2. Quel nome

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Mercoledì 12 settembre, 2018
9:05

Fiamma.

Quel nome giunse chiaro alle mie orecchie per la terza volta quella mattina, mentre mi aggiravo per i corridoi della nuova scuola.

Era incredibile come tra la moltitudine di liceali ancora sconosciuti, si parlasse -o forse sparlasse- di qualcuno in particolare, addirittura in modo spropositato. Sussurri inquietanti, chiacchiere disinvolte e persino serie discussioni avevano come oggetto quella ragazza.

Ma perché mi stupivo tanto?

D'altronde, prendere di mira una persona perché fosse brutta, grassa, troppo magra, troppo alta o bassa, e chi più ne ha, più ne metta, era un tipico comportamento adolescenziale. Uno dei tanti e stupidi che caratterizzano quegli adolescenti che non sanno mai guardare se stessi, preferendo farsi beffe dei più deboli.

Chissà allora, cosa aveva di così speciale o di così ridicolo, questa Fiamma per suscitare tanto interesse da parte del mondo studentesco dell'Artemidis?

Mi chiesi quali e quanti misteri si potessero celare dietro un semplice nome. Che poi io non la pensavo così in realtà.

Mi piaceva credere che ogni nome possedesse una sua specifica peculiarità, che lo rendeva unico e singolare. Inoltre sapevo che ad ognuno di essi, era attribuito un proprio significato e che probabilmente, poteva capitare, era associato un simbolo.

Lo trovavo entusiasmante, per niente banale o sciocco.

E quel nome in particolare, Fiamma, così insolito e poco diffuso, al solo sentirlo pronunciare mi faceva venire la pelle d'oca, nonostante per me non avesse ancora un volto. Percepivo la sua energia, il suo ardore e la sua magnificenza.

Ma non solo.

Aveva uno strano effetto su di me, come se più il mio udito cogliesse le lettere una accanto all'altra formare quel suono e più ne venivo attratta. Era come il canto delle sirene nelle leggende: soave, dolce e ammaliante per qualsiasi essere umano, che in seguito piombava, ipnotizzato, tra le sue grinfie spietate.

Sperai almeno di non ricevere quella stessa fine e mentre distoglievo la mia mente da quell'inverosimile pensiero, mi avviai alla seconda lezione della giornata.

10:02
L'ora antecedente alla pausa di socializzazione, più comunemente definita da noi ragazzi, "ricreazione", mi aspettava laboratorio di arte.

Non avevo ancora avuto modo di conoscere gran parte delle aule e dei piani dell'istituto, considerando che lo frequentavo da troppo poco tempo.

Non ero in grado di trovare quasi nessuna classe, senza che qualche collaboratore scolastico o qualche professore, si proponesse di accompagnarmi. E per fortuna era capitato un paio di volte quando mi trovavo in estrema difficoltà e ciò mi aveva evitato di arrivare in ritardo.

In quel momento, il mio sguardo vagava e scandagliava tutte le etichette delle porte, alla ricerca di quella con su scritto "laboratorio artistico", ma il mio compito cominciava a diventare difficile.

Soprattutto quando i miei coetanei percorrevano i corridoi con il mio stesso obiettivo, producendo sempre più confusione.

«Ti serve una mano?»

Non giocare con il fuoco Where stories live. Discover now