminai a passo felpato, frastornata da quell'ambigua circostanza, quando qualcuno mi afferrò il braccio e mi strattonò di lato.

Il mio cuore balzò in aria e in una frazione di secondo mi ritrovai addosso lo sguardo penetrante della ragazza. Trattenni il respiro.

«Dove stai andando?» mi chiese accennando un sorriso e lasciandomi andare il braccio.

«Tu dove credi che stia andando?» ribattei, colta da un improvviso istinto di coraggio.

Nei dintorni dell'edificio scolastico, non vi era nemmeno l'ombra di qualcuno: solo io e lei, occupavamo e condividevamo quello spazio.

Anche i rumori esterni, ad un certo punto, cessarono ed un silenzio fastidioso calò su di noi.

Il cielo era scurissimo, coperto da un manto di nuvole fitto e pesante.

La ragazza si sporse ancor di più verso di me e avvicinò le sue labbra al mio orecchio. «Vieni con me» sussurrò.

Dopodiché mi prese per mano, contro la mia volontà e mi trascinò con sé lontano dall'Artemidis.

La sua mano era grande e freddissima in confronto alla mia, e più cercavo di svincolarmi dalla sua presa, più i miei sforzi erano vani.

Una voce nella mia testa mi ossessionava per chiederle dove mi stesse portando, ma anche il mio impegno a far uscire le parole, sembrò inutile.

Avevo molte domande da rivolgerle, compreso quale fosse il suo nome o perché mi stava trascinando così distante dal punto in cui ci trovavo prima, ma non riuscivo ad emettere un singolo suono.

Per un attimo credetti di impazzire in seguito alle numerose stranezze accadute; in più il mio cervello stava dimostrando un'incapacità di ricevere informazioni e io cominciavo a sudare freddo.

Poco più tardi, giungemmo in un parco in prossimità della scuola, che non ricordavo nemmeno esistesse.

Era un posto completamente deserto e piuttosto malandato: gli alberi che circondavano quel luogo, erano spogli, quasi privi di linfa vitale, le cui ramificazioni davano la sensazione della fitta rete di arterie cerebrali; uno scivolo malridotto e ricoperto di foglie secche, giaceva poco più in là, tra ciuffi d'erba arida; di un altro più distante, invece, era rimasta solo la scaletta in legno.

Non giocare con il fuoco Hikayelerin yaşadığı yer. Şimdi keşfedin