20. Rischi del mestiere

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Venerdì 24 ottobre 2018
14:02

Fin dalle elementari, avevo sempre provato un amore sconfinato verso il venerdì, tanto da considerarlo il mio giorno della settimana preferito. Per molti era il sabato o addirittura la domenica, solo per poter pranzare in compagnia di familiari e parenti.

Io invece non la pensavo affatto in quel modo.

La domenica per me era solo una giornata di noia smisurata, che sfociava infine all'orribile pensiero di dover tornare a scuola il giorno seguente.

Il sabato, giorno di totale riposo, passava così in fretta che non riuscivo neanche a saltare di gioia per quelle ventiquattr'ore di relax, che già era tutto finito.

Ed ecco che rimaneva il venerdì. Se la mattinata era impegnata per via della scuola, a partire dalle due del pomeriggio in poi, l'ansia, lo stress e la stanchezza, si dissolvevano per lasciare spazio a sensazioni di quiete, felicità e spensieratezza.

O almeno, per me era così. E lo era anche quel venerdì.

Uscendo da scuola, mi scrollai di dosso la pesantezza di quella giornata, mentre l'aria fresca mi pungeva il viso ed il sole lo illuminava, facendo brillare anche il mio umore.

Non avevo visto Eva né gli altri quella mattina e non avevo la minima intenzione di cercarli. L'unica cosa che desideravo era tornare a casa alla velocità della luce, pranzare e gettarmi sul letto senza alzarmi prima dell'ora di cena.

Ciò che però non sapevo, era che le cose sarebbero andate diversamente.

Fin troppo diversamente.

Notai Fiamma attraversare il parcheggio dei motorini e salire sul suo poco dopo.

Vederla, distrusse ogni mio precedente programma pomeridiano, che andò in frantumi come una torre di carte ad un soffio d'aria. Solo lei aveva importanza in quell'istante e non ci volle molto per ritrovarmi a pochi passi dalla sua chioma liscia e bruna, che aveva appena nascosto sotto il casco.

La fermai giusto in tempo, prima che mettesse in moto e partisse.

«Aspetta» le dissi.

Fiamma sbuffò, quando si accorse di me e fece roteare gli occhi al cielo.

«Sempre a gironzolarmi intorno eh? È diventato il tuo hobby per caso?» domandò lei brusca, come sempre.

Sei diventata la mia droga, non posso più fare a meno di te, avrei voluto rispondere.

«Se solo fossi un po' meno misteriosa, giuro che ti lascerei stare. Ma voglio andare fino in fondo a tutta questa storia.»

«Sai che non ti renderò il gioco facile» annunciò con un sorrisetto malevolo.

«L'ho notato» affermai mettendo il broncio.

Quella ragazza era terribilmente stronza e insolente ma irresistibile. Tutto di lei mi affascinava: ogni sua parola, per quanto scortese potesse essere, il tono della sua voce, ogni suo gesto o mossa e persino quell'alone di oscurità e segretezza che la attorniava.

Poi, in una frazione di secondo, mentre ruotava il viso verso sinistra dopo aver sentito degli schiamazzi in quella direzione, mi accorsi di qualcosa sul suo volto.

Un grande livido violaceo si estendeva sullo zigomo destro, parecchio gonfio e, ne fui quasi sicura, molto dolorante. A quella vista, spalancai le palpebre esterrefatta.

«Che cazzo hai in faccia» sbraitai, riportando di nuovo la sua attenzione su di me.

Lei fece una smorfia di dolore, come se le mie parole avessero riprodotto alla perfezione il ricordo di ciò che le aveva procurato quell'ematoma.

Non giocare con il fuoco Where stories live. Discover now