42. Like the courser's hair

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Gli aveva girato intorno come un disperato, per almeno sei ore era rimasto là sotto a guardare le due grandi serliane illuminarsi ogni tanto per il passaggio di un servo affaccendato

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Gli aveva girato intorno come un disperato, per almeno sei ore era rimasto là sotto a guardare le due grandi serliane illuminarsi ogni tanto per il passaggio di un servo affaccendato. S'era fatta sera, il malandato gànser di fronte a lui aveva aiutato a scendere e salire dalle gondole almeno una quindicina di passeggeri. E adesso quegli occhi cisposi lo fissavano con qualcosa di più specifico e di più solenne della semplice curiosità. Doveva sembrargli un pazzo, un collerico, un uomo ben vestito che di colpo avesse perso la ragione. Faceva freddo, molto più del solito, il gelo pungeva sotto ai vestiti e di sicuro aveva trovato il modo di intrufolarsi anche sotto la marsina di velluto scuro che indossava. Realizzò che persino i suoi abiti erano un regalo di Duccio e il tormento aumentò senza posa.

Sembrava una bestia in cattività ma si sentiva un esule senza speranza. Non lo facevano passare e non lo venivano a prendere, lo lasciavano lì fuori a mangiarsi il fegato e ci avrebbe scommesso i pochi ducati che possedeva, che il suo amico, lo stava facendo apposta. Diede un calcio a una colonnina di pietra, imprecò e con sgomento realizzò che provava un dolore strisciante e corposo. Ogni tanto, quando il pensiero tornava a lei, alla bambina che era stata, quando la sua immaginazione si spingeva un po' oltre i limiti che si era imposto, pareva che qualcosa di reale e potente fosse in grado di stritolarlo dall'interno. Era troppo preso a cercare di governare quelle sensazioni, quelle emozioni, Raphael, per rendersi conto che era la prima volta che accadeva dopo anni. Si girò verso il vecchio, il gànser gli rivolse un debole, strafottente sorriso. Sembrava semplicemente godere del rovescio di medaglia di cui quel giovane attraente e ben vestito, era di sicuro stato vittima.

Raphael si diresse verso di lui, lo prese per il collo misero e lanoso della brutta giacca che portava e lo spinse con forza contro il muro di palazzo Vivanti. Si accanì con violenza contro il viso del povero vecchio e solo quando vide il sangue fluire dalle labbra screpolate e avvizzite, si tirò su di scatto e arretrò sgomento.

Quando si fece annunciare a palazzo Foscari aveva ancora il sangue del gànser sulle nocche e uno sguardo talmente allucinato e colpevole, che nemmeno Giada Foscari, riuscì a nascondere un sussulto.

<<Che ci fate qui?>> Gli domandò avvicinandosi con cautela all'angelo, che di etereo sembrava avere, quella sera, ben poco. Ringraziò il cielo che Carmela l'avesse acconciata da poco, dimenticò persino che quella sciocca di sua figlia l'aveva fatta indignare col suo atteggiamento riottoso.

Raphael non le riservò la minima attenzione ma subito la superò, dirigendosi verso l'elegante scalinata, che come una S invitante, si stagliava sullo sfondo.

<<Lei c'è?>>, chiese Raphael insicuro, con una voce bassa e quasi rauca, come se ogni sillaba, perfettamente scandita, per uscire dovesse per forza raschiare la sua bella gola. Deglutì e si passò una mano tra i capelli.

Giada si raddrizzò, prese tempo, strinse persino gli occhi azzurri. Raphael era troppo occupato a tenere a bada il dolore e la rabbia per accorgersi di come Giada Foscari assomigliasse d'un tratto a una predatrice, di come il suo bel naso si fosse sollevato altero, di come le spalle, lascive, rilassate, adesso stessero all'erta come un soldato prima della battaglia.

IL PRECETTOREDove le storie prendono vita. Scoprilo ora