46. Canker Blooms

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<<A quanto pare tutto finisce proprio come è iniziato,>> Duccio era seduto in una posa insolitamente rigida all'interno del burchiello, le mani erano poggiate sul velluto rosso della toga all'altezza delle cosce e osservava pensoso e serio Raphael Deshawn. Non aveva mai indossato quel colore prima d'ora, era vestito a festa. Fuori s'era fatto così buio che la riva nebbiosa del Brenta non lasciava che i passeggeri cogliessero alcun indizio sulla loro posizione, quanto tempo era passato da quando avevano lasciato i cavalli a Fusina? E quanto ne era trascorso dall'ultima volta che Raphael aveva scorto un po' di luce? Era colpa del sole che capriccioso si nascondeva come se fosse lui colpevole di qualcosa?

<<Raph...>> gli intimò Duccio, stranamente carezzevole e quasi sottotono.

La mascella di Raphael si contrasse, ma fu l'unico indizio con cui tradì quello che si agitava nel suo animo. Un mucchio di sentimenti netti: rabbia, preoccupazione e ancora rabbia, una rabbia cieca e feroce che non lo faceva pensare lucidamente. Ma nemmeno la più piccola traccia paura.

Tentò di carezzarsi il polso sinistro con la mano destra ma non ci arrivava, quella maledetta catena gli stava tagliando la pelle, emise un gemito di frustrazione.

<<È solo una misura cautelativa, non è stata una bella mossa quella di saltarmi al collo, pensi sul serio che io abbia aspettato tanto per morire in modo così stupido? Prima o poi lascerò anche io questa terra ma sarà sicuramente dopo la colombina.>>

Raphael avrebbe voluto chiedergli, mentre le piccole onde del fiume sbattevano sullo scafo in maniera insopportabilmente violenta, perché mai avesse deciso di portarselo dietro e che cosa volesse esattamente da lui. Non perché non lo intuisse già da sé, ma perché aveva bisogno di sentirlo direttamente dalla bocca di quel bastardo, tanto gli sembrava assurdo. Si rifiutava tuttavia anche solo di immaginare le minacce che Duccio gli paventava da quando lo aveva tirato fuori dai Piombi, evitava accuratamente che il pensiero planasse in luoghi pericolosi e insidiosi, perché sapeva perfettamente che non l'avrebbe sopportato e che tutto questo l'avrebbe condotto o direttamente alla pazzia, oppure a fare cose sconsiderate come aveva fatto poco prima nella cella, quando lo aveva aggredito e quando, se i secondini presenti non l'avessero fermato, l'avrebbe davvero ucciso con le sue mani. Ma era stato sciocco ad abbassare la guardia. In questa maniera non faceva altro che fare il gioco di Duccio, si rendeva partecipe della sua insana sceneggiata, ricopriva il ruolo simbolico che serviva a Duccio per godere a pieno delle sue macabre azioni, diventava la sua anima.

Per sottrarsi a tutto questo, per guastare il progetto di Duccio, doveva assolutamente spezzare il legame che lo univa ad Arianna Foscari, di qualunque natura fosse. Ci aveva pensato a lungo ed era arrivato alla conclusione che la tenerezza che sentiva fosse dettata solo ed esclusivamente dalla pena, si era convinto che la piccola Arianna, con la sua forza e innocenza, lo avesse come risvegliato da un lungo sonno, rendendolo di nuovo lo scribacchino sentimentale e romantico che era stato.

IL PRECETTOREWhere stories live. Discover now